23 Marzo 1944, Roma, Via Rasella: una storia di resistenza italiana

EDITORIALE – Roma, 23 marzo 1944. Un ventiduenne pedala su un carretto per la raccolta dei rifiuti. Non è un netturbino, è uno studente di medicina, si chiama Rosario Bentivegna. Nei pressi di via Rasella, nel centro di Roma, vi è un giovane fisico, Giulio Contini. Insieme alla moglie Giulia ha confezionato l’oggetto che Bentivegna sta trasportando nel carretto. Via Rasella è una strada in leggera salita, stretta. Al suo imbocco c’è un altro giovane che indossa un berretto, si chiama Franco Calamandrei, è il figlio di Piero Calamandrei. All’angolo di via del Tritone c’è invece una ragazza di nobili origini, è Carla Capponi, ha un impermeabile da uomo in mano. Lei è la fidanzata del ragazzo sul carretto della spazzatura, Rosario, l’impermeabile servirà a coprire la sua divisa da spazzino. Lo sta aspettando. Rosario è fermo in via Rasella, con una pipa accesa, e ha un compito da eseguire.

Tutti questi giovani sono componenti di un GAP, gruppo di azione patriottica. Sono partigiani del Partito Comunista. Sono in via Rasella, il 23 marzo 1944, perché uno dei loro capi, Mario Forentini, un matematico che diventerà un famoso accademico e che è li con loro quel giorno, ha avuto un’idea. 

Il comandante dei Gap a Roma è Antonello Trombadori, ha 27 anni, è stato un ufficiale dei bersaglieri, ma è in carcere. Al suo posto a comandare la rete clandestina dei GAP vi è Carlo Salinari, che di anni ne ha 25 ed è assistente universitario di letteratura italiana alla Sapienza. Una ventina di giorni prima, Salinari si era visto presentare Fiorentini e Bentivegna con una proposta. 

Il futuro matematico proviene da una famiglia ebraica, i tedeschi si sono presentati a casa sua e hanno arrestato i suoi genitori. Lui era fuggito sui tetti. L’appartamento della famiglia Fiorentini era stato chiuso. Mario spiega che lui e la fidanzata si erano rifugiati in una cantina insieme ad altri compagni partigiani, ma lei si era ammalata, allora erano tornati per un po’ di giorni nell’appartamento della famiglia Fiorentini. Mentre sono li, in via Capo le Case, Mario si accorge che ogni giorno, passa una colonna di militari tedeschi. Riconosce le stesse divise dei soldati che hanno arrestato la sua mamma e il suo papà. Sono almeno 150, armati, sfilano cantando. Passano sotto la finestra di casa sua, poi svoltano e imboccano via Rasella. Mario è un partigiano. Propone a Salinari di provare un’azione contro quella colonna di tedeschi. 

Non è facile attaccare una colonna tedesca di uomini armati fino ai denti. Salinari chiede al comando militare del partito comunista, guidato da Giorgio Amendola, che a sua volta ne discute nella Giunta Militare del CNL dove sono rappresentati tutti i partiti antifascisti. 

Giorgio Amendola approva l’azione. Quella colonna tedesca che passa da Piazza di Spagna l’ha vista spesso anche lui. Amendola vive in clandestinità ma quando esce passa da Piazza di Spagna, perché va al palazzo di Propaganda Fide. Un comunista che va in territorio della Santa Sede: lo fa spesso perché in quel palazzo è rifugiato un certo Alcide De Gasperi, e in quel palazzo i due antifascisti si incontrano per discutere.  

Il comando alleato in contatto con il CNL, chiede che vi siano attacchi contro i tedeschi a Roma. I tedeschi usano le consolari, controllano Roma e i collegamenti verso il fronte di Anzio. Per questo gli alleati hanno bisogno che i tedeschi a Roma si sentano sotto pressione e vengano attaccati di continuo. Quando si parla del peso militare della resistenza questo aspetto viene sempre poco considerato.

L’azione è approvata, si farà a Via Rasella.

Le armi possono fornirle quelli del gruppo di resistenza monarchica che hanno accesso ai depositi del regio esercito. Le ritirerà Carla Capponi. Vengono cronometrati i passaggi della colonna nelle varie strade. Marciano al passo, con precisione. La colonna è un  reparto delle forze d’occupazione tedesche, l’ unidicesima Compagnia del III Battaglione del Polizeiregiment “Bozen”, appartenente alla Ordnungspolizei (polizia d’ordine) e composto da reclute altoatesine.  Il più giovane dei militari aveva 26 anni, il più anziano 42. Sono uomini impegnati nei rastrellamenti delle strade di Roma. Sono impiegati più che altro per combattere contro i partigiani. 

