EDITORIALE – Il mio primo impatto con il mondo dei Pink Floyd lo ebbi il 15 luglio del 1989, live di Venezia e mio padre che da due giorni mi parlava di questo “evento epocale”. Da quel concerto in poi ho iniziato un viaggio alla scoperta della band londinese, nella convinzione che il quartetto originale fosse quello composto da Roger Waters al basso, David Gilmour alla chitarra, Nick Mason alla batteria e Richard Wright alle tastiere.
Negli anni successivi arrivai a comprendere e capire che se i Floyd erano e sono considerati la band migliore al mondo, lo dovevano a un tipo eclettico e visionario nato proprio il 6 gennaio del 1946 e che oggi avrebbe compiuto 74 anni. Quel Syd Barrett da cui partì tutta la psichedelica e intramontabile filosofia Floydiana.
Roger Keith “Syd” Barrett nacque a Cambridge e nel 1964 si trova a studiare presso l’Art School della città universitaria britannica, dove ebbe modo di coltivare le sue due grandi passioni, la musica e la pittura.
Barrett proprio da lì iniziò a seguire il proprio sogno di formare una band insieme a Waters e Klose. I due avevano iniziato senza di lui, unendosi ad altri studenti, formando i Sigma 6 (conosciuti anche come Abdabs, Screaming Abdabs, Meggadeaths e T-Set) e suonando durante alcune feste al college. Da quando Barrett si aggregò, il gruppo divenne noto come Spectrum Five.
Questa prima formazione aveva Waters al basso, Klose alla chitarra e due colleghi di Waters alla tastiera e alla batteria: Richard Wright e Nick Mason. Barrett era la chitarra ritmica e sostituiva l’ormai sempre più assente Chris Dennis. La cantante Juliette Gale, che diventò poi moglie di Wright, partecipava occasionalmente come corista.
Nella residenza di Highgate, tra una pausa e l’altra, Syd iniziò a comporre canzoni come Astronomy Domine: lo aiutarono i molteplici libri e la biblioteca di suoni incisi su nastro messi a disposizione da Leonard e che tornò utile in svariate canzoni del primo album del gruppo, The Piper at the Gates of Dawn.
Nel 1965, Syd inventò il nome Pink Floyd Sound, e poi il nome definitivo: Pink Floyd, dal nome di due dei suoi bluesmen preferiti Pink Anderson e Floyd Council.
Barrett disse tuttavia ai giornalisti che il nome gli era stato suggerito dagli alieni. Pink e Floyd erano anche i nomi dei suoi due gatti. Il passo successivo fu il furgone Floyd, per trasportare l’attrezzatura da un concerto all’altro: Barrett dipinse sul parafango il nome Pink Floyd con vernice nera e rosa
I Pink Floyd si esibivano prevalentemente nei locali della scena underground: nel 1965 fecero solo due concerti ma l’anno successivo riuscirono a farsi notare. Attraverso Nigel Lesmoir-Gordon, conobbero il promoter Steve Stollman, che li ingaggiò per una serie di concerti al Marquee Club di Londra.
Già ad aprile del 1966, i più grandi fan di Barrett erano la futura rockstar David Bowie e il futuro manager dei Sex Pistols Malcolm McLaren.
Erano gli anni in cui le droghe allucinogene presero il sopravvento in Inghilterra, e la filosofia indiana cominciò a diventare il vangelo delle nuove generazioni. Per le loro prime composizioni, i Floyd si ispirarono soprattutto ai suoni del “Godfather of Sitar” Ravi Shankar, musicista e compositore indiano reso celebre poi dalla sua esibizione ai festival di Monterey (1967) e di Woodstock nel 1969.
A notare Barrett e i Pink Floyd furono Peter Jenner e Andrew King, due imprenditori di etichette musicali indipendenti che ne colsero subito il potenziale commerciale. Il 31 ottobre di quell’anno i Pink Floyd firmarono un contratto con i manager, impegnandosi in una serie di concerti in cambio di nuova attrezzatura e uno stipendio di 5 sterline a settimana.
L’anno di svolta fu il 1967, dopo una serie di fortunati concerti in vari college di tutto il Regno Unito, la band divenne attrazione fissa per il noto locale della nuova Londra UFO Club] Joe Boyd, amico di Peter Jenner, portò i Pink Floyd in sala di registrazione a gennaio, per registrare il loro primo 45 giri per la EMI. Il lato A del singolo fu Arnold Layne, un pezzo che Barrett aveva composto basandosi su un personaggio realmente esistito, vissuto a Cambridge, che aveva come passione innata quella di rubare biancheria intima dai panni stesi di qualche ragazza, mentre il lato B era una rivisitazione meno esplicita di Let’s Roll Another One, intitolata Candy and a Currant Bun.
Il successo e la visione sempre più psichedelica della sua musica, porta Syd Barrett ad abusare di qualsiasi tipo di sostanza, Lsd soprattutto, inducendolo molte volte a perdita di memoria o ad essere assente a prove e concerti.
