Tanto tuonò che piovve. Il 18 marzo 1871, e cioè esattamente 150 anni fa, il popolo parigino, nella sua prevalente componente popolare e operaia, prendeva il potere in città e dava vita al primo governo “del popolo” della storia contemporanea europea. Si trattava del primo, succulento frutto dell’evoluzione teorica del pensiero socialista, dai primordi utopistici alle più consistenti elaborazioni “scientifiche” (quelle di Marx ed Engels, per intenderci); nonché la prima grande conquista politica di quel movimento operaio che, figlio delle rivoluzioni industriali che avevano dato vita alla società capitalistica dell’Ottocento, aveva assecondato il debutto della sua verve rivoluzionaria nel 1848, l’anno che sconvolse l’intero continente. Un movimento che però era ancora lontano da una strutturazione organica della sua capacità di trasformazione dell’esistente. Intanto, si era consolidata la sua coscienza, e i fatti di Parigi nella primavera di quell’anno ne furono l’evidente dimostrazione.
Una serie di avvenimenti favorì l’accelerarsi delle condizioni utili a quella prima, per quanto effimera, esperienza di governo delle cosiddette “masse popolari”. Ciò avvenne proprio nella Francia della Rivoluzione Francese, evento che fu motore di affermazione di quella classe ormai nei fatti prevalente nel processo storico, la borghesia, capace di spazzare via il vecchio mondo dell’aristocrazia parassitaria e di affermare il suo modello politico ed economico, i suoi valori, le sue dinamiche del potere. E che, nei decenni successivi, dovette misurarsi con il crescente protagonismo della sua forza antagonista, quella classe operaia composta dai milioni di uomini e donne impiegati nell’industria che era il solido basamento su cui poggiava l’egemonia borghese. A Parigi, tra il marzo e il maggio del 1871 tutto ciò fu rovesciato, e sebbene alla fine di quell’esperienza la repressione favorì la riorganizzazione del vecchio potere in forma più sicuritaria, essa rappresentò un prodromo di maggiori e più durature conquiste che avrebbero garantito ai lavoratori l’avanzamento spirituale e materiale nella Storia. Gli occhi dello stesso Marx, ormai maturo, la guardarono con commozione, e alcuni anni dopo, ragionando a mente fredda su quei fatti straordinari, lo portarono a sentenziare che «la Comune annetté alla Francia gli operai di tutto il mondo».
I fatti. La Comune di Parigi nasce a compimento di quel travagliato processo politico e militare che portò, da un lato, al crollo del Secondo Impero Francese di Napoleone III (1852-1870) e, dall’altro, all’unificazione tedesca, che trovò pieno compimento nella guerra franco-prussiana (1870), con cui la sorgente potenza teutonica consolidò l’affermarsi del suo stato-nazione (frutto dell’unificazione delle differenti entità territoriali che componevano la confederazione germanica, sotto la guida della Prussia di Otto Von Bismarck) mediante la sconfitta del suo vicino più potente e pericoloso, l Francia appunto che non voleva assolutamente la nascita di uno stato unificato al di là del Reno (così come non avrebbe voluto la nascita dell’Italia unita), perché ciò avrebbe sicuramente significato la fine della sua egemonia politica e militare sul teatro continentale.
Il primo settembre le truppe prussiane sconfissero quelle francesi nella decisiva battaglia di Sedan. Napoleone III fu catturato e fatto prigioniero, per poi essere costretto ad abdicare. Con il paese sprofondato nel caos e occupato in buona parte da un esercito straniero, al fine di difendere l’integrità territoriale minacciata dall’avanzata prussiana il quattro settembre a Parigi fu proclamata la Repubblica (per la terza volta, dopo il 1792 e il 1848). Pochi giorni dopo, i prussiani, giunti alle porte della capitale, la cinsero in un pesante assedio, mentre stabilirono il loro quartier generale nel palazzo di Versailles: è proprio qui che il 18 gennaio del 1871, alla presenza di Guglielmo I che ne sarebbe divenuto la guida politica, venne proclamato l’impero tedesco, ossia venne sancita la nascita di un nuovo e grande stato germanico, al centro dell’Europa.
