Artemisia Gentileschi e l’arte al femminile

La sua opera pittorica manifesta l’abisso e l’infinito dell’arte al femminile, da vedersi non come genere inferiore, ma come dimensione altra preclusa agli uomini, come verità misteriosa che aiuta a comprendere il non detto della donna, la sua percezione delle cose, il silenzio e il grido della sua condizione.

Artemisia Gentileschi è stata la prima pittrice che ha rivelato nell’arte il mondo segreto della donna; il suo è stato un genio ardimentoso che si è ribellato alle convenzioni, nel nome della dignità e della libertà. Infatti, fin dall’antichità alla donna non era concesso di essere artista, sia per ragioni sociali sia per ragioni genetiche, poichè naturalmente inadatta alla creatività; lei, invece, con la sua opera pittorica è riuscita a rompere tutte le convenzioni e gli schemi fino ad allora esistenti.

Artemisia fa un lavoro introspettivo nelle sue opere, le personalizza, dipinge la sua rabbia e la sua passione su tele che svelano realtà ignote. E’ una donna che parla delle donne e alle donne, tanto che l’angolazione visuale delle sue tele acquista un taglio nettamente diverso; i suoi sono dipinti epifanici di una femminilità straordinaria fatta di eros, passione, amore, ed è un nuovo modo di osservare l’esistenza.

La sua è una pittura drammatica popolata da donne energiche e intransigenti protagoniste del proprio destino e della storia, donne forti capaci di farsi valere, di forgiare da sole il proprio destino. Sono questi i motivi che hanno fatto della pittrice l’eroina di una moltitudine di studiose femministe e non solo.

L’episodio chiave della sua vicenda biografica, fu lo stupro subito da Agostino Tassi, pittore amico del padre, il 3 maggio 1611. L’opera che lega indissolubilmente la sua vicenda biografica a quella artistica è senza dubbio la Giuditta e Oloferne.

Giuditta rappresenta la castità e la forza morale e Artemisia privilegia alla maniera Caravaggesca il momento più terribile e cruento dell’episodio biblico: la decapitazione di Oloferne. La sua regina di Betulia, però, non è una graziosa e schizzinosa signorina, ma una donna forte, energica al limite della goffaggine. L’angolazione visuale acquista così un taglio nettamente diverso, un nuovo modo di osservare l’esistenza. 

Nell’estrema violenza dell’azione si individua l’instaurarsi di un gioco di specchi tra la pittrice e l’eroina della vicenda biblica, secondo il quale in un continuo ribaltamento di ruoli tra le lenzuola insanguinate ci fosse proprio lei privata a causa dello stupro dell’onorabilità oltre che della possibilità di fare una professione intellettuale da uomo. Interpretata come una vendetta in effige contro il pittore Agostino Tassi, la tela diviene simbolo di un drammatico scontro che si conclude con una vittoria femminile.

Manifesto assoluto della forza delle donne e della loro volontà di riscatto e di rivincita nei confronti di uomini padroni e violenti e di una società che troppo spesso le considera inferiori, la tela ancora oggi diventa, purtroppo, portatrice di un messaggio attuale.