Dovendo partire per un tour negli Stati Uniti, Barrett si affrettò a comporre un nuovo singolo e il risultato fu Apples and Oranges/Paint Box, che divise la critica e fu ignorato dal pubblico. Di contro, la band si sentì sollevata, sebbene temporaneamente, perché era riuscita a soddisfare le esigenze dell’etichetta discografica.
Il gruppo partì alla volta della California, dove la scena musicale era molto più esigente dei piccoli club underground inglesi. Questo viaggio fu determinante per il futuro della band: in seguito ai comportamenti sempre più compromettenti di Barrett, che non era riuscito a seguire il playback in una trasmissione, aveva dato di matto in un’altra e, secondo alcune voci, aveva anche abbandonato un concerto per scappare a bordo di una Cadillac verso un luogo indefinito, Waters disse a King di volere risolvere il problema con Syd.
I Pink Floyd tornarono poi nei Paesi Bassi, dove Barrett non accennò nemmeno a suonare e si limitò a sfiorare con le dita le corde della sua chitarra. Il giorno dopo parteciparono a una serie di concerti insieme a Jimi Hendrix, gli Amen Corner, i Move e i Nice. Dave O’List dei Nice suonò al suo posto in diverse occasioni per quei concerti; quando la rivista Melody Maker gli chiese il perché dello scarso successo di Apples and Oranges, Barrett rispose «Non me ne frega molto».
Fino al dicembre del 1967, Barrett continuò a suonare sporadicamente con la sua band, ma a Natale di quell’anno Waters chiese al chitarrista David Gilmour, vecchio amico di Barrett, di unirsi ai Floyd come chitarrista di supporto; in verità, Gilmour entrò a far parte della band come chitarra solista,(ufficialmente il 3 gennaio 1968), mentre a Syd furono assegnati voce e chitarra ritmica.
Nel gennaio del 1968 i Floyd fecero quattro spettacoli, in cui Syd sembrò essersi ripreso, anche se di poco: il lavoro sul palco era svolto dal nuovo promettente chitarrista. Per il quinto concerto, che si tenne il 26 gennaio, il gruppo doveva recarsi a Richmond. Passando da Holland Park Avenue, vicino a casa di Syd, uno dei componenti, nessuno ricorda chi, chiese: «Non dobbiamo passare a prendere Syd?». A tale domanda non seguì alcuna risposta. Ebbe così inizio l’abbandono di Syd.
David Gilmour e Roger Waters lo confermano. Fu così, dunque, che tutto finì e tutto iniziò. Waters aggiunse poi: «Syd era la gallina che aveva scoperto l’uovo d’oro».
Barrett era diventato una minaccia per i tour dei Floyd.
Syd possedeva ancora la scaletta dei concerti, e qualche settimana dopo si presentò all’Imperial College, per una loro esibizione dal vivo. Waters ricorda quanto fu orribile dovere cacciare il loro amico dal palco, dicendogli che quella sera non avrebbe suonato con loro. Al Middle Earth, Syd si sedette di fronte al palco, fissando Gilmour negli occhi durante tutto il concerto.
Secondo il “piano iniziale”, Gilmour doveva supportare Barrett, non soppiantarlo e Barrett fu ferito da questo comportamento.
Fu l’abbandono di quel diamante pazzo su cui i Pink Floyd avevano fondato credibilità e carisma, perché questo era Syd Barrett, una figura forte e travolgente capace di trasformare in oro qualsiasi cosa o idea gli passasse sotto mano, tranne se stesso.
L’ultima volta che il gruppo rivide Syd fu nel giugno del 1975, negli studi di Abbey Road, mentre si lavorava all’album “Wish you were here”, album dedicato interamente a Barrett e alla sua “follia”.
Le sessioni iniziali furono un processo difficile e faticoso, finchè Waters decise di dividere la suite di “Shine on you crazy diamond” in due parti, per poi unire ogni metà con tre nuove composizioni. Il celebre brano, che nelle intenzioni di Waters doveva raccontare la follia che aveva dilaniato Syd Barrett, verso cui tutti nutrivano un forte senso di colpa, portò alla luce una consapevolezza: con lui non era più possibile andare avanti, ma senza di lui era tutto più difficile. Inoltre erano consapevoli che quello che avevano ottenuto lo dovevano in gran parte a lui. I Floyd scrissero quindi questa composizione epica in nove parti, dedicata al loro “diamante pazzo”.
In studio accadde l’incredibile. Il 5 giugno del 1975, alla vigilia del secondo tour americano, durante il missaggio finale proprio di Shine on you Crazy Diamond e prima del party voluto da Waters per festeggiare il matrimonio con Ginger, entrò in studio un uomo obeso, con le sopracciglia rasate (particolare che Waters farà poi suo nel film The Wall depilando Pink-Geldof), impermeabile e scarpe bianche e un sacchetto di plastica in mano. Dal taschino dell’impermeabile spuntava uno spazzolino da denti. Quando, dopo un po’ di tempo, riconobbero Syd Barrett, i vecchi amici scoppiarono a piangere. Barrett partecipò anche alla festa di Waters, ma non disse praticamente nulla. Solo una volta, quando gli chiesero perché continuasse a pulirsi i denti con lo spazzolino, disse che “a casa aveva un frigo gigante pieno di carne di maiale”.