A Parigi, invece, si continuava a resistere. E le estreme condizioni in cui la città era costretta favorirono la presa di coscienza della situazione in cui la vecchia classe dirigente aveva spinto il paese, umiliato dalla superiorità tedesca e dalle condizioni di resa che quella nuova potenza europea pretendeva di imporre. Nella rabbia e nello sconforto generali cominciò a svilupparsi un processo politico che ben presto divenne movimento insurrezionale a carattere operaio e popolare, volto a proseguire la guerra con intenti patriottici, al fine di salvare la nazione francese dalla mortificante capitolazione al cospetto dell’esercito teutonico. Il quadro evolve dopo il 28 gennaio, quando il governo repubblicano, composto ancora da membri del vecchio establishment imperiale, decise di firmare l’armistizio con i prussiani, accettando le durissime condizioni richieste per la resa, tra cui l’occupazione militare di Parigi. Qui la popolazione reagì organizzandosi militarmente in un esercito volontario, la Guardia Nazionale.
Il 18 marzo 1871 quel processo politico di cui si diceva sopra sfociò nell’insurrezione popolare nel quartiere di Mont-Matre contro la decisione del governo provvisorio, guidato da Adolphe Thiers, di smobilitare la Guardia Nazionale. Perso il controllo della situazione, Thiers e gli altri ministri decisero di fuggire da Parigi e di rifugiarsi a Versailles, sotto la protezione tedesca: la città era ormai in mano agli insorti. È la nascita della Comune, che formalmente prese vita il 26 di quel mese con la realizzazione delle elezioni municipali che avrebbero eletto i membri del suo nuovo consiglio. In esso entrarono tutte le anime del movimento socialista, con l’intento di ridar vita a un’esperienza politica radicale che recuperasse i motivi di forza del giacobinismo originario.
Fu l’inizio di una storia breve ma intrisa di significato e simbologia: le stesse misure che vennero adottate, ma per le quali non si ebbe il tempo materiale di metterle in atto, dimostravano la volontà dei comunardi di ridisegnare su basi nuove, più inclusive e democratiche, non solo la società parigina, ma tutta quella francese. Tanto è vero che anche nelle altre grandi città del paese, come per esempio Lione e Marsiglia, si cercò di imitare quanto stava accadendo nella capitale, pur senza successo.
Il nuovo governo mise in chiaro quali sarebbero stati i pilastri su cui costruire una società più giusta:
- antiautoritarismo politico
- anti-centralismo amministrativo
- federalismo e autonomia municipale
- abolizione dell’esercito professionale
- istituzione delle milizie popolari
- libertà di stampa
- concorsi per l’attribuzione di incarichi pubblici
- scuola pubblica
- separazione tra Stato e Chiesa
- eguaglianza tra i sessi
Due mesi, un tempo troppo corto per i lunghi processi della Storia. L’esperienza entusiasmante della Comune si concluse con la cosiddetta “settimana di sangue”, tra il 21 e il 28 maggio, quando le truppe fedeli al governo repubblicano riparato a Versailles, con l’apporto di apparati dell’esercito tedesco, riuscirono a entrare in città, piegando la resistenza della Guardia Nazionale e reprimendo l’esperienza rivoluzionaria nel sangue di migliaia di morti. Le strade di Parigi si tinsero di quel rosso che, fino a quel momento, aveva colorato i drappi della resistenza. Finiva un momento storico, che però era l’annuncio di profonde trasformazioni politiche e sociali che avrebbero investito l’intero continente nei decenni a seguire.
Nel 1927, Vladimir Majakovskij volle ricordarla nei suoi versi; il grande poeta russo seppe cogliere in pieno il valore che quell’avventura proletaria seminò sul terreno della storia: «essi tennero duro per una manciata di giorni / noi terremo duro per secoli».
Oggi, a centocinquanta anni da quell’avvenimento, tocca a noi ricordare l’impegno e il sacrificio di quanti non si limitarono a immaginare una società migliore, ma agirono concretamente per trasformarla.