POTENZA – Sono complessivamente 19 gli indagati, di cui sei le misure cautelari agli arresti domiciliari – per un italiano, “capo” dell’organizzazione sul presunto sfruttamento del lavoro, e cinque “caporali”, tutti stranieri – eseguite stamattina dalla Polizia, nel corso di un’inchiesta coordinata dalla Procura di Potenza.
“Condizioni brutali e disumane”: è lo stato in cui vivevano centinaia di migranti regolari, impegnati in agricoltura in Basilicata, nell’area del Vulture Melfese, costretti a lavorare 12 ore al giorno per pochi euro – peraltro retribuiti solo alla fine del periodo del raccolto – e a pagare l’acqua, la ricarica della batteria del cellulare e i servizi igienici nella “bidonville” in cui erano costretti a vivere.
Il Procuratore Francesco Curcio, il pm Ersilio Capone e il dirigente della squadra mobile Donato Marano hanno illustrato i particolari in conferenza stampa.
I migranti – tutti con permesso di soggiorno e con contratti regolari, ma mai registrati – vivevano ammassati in una “casa gialla”, così definita da loro stessi, di proprietà del capo dell’organizzazione, e reclutati dai caporali per una paga di circa quattro euro per ogni cassone raccolto (di circa tre quintali di peso, con una media di 25 casse al giorno per migrante). A questa cifra andava tolta la percentuale dei caporali (circa il dieci per cento) e anche il “gettone” necessario di 50 centesimi necessario per andare in bagno, per poter ricaricare la batteria del cellulare, oppure per lavarsi, che i migranti pagavano anticipatamente di tasca loro. Nell’area era stata anche organizzata dalla Regione una struttura di accoglienza, che i migranti sarebbero stati costretti ad “evitare” per non mettere a rischio i caporali. Le indagini sono durate due anni, anche su vicende che risalgono al 2014: il Procuratore ha spiegato che “le istituzioni e le associazioni del settore, che fanno in ogni caso un lavoro meritorio, avrebbero potuto però informarci di quello che avevano notato, ma alcuni hanno anche espresso paura.
