#TellMeRock, 24 Maggio 1941: gli 80 anni del mito di Bob Dylan, Like a Rolling Stone e quelle risposte nel vento che cambiarono il folk rock

EDITORIALE – Fu una rivoluzione poco più che tentata quella che Bob Dylan mise in scena nel 1965 con la pubblicazione di Bringing It All Back Home, 33 giri con una facciata elettrica e una acustica che però si apre con la epica Mr. Tambourine Man, vale a dire il brano che da li a poche settimane e però non nella versione dell’autore, bensì in quella dei Byrds, inaugurerà la stagione del folk rock.

Ma Robert Allen Zimmermann, in arte Bob Dylan, 80 primavere proprio oggi (Duluth, 24 maggio 1941), nell’aprile di quello stesso anno si reca in Gran Bretagna ed è la terza volta, ma il primo tour vero. Sul palco si offre ancora come il menestrello solitario di un tempo e non ne può più egli stesso dalla noia. Al ritorno a casa riversa tutta la sua frustrazione in una canzone della quale dirà che “scriverla fu come nuotare nella lava appeso per le braccia a una betulla”.

Quella che secondo la rivista Rolling Stone è la più grande canzone di tutti i tempi, fu scritta da Dylan nel 1965 per entrare a far parte dell’album Highway 61 Revisited. Le sue origini non hanno musica, nel senso che la base di Like A Rolling Stone è uno scritto di venti pagine dove Dylan sfogava la sua rabbia contro un destinatario mai identificato, anche se più volte si è sussurrato che potesse essere Edie Sedgwick, bellissima modella e attrice della Factory di Andy Warhol che Dylan aveva conosciuto proprio nel corso della sua tournee in Gran Bretagna e per la quale, si dice, abbia composto anche un altro capolavoro: Just Like Woman. A Woodstock, nello Stato di New York, scrisse i primi quattro versi in musica e il ritornello; il resto venne qualche giorno dopo.

Like a Rolling Stone, che sarà poi ripresa da molti tra cui Sua Maestà la Chitarra di Jimi Hendrix, fu anche una delle canzoni che Dylan eseguì nel famigerato giorno del tradimento, al festival di Newport, il 25 luglio del 1965, quando tutti aspettavano l’arrivo del Messia con la chitarra acustica e lui annichilì la platea con questa cavalcata elettrica di sei minuti la cui bellezza ha effettivamente pochi paragoni nell’ambito della musica popolare.

Soffiano santo furore e contemporaneamente un briccone senso di liberazione sull’album che viene inciso nel suddetto 1965. Sulla copertina di Highway 61 Revisited, Bob Dylan non è più Woody Guthrie ma James Dean, o Marlon Brando. La missione impossibile di sostenere la tensione di Like a Rolling Stones per un intero LP viene portata a termine con successo e per di più è un disco lungo per gli standard dell’epoca, oltre cinquantuno minuti.

Highway 61 Revisited, oltre ad essere il primo cd regalatomi da mio padre, è il disco che fece diventare il rock n’roll pù adulto e, in prospettiva, una musica anche per adulti…

Nell’esatto istante in cui, con Ballad Of a Thin Man, chiariva come si fossero alzati tra le generazioni steccati invalicabili.

Ma oggi, nel giorno in cui il Premio Nobel Bob Dylan compie 79 anni, c’è un’altra canzone simbolo di cui vorrei parlarvi. Non è inclusa nell’album di oggi ma arriverà solo undici anni dopo, nel 1976, pubblicata nell’album Desire.

E’una delle protest song più note di Dylan, anche perché non si limita a una protesta generica ma fa nomi e cognomi, tanto che la Columbia lo pregò di incidere una seconda versione più moderata.

Hurricane è Rubin Hurricane Carter, accusato ingiustamente dell’omicidio di due bianchi e del ferimento di un terzo a Paterson, nel New Jersey, il 17 giugno 1966. La polizia cercava due neri e li trovarono nel pugile Carter e nel suo amico John Artis, che si trovavano nelle vicinanze. Furono condannati all’ergastolo senza lo straccio di una prova.

Nessuno dei testimoni, nemmeno il sopravvissuto, riconobbe in loro uno degli assassini;  anzi, fu più volte sottolineato che gli identikit forniti non coincidevano in alcun modo.

Dopo otto anni di prigione, Carter inviò a Dylan una copia della sua autobiografia, The Sixteenth Round, e Dylan scrisse di getto Hurricane, che finì in un singolo e poi su Desire del ’76.

Durante il tour del 1975 con la Rolling Thunder Revue, Dylan tenne un concerto per Carter al Madison Square Garden di New York, il 5 dicembre lo incontrò in carcere e suonò per lui alla Clinton State Prison, nel 1976 tenne un altro concerto all’Astrodome di Houston in Texas.

L’innocenza di Carter fu provata solo nel 1988, la sua storia è raccontata anche nel film del 1999 Hurricane di Norman Jewison, con Denzel Washington nella parte del pugile.

Ma in nessun modo si possono spiegare gli 80 anni di musica e vita di Bob Dylan, senza parlare di Blowin’In The Wind, il brano con cui Zimmermann diventa Dylan e si presenta al mondo con una chitarra e un’armonica prendendolo a calci e pugni.

Il brano vede la luce il 16 aprile del 1962. Dylan e David Blue, un altro artista folk dell’epoca, avevano trascorso l’ultima parte del pomeriggio a bere caffè e chiacchierare. Verso le cinque Bob Dylan tirò fuori la chitarra, un pezzo di carta e una matita e domandó se poteva provare un abbozzo di canzone che aveva composto qualche ora prima, correggendone frasi e rime.

Subito dopo si spostarono al Gerdes Folk City, il locale del Greenwich Village di New York dove stava fiorendo la rinascita del Folk. Lì Blowin’In The Wind venne presentata ufficialmente al pubblico che, al termine della canzone, si alzò in piedi per applaudire. Quella fu la prima standing ovation per Dylan.

La canzone è in realtà, anche se è difficile da credere, l’adattamento di uno spiritual nero, No More Auction Block, originariamente cantato dagli schiavi neri in Canada. Lo stesso Dylan ha ammesso negli ultimi anni la fonte originale. Senza problemi bisogna ammettere anche che il cantautore americano ha sempre avuto ragione su una cosa: cioè che il rock folk vive di riadattamenti e storie.

Perché forse è davvero questo l’unico modo per tenerla in vita, ma fatto sta che Blowin’ In The Wind ha mantenuto in vita il folk e, allo stesso tempo, inaugurato un’epoca di diritti civili, di contestazioni, di sogni e di utopie.

Pensate a quanto può fare una canzone, anche se ha solo domande. Perché, come si sa, le risposte soffiano nel vento.

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