Artemisia Gentileschi, l’arte come denuncia di violenza

EDITORIALE – In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, mi piacerebbe affrontare l’argomento utilizzando come tramite un’opera d’arte.

Spesso quando si parla di violenza nei confronti delle donne si pensa subito ad una violenza di tipo fisico, ma esiste purtroppo anche un’altra forma di violenza che è infida al pari di quella fisica anche se non sfocia in un’aggressione vera e propria, che è quella di tipo psicologico.

Purtroppo, non sempre a tale tipo di violenza viene dato il giusto peso, perché i suoi effetti sono invisibili e quindi ritenuti meno pesanti ed importanti. Al contrario la violenza psicologica al pari di quella fisica lascia strascichi rilevanti in chi la subisce e profonde ferite inferte nell’anima della vittima.

Il mondo dell’arte ci fornisce spunti interessanti a livello iconografico per indagare il tema in questione, che viene sviscerato in molteplici soggetti scultorei e pittorici.

L’opera che vorrei porre alla vostra attenzione proprio per la forza espressiva con la quale l’artista riesce a comunicare allo spettatore è Susanna e i vecchioni di Artemisia Gentileschi.

Il soggetto rappresentato è tratto dalle Sacre Scritture, nel Vecchio Testamento nello specifico nel libro di Daniele si legge di una giovane donna Susanna che viene sorpresa da due anziani, invaghiti di lei, mentre è intenta a fare il bagno all’aperto. I due malfattori per soddisfare le proprie voglie pensarono di ricattare la giovane dicendole che avrebbero rivelato al marito che lo tradiva con un’amante, cosa assolutamente non vera, se lei non avesse accettato di concedersi a loro. La donna decise di subire l’infamia e l’umiliazione di una menzogna piuttosto che concedersi ai due anziani, ma fortunatamente Daniele, il marito, scoprì che quelle dei vecchioni erano solo bugie ed illazioni e non ci furono conseguenze per Susanna.

La violenza rappresentata magistralmente dal pennello della Gentileschi in questo caso, dunque, non sfocia in una violenza fisica, ma si ferma sul piano psicologico: la giovane decide di subire un’ignominia e tutto quello che ne sarebbe scaturito piuttosto che concedersi. Se vogliamo la prima violenza che Susanna subisce sta nella violazione della privacy perché Susanna viene spiata mentre si ritrova in un atteggiamento intimo e privato che è quello del momento del bagno in cui è nuda, la seconda violenza invece riguarda il viscido e squallido ricatto al quale è sottoposta dai due viziosi vecchioni.

La pittrice riesce a conferire all’opera grazie all’ambientazione, all’uso dei colori e soprattutto alla gestualità ed espressività dei personaggi un forte impatto emotivo. La protagonista Susanna è rappresentata quasi completamente nuda, con il candido corpo dalle forme generose e naturalistiche, come da caravaggesca memoria, reso in una posizione “serpentinata” che ricorda le celebri figure di stampo michelangiolesco del Giudizio finale. A colpirci è soprattutto l’espressione del suo volto che denota sofferenza, disgusto, repressione e il gesto delle sue mani come se volesse allontanare i due anziani e le calunnie che stanno pronunciando, come se ne volesse prendere le distanze, è un vero e proprio gesto eloquente. 

I due vecchioni, invece, sono resi con una tavolozza cromatica più scura ed in penombra, in atto confabulatorio, opprimono sia dal punto di vista fisico, perché occupano lo spazio della scena oltrepassando il limite architettonico della balaustra, sia dal punto di vista psicologico cosa che come già sottolineato si denota dall’espressione e dalla gestualità di Susanna. 

A voler rimarcare ancor di più la condizione di oppressione di Susanna la pittrice la dipinge completamente compressa, infatti la colloca quasi “schiacciata” fra il lato sinistro del dipinto al limite del margine della tela e il bordo della balaustra dalla quale incombono i due luridi vecchioni, che invece sono resi in una posizione di dominio e sopraffazione a voler sottolineare la loro maggiore forza e potenza. La giovane appare così come “schiacciata” ed impossibilitata a fuggire.

La scelta di ridurre l’ambientazione pittorica ed il numero di personaggi è studiata magistralmente per creare questa sensazione di oppressione e soffocamento che pervade la tela, con l’intento di restituire a chi guarda una sensazione al limite della claustrofobia. La scena così orchestrata dalla Gentileschi ci restituisce grande senso di pathos e di drammaticità, la composizione piramidale contribuisce ad alimentare la forza espressiva che contraddistingue quest’opera così come le altre opere della pittrice caravaggesca.

Molto probabilmente, come avviene anche nella Giuditta ed Oloferne Artemisia utilizza l’arte come cura delle proprie ferite dell’anima e come denuncia delle violenze subite, (fu vittima di stupro da parte di un suo collega, nonché amico del padre: Agostino Tassi ndr), una denuncia indelebile che rimane sulle sue tele e nella storia e si consegna ai posteri in memoria di tutte le donne che negli anni hanno subito e purtroppo ancora oggi subiscono forme di violenza sia fisica sia psicologica.

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