I ragazzi che il 23 marzo 1944 sono su via Rasella non sanno tutto questo. Per loro quella è una colonna tedesca che passa per le vie di Roma cantando canzoni tedesche. Sono armati di mitra e fucili (con il colpo in canna perché temono attacchi) e hanno le bombe a mano nella cintura. 

Quei ragazzi sanno che quella è una colonna dell’esercito che occupa la loro città e loro sono partigiani.

Nel carretto condotto da Bentivegna c’è una bomba, 12 kg di tritolo.

I ragazzi che sono li in via Rasella il 23 marzo 1944 sanno che loro sono in 17 (tra cui 4 donne) contro 150 tedeschi armati. In questi 17 ci sono futuri parlamentari e futuri docenti universitari, tassisti, muratori, impiegati, pochi proletari.

Quei ragazzi non sanno chi sono i soldati che stanno attaccando, sanno però che Roma nel marzo del 1944 è una città occupata dai tedeschi, presa dopo tre giorni di combattimenti: l’esercito italiano, aiutato da molti civili, ha combattuto contro i tedeschi. Nella città era nata quindi la resistenza contro l’occupazione, loro ne erano parte.  

Sanno che Roma non è una città pacifica. Questa non è una loro convinzione, lo accertiamo con le fonti storiche. Lo dice il Comandante della Gestapo di Roma, Herbert Kappler, il quale dichiarerà che il Tevere trasportava spesso cadaveri di tedeschi. Nel processo per l’eccidio delle fosse Ardeatine, il comandante delle SS a Roma Dollmann dirà che Roma è la capitale europea che più di qualsiasi altra ha dato filo da torcere ai tedeschi. Il generale Kesselring comandante delle truppe tedesche in Italia, al suo processo, dirà che Roma, in quel momento retrovia e non sulla linea del fronte, era per i tedeschi un luogo disastroso, dove le azioni dei partigiani e la resistenza provocavano un perenne stato di agitazione.

Roma nel 1944 non è il fronte ma è vicina al fronte. Gli Americani sbarcati ad Anzio sono stati fermati dai tedeschi. La linea di guerra è sul spiagge di Anzio e Nettuno, i romani attendono la liberazione, ma non certo inattivi (su un muro di Trastevere nel marzo del 1944 c’è una scritta: “Americani resistete veniamo noi a liberarvi”.)

Roma nel 1944 è bombardata tutti i giorni dagli alleati. In quei giorni, tra il 10 e il 18 marzo 1944, i bombardamenti provocano 2000 morti e 8000 feriti.

Roma nel 1944 è una città dove c’è il coprifuoco, i tedeschi occupano militarmente la città anche se dichiarata città aperta. Vige il divieto di circolare in bicicletta perché le prime azione dei partigiani sono state eseguite in bici. Si fa la fila per prendere il cibo, tantissimi vivono in clandestinità: ebrei, comunisti, sbandati, senza tetto, renitenti, ricercati politici. I Carabinieri sono disarmati e arrestati. Il clima è di totale terrore.

I tedeschi fanno continui rastrellamenti. Fanno prigionieri e li mandano nei campi in Germania. Ogni giorno i partigiani fanno azioni contro gli occupanti, ogni giorno i tedeschi arrestano italiani e non si fanno problemi ad uccidere civili. I rastrellamenti fanno vivere nel terrore tantissimi romani, i tedeschi chiudono una strada entrano nei palazzi e arrestano, chi si ribella è ucciso sul posto.

Questo è il contesto in cui si svolgono i fatti del 23 marzo 1944. Quello che la storia può raccontare. Difficile, invece, il racconto della tensione che i 17 partigiani provano in quel momento. 

Al passaggio da via Rasella la colonna tedesca rallenta, perciò è li che si è deciso di far esplodere la bomba. Il tempo a disposizione è un minuto e trenta secondi, è il lasso di tempo che serve dal momento in cui i primi soldati imboccano la via affinchè tutta la colonna sia in quello spazio.

La miccia dovrà durare 50 secondi, Bentivegna che si è posizionato dinanzi a palazzo Tittoni dovrà accenderla. Questo il suo compito dopo aver trasportato l’ordigno nel carretto. E per capire lo stato di Roma in quel marzo del ’44 c’è un particolare emblematico. La bomba nel carretto doveva essere coperta dai rifiuti, ma i partigiani troveranno non pochi problemi ad avere immondizia da sistemare sopra i 12 kg di tritolo. A Roma in quel giorno non ci sono rifiuti, non c’è cibo, figurarsi scarti di cibo. Trovare quella spazzatura sarà parte “dell’impresa”. 

La tensione dicevamo, impossibile da descrivere. I tedeschi quel giorno non passano alle 14. I partigiani sono li ai loro posti, ma la colonna fa il suo ingresso in via Rasella solo alle 15.50.

