L’entità dell’evasione fiscale contestata alle grandi imprese nel 2018 è stata 16 volte superiore a quella delle piccole aziende e dei lavoratori autonomi (nel 2017 era stata pari a 18). Lo rileva la Cgia di Mestre: dall’attività di accertamento svolta dall’Agenzia delle Entrate lo scorso anno sulle attività economiche, emerge come la maggiore imposta media accertata per ogni singola grande azienda sia pari a poco più di 1 milione di euro, per la media impresa di 365.111 euro e per la piccola di 63.606 euro.
Sottolinea il coordinatore dell’Ufficio studi degli Artigiani di Mestre Paolo Zabeo: “Questi dati ci dicono che la potenziale dimensione dell’infedeltà fiscale delle grandi aziende è enormemente superiore a quella delle piccole”.
“Ovviamente, nessuno di noi – continua Zabeo – auspica che il Paese si trasformi in uno Stato di polizia tributaria; tuttavia, una maggiore attenzione verso questi soggetti sarebbe auspicabile, visto che le modalità di evasione delle holding non è ascrivibile alla mancata emissione di scontrini o ricevute, bensì al ricorso alle frodi doganali, alle frodi carosello, alle operazioni estero su estero e alle compensazioni indebite.”
In riferimento a questi ultimi reati il coordinatore Zabeo è convinto che non verranno nemmeno sfiorati dalle misure di contrasto all’utilizzo del contante che il Governo metterà a punto in queste settimane.
“Grandi o piccoli che siano – tesi su cui concorda anche il segretario della Cgia Renato Mason – gli evasori vanno perseguiti ovunque si nascondano. Tuttavia, se il nostro fisco fosse meno esigente, lo sforzo richiesto sarebbe più contenuto e probabilmente ne trarrebbe beneficio anche l’Erario. Con una pressione fiscale inferiore, molti che oggi sono evasori marginali diventerebbero dei contribuenti onesti”