Giulia sta dietro al bancone del bar alle dieci di mattina di Ferragosto. Fuori ci sono quaranta gradi e dentro il locale sembra il motore di una Panda del ’92 in salita. Il condizionatore fa più rumore di un elicottero ma l’aria che butta fuori è tiepida come il respiro di un cane. “Caffè?” chiede al primo cliente della giornata. “Freddo,” risponde lui, “se no mi liquefaccio qui sul pavimento e poi chi pulisce?” Giulia ride. “Tutti in ferie tranne noi sfigati.” Dall’altra parte della città, in un ufficio vuoto del centro direzionale, Roberto sistema pratiche che nessuno leggerà mai. È l’unico rimasto, tutti gli altri colleghi sono ai Caraibi o almeno a Rimini. Lui è qui perché qualcuno deve rispondere al telefono che non suona mai. Chiama la madre: “Mamma, sto lavorando.” “Il quindici agosto? Ma sei scemo? Vieni a casa che abbiamo fatto il barbecue.” “Non posso, devo presidiare.” “Presidiare cosa? I piccioni?” Roberto guarda dalla finestra. Effettivamente ci sono solo piccioni. E fanno pure caldo loro. Nel bar, Giulia serve granite che si sciolgono prima di arrivare al tavolo. I clienti sono tutti pensionati del quartiere che non hanno i soldi per andare in vacanza e fingono che stare al bar sia una scelta di stile. “Io le vacanze le ho fatte tutte negli anni Settanta,” dice il signor Aldo, “ora basta, mi sono rotto.” “Certo,” risponde Giulia, “meglio qui che in mezzo al traffico per andare al mare.” “Giusto. Qui almeno conosco dove pisciare.” Saggezza popolare allo stato puro. Roberto nel frattempo ha deciso di chiamare i numeri a caso dall’elentelefonico aziendale, tanto per sentire una voce umana. “Pronto, ufficio marketing.” “Ciao, sono Roberto della contabilità. Come va?” “Male, sono al mare a Ostia e c’è una puzza di pesce morto che mi sta uccidendo. Tu?” “Sono in ufficio.” “Scusa, come hai detto?” “Sono in ufficio.” Silenzio. “Roberto, ma tu stai bene?” Ore tredici. Il sole spacca l’asfalto. Nel bar entra una famiglia di turisti tedeschi. “Sprechen Sie deutsch?” chiede il padre. “No,” risponde Giulia, “ma so dire ‘birra fredda’ in tutte le lingue del mondo.” “Perfect!” I tedeschi sono felici. Hanno trovato l’unico posto a Roma dove si può stare senza sciogliersi completamente. Roberto decide di fare una pausa e scende al bar dell’ufficio. Chiuso per ferie. Va al distributore automatico. Rotto. Va al bar di fronte. Chiuso per lutto. “Ma che lutto,” pensa, “è morto il condizionatore?” Alla fine trova un cinese aperto. “Caldo oggi,” dice al proprietario. “Sì, molto caldo. Ma io abituato, vengo da Shanghai.” “E lì com’è?” “Peggio. Ma almeno ho famiglia.” Roberto ordina un tè freddo che sa di medicina, ma almeno è freddo. Sera. Giulia chiude il bar dopo una giornata che sembrava non finire mai. Ha guadagnato il doppio del solito perché era l’unica cosa aperta nel raggio di chilometri. “Almeno,” pensa, “con questi soldi mi compro un condizionatore che funziona.” Roberto esce dall’ufficio alle otto. La città è deserta, sembra un film post-apocalittico. Cammina per strada e per la prima volta in anni sente il silenzio di Roma. “Non è poi così male,” pensa. Si ferma al bar di Giulia che sta spegnendo le luci. “Chiuso?” chiede. “Sì, ma se vuoi una birra veloce…” “Volentieri.” Si siedono fuori, sui tavolini ancora caldi. La birra è ghiacciata, finalmente. “Che giornata di merda,” dice lei. “Già. Però ora è meglio.” “Sì, ora va meglio.” Non si conoscono, non si rivedranno mai più, ma per dieci minuti bevono in silenzio guardando la strada vuota. Il desiderio, per una volta, si prende una pausa. Basta poco: una birra fredda e qualcuno con cui non parlare. L’estate finirà, torneranno tutti dalle vacanze abbronzati e incazzati. Ma loro si ricorderanno di quel Ferragosto silenzioso, quando la città era solo loro e faceva meno schifo del previsto.
Disclaimer: Il testo è un racconto di pura fantasia. Tutti i personaggi, i luoghi, gli eventi e le situazioni descritte sono frutto dell’immaginazione dell’autore e non hanno alcun riferimento intenzionale a persone reali, viventi o defunte, a istituzioni, enti o organizzazioni esistenti. Qualsiasi somiglianza con la realtà è da considerarsi puramente casuale e non voluta. Gli eventi narrati non intendono rappresentare fatti storici reali né fare riferimento a situazioni o circostanze realmente esistenti. Il racconto è stato creato esclusivamente a scopo narrativo e di intrattenimento.