In questo articolo voglio analizzare uno dei temi più ricorrenti nella scultura canoviana, quello della dicotomia fra la Vita e la Morte. Difatti, dallo studio della produzione scultorea dell’artista possagnese si evince come la contrapposizione fra Vita e Morte sia una costante, un filo conduttore che lega gran parte delle sue opere.
In sintesi, si può notare come in opere espressamente celebranti la Morte (i sepolcri ndr) sia sempre presente un anelito, una speranza di Vita, nello specifico un riferimento alla Vita eterna, al contrario in opere che apparentemente fanno riferimento alla Vita ci sia sempre un presagio di Morte.
Il tema principale e più generale dal quale bisogna partire è quello del contrapposto.
Quest’ultimo, infatti, viene declinato dall’artista nelle sue opere in varie forme, abbiamo innanzitutto la contrapposizione fra tradizione naturalistica ed idealizzazione classicistica, quella fra bellezza e mostruosità espressa ad esempio in Teseo trionfante sul Minotauro, fra vecchiaia e gioventù come in Dedalo e Icaro e per l’appunto fra la Vita e la Morte espressa nelle opere sopra citate ed in altre quali il Monumento funerario di Papa Clemente XIV, il Monumento funerario di Papa Clemente XIII, Amore e Psiche giacenti, Adone e Venere, Ercole e Lica, Perseo Trionfante, ed il Monumento funebre di Maria Cristina d’Austria.
Quello della dicotomia fra Vita e Morte è un tema, dunque, che si ripete soventemente nell’arte canoviana e che deriva dalla sua idea di classicismo, un classicismo che si può definire idealistico.
Per Canova, come per gli altri artisti neoclassici l’opera d’arte non doveva copiare l’arte antica, ma emularla, era necessario carpire l’essenza dell’arte antica, attuare un processo di sublimazione, idealizzando attraverso il proprio operato l’arte classica, vera fonte di ispirazione. Nell’arte neoclassica, dunque, si ha una vera e propria evoluzione dell’arte antica, questo concetto di evoluzione, di sublimazione si ritrova anche nelle opere di Canova.
Per di più, in esse si ha, anche, una visione completamente nuova della Morte che viene concepita come evoluzione, sublimazione della Vita. Durante il Neoclassicismo, subentra una concezione della Morte più laica, come sorella del sonno, un nuovo modo di vedere la Morte lontano dalle connotazioni spettrali, dolorose e macabre care agli artisti barocchi.
Nello stesso periodo, in letteratura inizia a farsi strada il concetto dell’immortalità da ricercarsi nella memoria dei posteri. Il classicismo idealistico di Canova, dunque assorbe l’idea della Morte in quella della Vita ed è proprio nell’arte funeraria che raggiunge le sue massime espressioni.
Per dirla secondo Giulio Carlo Argan, “[…]il maggior Canova è, come il maggior Foscolo, quello dei sepolcri[…]”.
All’opposto si verifica lo stesso, cioè in tutte le sculture del maestro possagnese che riguardano la Vita c’è sempre un anelito, un presagio di Morte. E’ come se l’artista abbia voluto attraverso le sue opere riflettere a 360° sull’esistenza dell’uomo, dando ai suoi contemporanei e ai posteri anche un insegnamento morale.
Canova, difatti, vuole sottolineare costantemente che seppur la Morte è durante la Vita sempre vicina, presente, sempre dietro l’angolo essa non è altro che un momento di passaggio, di ritorno ad un’altra forma di Vita, una vita eterna.