Franco Calamandrei li vede, si toglie il cappello. È il segnale. Bentivegna accende la miccia e si incammina, incontra un gruppo di ragazzini che giocano per strada e li caccia via, poco dopo avrà un collasso. 

50 secondi. Poi un’esplosione enorme. Saltano in aria i vetri dei palazzi insieme a molti soldati tedeschi. Intanto, 4 partigiani saltano fuori dai nascondigli e lanciano delle bombe a mano, poi fuggono. Nel frastuono di fuoco iniziano ad esplodere anche le bombe a mano che sono nelle cinture dei soldati tedeschi, mentre altri 4 partigiani stanno sparando sulla colonna con delle pistole coprendo la fuga di tutti. 

Muoiono 26 tedeschi sul colpo, 6 nella notte, un altro il giorno dopo. Muoiono 2 civili. Un ragazzino di 12 anni, Piero Zuccheretti, che andava a lavorare in un’officina e per sbaglio era sceso dal tram una fermata prima. I feriti sono un centinaio, molti sono colpiti dai soldati tedeschi che convinti che le bombe piovano dalle finestre, iniziano a sparare verso i palazzi. Questi colpi uccidono altri 6 civili, tra cui un poliziotto, è l’autista del Questore di Roma che, al momento dell’esplosione fugge dopo aver estratto la pistola. I tedeschi in quel frastuono lo vedono correre con un’arma impugnata e lo freddano

Giorgio Amendola è passato di li poco prima anche quel giorno, per andare da De Gasperi. Il futuro statista è il capo della DC che sostiene una linea più “attesista” della resistenza per evitare rappresaglie, ha sentito l’esplosione e chiede ad Amendola cosa è successo. Lui glissa, successivamente si assumerà la responsabilità dell’attentato.

In via Rasella poco dopo l’esplosione arriva il comandante tedesco della piazza di Roma Kurt Malzer e il comandante delle SS, Eugen Dollmann. Gridano vendetta. Malzer vuol far saltare in aria tutti i palazzi di via Rasella. I 17 gappisti sono disimpegnati e in fuga. 

Dopo pochi minuti, Hitler è informato di tutto. Secondo le testimonianze, all’arrivo della notizia il Furher è fuori di se. Urla, fa scenate incredibili. Vuole una rappresaglia. Se ne discute subito.

Alla fine si decide: 10 italiani fucilati per ogni tedesco ucciso, entro 24 ore. 

Kappler e il vicecomandante Erich Pribke iniziano a comporre l’elenco di chi dovrà essere fucilato. Li aiuta il questore di Roma Piero Caruso. I morti tedeschi sono 33, dunque bisogna ammazzare 330 italiani. È un ordine di Hitler. Li prenderanno da Regina Coeli e dalle carceri di Via Tasso. 

Il 24 marzo intorno alle 13 i tedeschi iniziano a uccidere. Invece di 330 italiani, ne arrivano 335. Li uccidono tutti, sono persone estranee ai fatti arrestate dai tedeschi tra cui dieci civili rastrellati nelle vicinanze di via Rasella immediatamente dopo i fatti. È l’eccidio delle Fosse Ardeatine.

Il 23 marzo tutta Roma parla di Via Rasella, l’Europa intera è informata. Della rappresaglia si saprà solo il 25 marzo, quando un comunicato tedesco annuncerà che vi è stato l’ordine di uccidere “comunisti badogliani” italiani in seguito all’attentato di via Rasella. Il comunicato terminava così: quest’ordine è già stato eseguito.

Questi i fatti, questo il contesto in cui avvennero. Non serve aggiungere altro a un episodio che da sempre è elemento di una memoria divisiva. I nazisti non chiesero mai che i responsabili si presentassero per evitare rappresaglie. I gappisti sapevano che attaccare un soldato tedesco era un atto punito con la morte. 

Chi crede ad altre leggende lo fa in buona fede, tuttavia solo analizzando il contesto della Roma del 1944 possiamo avere un’idea di cosa fu l’attentato di Via Rasella e il successivo eccidio delle Fosse Ardeatine.

In quel momento, lo Stato Italiano, quello legittimo dopo l’8 settembre, combatteva con gli Alleati contro la Germania. Il giorno dopo via Rasella i convogli tedeschi non passarono più dalle consolari e i tedeschi evacuarono il centro di Roma che per circa due mesi non fu bombardata.

In via Rasella vi fu un sanguinoso atto di guerra costato la vita anche a inermi civili. Alle Fosse Ardeatine un crimine di guerra.

Questa la storia di due episodi tragici come tutti quelli che riguardano le guerre, quando non ci sono “bande musicali di semi-pensioanti da attaccare”.