Alcune considerazioni su di un viaggio in Islanda

Sono appena rientrato da un viaggio di quindici giorni in una terra estrema e selvaggia, l’Islanda, il cui richiamo naturalistico da tempo mi aveva sedotto, un po’ come le sirene avevano fatto con Ulisse (anche se in questo caso dovrei far più riferimento all’accattivante scrittura di Arne Saknussemm, che nel romanzo fantascientifico Viaggio al centro della terra di Julius Verne induce i protagonisti a intraprendere la loro avventura).

Ora, non è mia intenzione raccontare nel dettaglio forma e modalità di questa esplorazione – termine più che mai pertinente per una terra come quella islandese – condotta in un’eccitante modalità on the road, essendosi deciso di attraversarla vivendo e dormendo in un furgoncino; ad ogni modo, per ogni narrazione dotata di senso vi rimando allo storytelling che sui nostri viaggi costruisco insieme al mio accompagnatore in posti insoliti, Nicola Ragone, e cioè alla quarta edizione di Storie Parallele – festival del cinema documentario, in programma a fine settembre a Salandra (Mt).

Ecco, dicevo, sarebbe stucchevole indugiare sull’affascinante spettacolo dello Strokkur, un area di geyser che ci riconducono a quel cuore pulsante di fuoco e potenza su cui poggiamo i piedi, e i cui lanci idrici altro non sono che segmento finale di uno straordinario movimento energetico; o sull’incredibile sensazione di camminare sospesi tra due continenti che si ha passeggiando lungo la faglia del Thingvellir, dove la placca americana e quella euroasiatica si distanziano ogni anno di quasi due centimetri; o dell’impressione mozzafiato che offre quell’incredibile teatro di basalto colonnare che è il canyon di Stuðlagil, così come dell’imponente portata delle cascate disseminate un po’ ovunque in quella realtà geologicamente ancora primitiva.

Voglio invece fare tre brevi considerazioni su degli aspetti che mi hanno colpito particolarmente, e che riguardano più da vicino i comportamenti degli uomini:

1) L’islanda è un paese praticamente senza contante. Non viene mai richiesto, perché è possibile pagare con la carta di credito anche nei posti più remoti. Di conseguenza, sono di fatto scomparsi gli uffici di cambio (non mi pare di averne scorti neppure in aeroporto), che invece ad altre latitudini extra-euro affollano il paesaggio (ne abbiamo visti tantissimi nel nostro viaggio in Caucaso, dove in ben tre aree abbiamo avuto necessità di utilizzare la valuta corrente). Questo ovviamente dà l’idea della capacità di quello Stato di eludere ogni forma di evasione fiscale, e di rendere molto più pratico il consumo: in imitazione, direi, del modello americano – molto marcante a quelle latitudini, in vari ambiti – dove la facilità di ricorso alla carta di credito si porta dietro anche una straordinaria capacità di indebitamento. D’altronde avere moneta reale dà più il senso del volume di consumo, ma espone lo stesso al problema di cui sopra (la tracciabilità). A vantaggio di questo sistema lo Stato islandese non attribuisce il costo agli esercenti, ma ai pagatori: pena maxima per gli stranieri, che al normale costo di transazione devono aggiungere il 3% di costo di conversione valutaria.

2) In Islanda non si fa la raccolta differenziata. Sembrerà incredibile per un paese con i più alti indici di sviluppo umano e di qualità della vita. Nonostante ciò, è praticamente impossibile trovare un residuo per strada. In tutte le aree attrezzate in cui abbiamo parcheggiato il nostro furgoncino, così come in città, non abbiamo mai trovato bidoni o secchi per differenziare, ma ci è sempre stato detto di utilizzare un unico sacco di indifferenziato, in cui inevitabilmente è finito anche l’organico. Ma, appunto, ciò non impedisce che sia un luogo pulitissimo, corrispondente all’immaginario collettivo che ne abbiamo tutti. Si affidano a un sistema detto di “dissociazione molecolare” (o pirolisi), in cui i rifiuti vengono trasformati a temperature più basse rispetto a quelle dei termovalorizzatori, con grande produzione di energia e un residuo di cenere pari solamente al 2%; pare che sia ecologicamente molto sostenibile. Gli unici fumi che abbiamo visto sono stati quelli vulcanici, gli unici “cattivi odori” quelli sulfurei. Tra l’altro, questo modello permette di non demandare all’utente, spesso distratto, la selezione del rifiuto impostando su quella scelta il sistema di recupero. La produzione energetica è tale che gran parte degli islandesi, sostanzialmente, non paga la bolletta elettrica. Certo, hanno i numeri dalla loro parte (sull’isola, che ha una superficie pari a un terzo di quella italiana, vivono appena 350.000 abitanti, come quelli che ci sono nella sola provincia di Potenza), ma minore utenza significa anche minori risorse. E comunque mentre ragionavo su questo modello, e sulla generale capacità di non disperdere rifiuto in ambiente, pensavo anche al fatto che sarebbe una grande lezione per quelli che hanno sostenuto che la nuova raccolta differenziata nel comune di Lauria avrebbe aumentato l’abbandono di rifiuti: rimane infatti una questione di cultura, non di modalità.

3) L’islanda attira ogni anno un flusso di turisti pari al tre volte la sua popolazione, ma è un turismo consapevole e responsabile. Infatti, chi decide di trascorrere le proprie vacanze in un luogo del genere lo fa prioritariamente perché ha una visione dell’ambiente volta a fruirne consapevolmente. Certo, quella del turismo è pur sempre un’industria e come tutte le industrie tende a massimizzare i profitti attraverso la massima espansione: si tratta di vedere se questo modello potrà conservare la sua ecosostenibilità con l’inevitabile aumento delle presenze (il che significa più auto in circolazione, più antropizzazione, più rifiuti, più strutture). Eppure, fatta eccezione della capitale Reykjavík, in cui è impossibile eludere la massiccia presenza di anglosassoni sempre pronti a mostrare il lato peggiore della loro cultura, il resto del viaggio si fa in compagnia di visitatori dotati di grande consapevolezza ambientale. D’altronde, chi intraprende questo viaggio lo fa sapendo di entrare in uno dei luoghi culturalmente più pacifici al mondo, e la coscienza ambientalista non si può certo scindere da quell’atteggiamento sociale. Si consideri, poi, che la presenza delle forze dell’ordine è praticamente inesistente: ciò però non rende certo più pericoloso il viaggiare sulle strade islandesi, o il girovagare nei suoi villaggi, o più semplicemente sostare nei campeggi. Insomma, è un mondo lontanissimo da quello che siamo abituati a vivere, e spesso a subire, sulla nostra fascia costiera.

Questo è quanto avevo voglia di porre all’attenzione, anche se sarebbero molti di più gli aspetti su cui ragionare (nel bene e nel male, non è tutto oro quello che luccica, anche in Islanda). Per quanto riguarda la bellezza naturalistica, beh alla fine non resisto e vi lascio una personalissima galleria di immagini.

Vertu sæll