Domani

C’è una geografia dei corpi che si scrive senza mappe, senza coordinate precise. Si traccia negli spazi minimi, nei millimetri che separano una pelle dall’altra, nelle distanze che sembrano oceani e che invece sono solo l’aria tiepida di una sera di giugno. Marco aveva imparato a memoria la disposizione dei posti a tavola. Sedici persone, sempre le stesse, ogni giovedì sera da tre mesi. Il sale passava di mano in mano seguendo una ritualità domestica che lui aveva trasformato in liturgia segreta. Aspettava quel momento come si aspetta l’alba dopo una notte insonne. Le dita di Giulia sfioravano le sue per una frazione di secondo, appena il tempo di un battito cardiaco accelerato, poi tornavano al loro mondo di educata distanza. Giulia contava i secondi di quel contatto. Uno. Due. Mai più di tre. Abbastanza per sentire il calore della sua pelle, non abbastanza per chiamarlo carezza. Abbastanza per alimentare un desiderio che cresceva come l’erba tra le crepe del cemento, ostinato e inappropriato.

Lavoravano nello stesso palazzo, quattordici piani di vetro e acciaio che si ergevano sul centro città come una promessa di modernità. L’ascensore era il loro purgatorio quotidiano, uno spazio sospeso tra cielo e terra dove il tempo si dilatava e i silenzi assumevano il peso delle parole non dette. “Quarto piano,” annunciava la voce metallica, e loro si fermavano sempre lì, anche quando dovevano andare più su. Un rituale che nessuno dei due aveva mai spiegato all’altro, ma che entrambi rispettavano con la precisione di chi sa che certi gesti sono sacri proprio perché inspiegabili. In quel momento di pausa, mentre le porte rimanevano chiuse per qualche secondo di troppo, Giulia sentiva il respiro di Marco mescolarsi al suo. Non si guardavano mai, tenevano gli occhi fissi sui numeri che si accendevano e si spegnevano come stelle in un cielo artificiale, ma respiravano lo stesso silenzio, lo stesso desiderio trattenuto. La metropolitana della sera aveva il sapore della stanchezza e della nostalgia. Vagone numero tre, sempre quello, perché Giulia aveva scoperto che Marco prendeva sempre il treno delle 18:47 e si sedeva sempre nel posto accanto al finestrino, dalla parte sinistra. Lei aveva modificato i suoi orari, inventato scuse con le colleghe, pur di condividere quei venti minuti di viaggio. Le loro spalle si toccavano quando il treno curvava, quando frenava bruscamente, quando la città li scuoteva insieme in un abbraccio involontario. Nessuno dei due si spostava. Nessuno dei due faceva finta di niente. Esisteva un accordo silenzioso tra i loro corpi, una conversazione che si svolgeva al di sotto delle parole, nella lingua segreta dei contatti casuali che non erano mai casuali. Giulia aveva trentotto anni e un matrimonio che le stava stretto come un vestito della taglia sbagliata. Marco ne aveva quaranta e una solitudine che portava addosso come una cicatrice invisibile. Avevano imparato a riconoscersi senza presentazioni, a volersi bene senza dichiararsi, a essere fedeli a un amore che non osavano chiamare per nome. C’era qualcosa di antico in quel desiderio che si nutriva di briciole, di sguardi rubati, di mani che si sfioravano passando il sale. Qualcosa che apparteneva a un tempo in cui l’amore era fatto di attese, di sospiri, di tutto quello che non si poteva dire. La sera del giovedì scorso, aveva sentito le dita di marco indugiare un secondo di troppo sulla sua mano mentre le passava il sale. Un secondo che conteneva tutto: la domanda, la risposta, la promessa di un futuro diverso. Aveva alzato gli occhi e per la prima volta si erano guardati davvero, oltre le regole del gioco che si erano imposti. “Domani,” aveva sussurrato lui, così piano che solo lei poteva sentirlo. “Domani,” aveva risposto lei, e in quella parola c’era tutta la paura e tutto il coraggio del mondo. Ora giulia è seduta nel solito posto del vagone numero tre, il treno delle 18:47 che la porta via dalla sua vita ordinata verso un domani che ha il sapore dell’ignoto. marco non c’è. Il posto accanto al finestrino è vuoto, e quel vuoto le ricorda che a volte i desideري che si nutrono di lontananza muoiono quando si avvicinano troppo alla realtà. Ma le sue spalle ricordano ancora il calore delle sue, e questo, forse, è già abbastanza. Forse l’amore più vero è quello che si accontenta di esistere negli spazi minimi, nei gesti involontari, nelle geografie segrete che si disegnano tra un corpo e l’altro senza bisogno di mappe. Il treno curva, e Giulia si sposta leggermente verso il finestrino, lasciando uno spazio vuoto che profuma ancora di speranza.


Disclaimer: Il testo è un racconto di pura fantasia. Tutti i personaggi, i luoghi, gli eventi e le situazioni descritte sono frutto dell’immaginazione dell’autore e non hanno alcun riferimento intenzionale a persone reali, viventi o defunte, a istituzioni, enti o organizzazioni esistenti. Qualsiasi somiglianza con la realtà è da considerarsi puramente casuale e non voluta. Gli eventi narrati non intendono rappresentare fatti storici reali né fare riferimento a situazioni o circostanze realmente esistenti. Il racconto è stato creato esclusivamente a scopo narrativo e di intrattenimento.

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