EDITORIALE – Immaginate di trovarvi immersi nel pieno degli anni 70: le mode che cambiano, la musica in sperimentazione continua e tutto ciò che sembra arrivare da oltre Manica o oltre oceano sembra essere sacro come il Vangelo.
Ma c’è anche chi, nel 1976, si trova emigrante dalla Calabria e trasferito nella Capitale e seguire i propri sogni e le proprie ambizioni. Sarebbe troppo semplice attingere dalle suddette mode, trarne ispirazione e avere successo, ma l’emigrante in questione è un certo Rino Gaetano a cui mode e convenzioni non vanno proprio giù.
A 40 anni esatti dalla sua dipartita, decido di omaggiare nel mio piccolo il grande Rino, con uno dei suoi album più celebri: quel “Mio fratello è figlio unico” che la rivista Rolling Stone ha inserito nella classifica dei “100 dischi italiani più belli di sempre” alla quattordicesima posizione.
Un album che al centro mette lo status di persona “normale” o meglio ancora “comune”, lontana dalle mode e influenze sopra citate e quindi dagli stereotipi convenzionali dell’epoca. Gaetano riflette su se stesso, sullo smarrimento quasi meccanico che vede intorno a sé, si isola e riflette sulla semplicità della quotidianità e dei suoi ritmi.

La title track che da il titolo all’album riflette proprio su questo, sfoggiando nel suo testo un elenco di interrogativi semplici ma non di certo convenzionali, tipo chi non ha mai preso un treno rapido Taranto-Ancona? Chi non ha mai pagato per fare l’amore? Beh Mario, che è “figlio unico” perché è lontano dalle mode, lontano dai luoghi comuni, perché è indipendente e si concede il lusso di essere se stesso, di ragionare con la propria testa. Per questo motivo, Mario è solo, perché non riesce ad inserirsi nella società piena e stracolma di cliché, di regole già scritte, che tutti come automi seguono e assimilano. Chi non ha mai criticato un film senza vederlo? La gente non pensa, non riflette prima di parlare. Mario invece dà ancora un certo valore alla riflessione, al costruirsi un’idea.
Il ritornello “E ti amo Mario” è una sorta di fare il verso alle canzoni d’amore che in quegli anni erano in testa alle classifiche, proprio perché seguite da tutti e diventate una vera e propria moda.
E’ il Rino Gaetano che sfodera la sua arma più potente, l’ironia, la sagacia, il prendersi gioco di sé stesso prima ancora che della società che lo ospita e circonda. C’è qualcosa che però forse Rino estrapola da oltre Manica, ed è l’utilizzo del sitar suonato abilmente nell’album dal maestro brasiliano Gaio Chiocchio. Un omaggio a George Harrison secondo alcuni, con il chitarrista dei Beatles a sua volta influenzato, come Stones e Pink Floyd, dai ritmi di quegli anni del compositore indiano Ravi Shankar.
L’album trascina l’ascoltatore tra suoni sospesi e testi non convenzionali o per lo meno nuovi per le masse dell’epoca. Sfiorivano Le Viole gratifica l’ascoltatore con i suoi suoni sospesi tra anni 60 e ritmi sudamericani, trascinandolo in un testo apparentemente nonsense, ricco di spunti e di citazioni divertentissime. Glu Glu è un breve episodio, divertente e leggero, ma privo di spunti memorabili, mentre la successiva Cogli La Mia Rosa D’Amore è una delle canzoni che meritano maggior attenzione, con un bel tema musicale, leggero e profondo allo stesso tempo, ed un testo da ascoltare con attenzione.
Il vinile, nel 1976, ad un certo punto andava girato e il lato B presentava subito il “pezzo forte”, Berta Filava, il cui testo parte da prevedibili giochi di parole senza significato per poi rivelarsi un’invettiva contro la resistenza degli adulti ad adeguarsi al cambiamento dei costumi, su un tappeto ritmico originale e movimentato. Un invito a ballare e a divertirsi. L’interpretazione mai troppo seria di Rino Gaetano rende allegro anche il ritmo ternario di Rosita, sdrammatizzato e alleggerito da un’enfasi innaturale e un po’ fanfarona, elemento spesso presente nell’interpretazione dell’autore anzi, tratto caratteristico del suo stile. Al compleanno Della Zia Rosina è un delicato affresco nel quale viene descritta una tipica scena di festa familiare, con le considerazioni personali ed il punto di vista di uno dei più importanti esponenti della canzone d’autore italiana. Il lavoro si conclude con la canzone dal titolo chilometrico: La Zappa… Il Tridente, Il Rastrello, La Forca, L’Aratro, Il Falcetto, Il Crivello, La Vanga, nella quale l’autore libera tutta la sua creatività, senza preoccuparsi minimamente di dover piacere per forza a qualcuno, senza la necessità di dover scrivere qualcosa di “significativo” e “alla moda”.
Un autore come Rino Gaetano manca come l’aria in questi tempi difficili, nel suo perfetto stile di narratore realista in cui ironia e leggerezza prendono il sopravvento in modo naturale e spontaneo. Un artista che ha portato in scena se stesso tra difetti, allegoria, poesia e genialità anche sregolata, senza peli sulla lingua o maschere.
In ogni telefonino o in ogni playlist che si rispetti, una canzone di Rino deve esserci sempre e oggi, che ricorre il triste anniversario della sua morte, l’unica cosa doverosa che va fatta è quella di riascoltarlo a tutto volume in tutta la sua geniale semplicità.