EDITORIALE – Cinque anni senza Pino Daniele è una frase che risulta persino difficile scrivere. Un vuoto incolmabile nella musica italiana che difficilmente verrà colmato, per estro, carisma e soprattutto ecletticità.
Il cantautore che portò il blues a Napoli e lo fece proprio, quasi da far sembrare che questo genere musicale non sia nato negli States, ma che fosse di indole partenopea da secoli. In anni in cui il neo melodico era il dna della città di Pulcinella, Pino Daniele andò incontro alla sperimentazione, e nel 1977 sorprese l’intero panorama musicale con il bianco e nero della copertina di Terra mia e, nell’anno in cui sulla strada del rock esplodeva la bomba del punk, grazie a lui risuonavano i mandolini di un brano immortale come Napul’è, il blues profondamente partenopeo di Ce sta chi ce penza e di Che calore.
Non era che l’inizio di una migrazione che dalla tradizione percussiva tipica delle tarantelle sarebbe arrivata alla fusion in cui Pino Daniele avrebbe liberato la sua passione per il blues e per il jazz.

E’solo l’avvento di ciò che prenderà il nome di Neapolitan power, con l’album omonimo del 1979 in cui Pino si sbarbava in copertina, quattro riquadri nello specchio di casa sua, affiancati come fossero un’opera di pop art.
Le note di Je sto vicino a te ci svelarono la straordinaria formula inedita nata dall’incontro tra Pino e Rino Zurzolo, nelle prime suonate nel salotto di casa del contrabbassista, e poi dall’amicizia con il sassofonista James Senese, il fratello di blues, dalla scoperta dei ritmi spezzati della batteria di Agostino Marangolo, delle percussioni di Rosario Jermano e delle tastiere di Ernesto Vitolo.
Sono le ritmiche e le contaminazioni a fare di Pino Daniele un artista unico nel suo genere, in ogni nota si vede il mare di Napoli che si apre al Mediterraneo, una scia blues che non conosce confini e che anche nel suo filo di voce crea una identitaria svolta musicale destinata ancora oggi a fare scuola.

Nel 1982 esce “Bella m’briana”, album preferito del sottoscritto, in le influenze etniche, sia napoletane sia esotiche, lo rendono un disco unico nel suo genere.
Pino Daniele si avvalse per questo album della collaborazione di musicisti stranieri quali Wayne Shorter ed Alphonso Johnson. Come in tutta la produzione di Pino Daniele i testi sono in tre differenti lingue: inglese, napoletano ed italiano.
O’scarrafone e altri successi degli anni 90, rendono Pino Daniele un po’ più commerciale e pop del solito, creando anche qualche malumore o insoddisfazione nei suoi fans storici, ma il talento resta, e lo si vede quando dedica genio e ispirazione al suo amico Massimo Troisi.
E’il 1991, e Quando diventa una ballata che ancora oggi emoziona e commuove per tanti significati. La canzione fa parte della colonna sonora del film, uscito lo stesso anno, Pensavo fosse amore… invece era un calesse, diretto e interpretato da Massimo Troisi.
Inizialmente il brano riportava i versi “e vivrò, sì vivrò,/ tutto il giorno per vederti ballare”, poi sostituiti, su suggerimento dello stesso Troisi, con “e vivrò, sì vivrò/ tutto il tempo per vederti andare via”.

Cinque anni sono passati da quel 4 gennaio del 2015, ma la sua musica resta immortale e viva più che mai, come il suo ricordo, spiegato e scritto in maniera commovente dalla figli Sara: «Ti penso tutti i giorni, ma oggi un po’ di più. Il dolore piano piano si sta trasformando in forza, con la consapevolezza che ogni giorno che passa assomiglio sempre di più a te»