Il cantastorie del vento

Il vento sferzava la costa dell’Isola del Giglio con una violenza insolita per ottobre. Maurice Leblanc si strinse nel logoro impermeabile e osservò la distesa d’acqua increspata sotto la terrazza del piccolo albergo. Era arrivato sull’isola tre giorni prima, seguendo una pista tanto fragile quanto il filo di una ragnatela. “Ancora un caffè, signor Leblanc?” chiese la proprietaria, una donna sulla sessantina dal viso segnato dal sole e dal vento. “Volentieri, signora Rossi.” La donna tornò poco dopo con una tazzina fumante. “Con questo tempo, meglio restare al riparo. Il mare è traditore quando si arrabbia.” Maurice annuì distrattamente. Non era il mare che lo interessava, ma l’uomo che abitava nella casa bianca sulla scogliera, a nord del paese. Carlo Vanetti, pittore di fama modesta ma crescente, arrivato sull’isola cinque anni prima. “Il signor Vanetti viene mai qui?” chiese, fingendo noncuranza. La donna si irrigidì impercettibilmente. “Qualche volta, per la cena. È un tipo strano. Sta sempre solo.” Maurice bevve il caffè in silenzio. La verità era che Carlo Vanetti non esisteva fino a cinque anni prima. Prima c’era solo François Mercier, un contabile di Lione scomparso con tre milioni di euro dal conto della società per cui lavorava.

Il sentiero che conduceva alla casa di Vanetti era scivoloso dopo la pioggia. Maurice procedeva con cautela, osservando la struttura che si stagliava contro il cielo plumbeo. Una costruzione semplice, bianca, con persiane azzurre sbiadite dalla salsedine. Trovò l’uomo sulla terrazza posteriore, davanti a un cavalletto. Indossava un maglione pesante e dipingeva con movimenti rapidi e sicuri. “È un reato entrare in proprietà privata,” disse senza voltarsi. “Lo so, signor Mercier,” rispose Maurice. Il pennello si fermò a mezz’aria. L’uomo si voltò lentamente. Aveva un viso ordinario, di quelli che si dimenticano facilmente. I capelli, un tempo castani, erano ora grigi e più lunghi. “Chi è lei?” “Non sono della polizia, se è questo che teme,” disse Maurice, avanzando sul terrazzo. “Il mio nome è Maurice Leblanc. Sono un investigatore privato.” Vanetti, o Mercier che fosse, riprese a dipingere. “E chi l’ha mandato? Lemaire? O forse Gaillard?” “La vedova Fournier.” Il pennello tremò leggermente. “Claudine è morta due anni fa.” “Lo so. Mi ha lasciato una lettera, da aprire in caso di sua morte. Dentro c’erano istruzioni per trovarla.” L’uomo appoggiò il pennello e si voltò completamente. “Cosa vuole?” “Per ora, solo parlare.” Il quadro sul cavalletto mostrava la baia dell’isola, con il vento che sembrava prendere forma tangibile tra le pennellate di blu e grigio. Era notevole come fosse riuscito a catturare quella forza invisibile. “Lei dipinge il vento,” osservò Maurice. L’uomo sorrise appena. “Tu che disegni il vento, insegnami a cantarlo. Me lo diceva sempre Claudine.” Maurice studiò il viso dell’uomo. Non sembrava un criminale, ma d’altronde raramente lo sembravano. “I soldi sono stati restituiti,” disse Vanetti dopo un lungo silenzio. “Fino all’ultimo centesimo.” “Lo so. Anonimamente, tre anni fa.” “Allora cosa vuole da me?” Maurice si sedette su una sedia di vimini accanto al muro. “Voglio sapere perché. Perché rubare per poi restituire? Perché scomparire in questo modo?” Vanetti sospirò, posando la tavolozza. “Mi offre un brandy? Fa freddo e questa è una storia lunga.”

L’interno della casa era semplice ma curato. Libri ovunque, qualche quadro alle pareti. Una casa di un uomo che aveva ricominciato da capo, pensò Maurice. “Ero un contabile mediocre e un marito ancora peggiore,” iniziò Vanetti mentre versava il liquore in due bicchieri. “Claudine meritava di meglio.” “Eppure l’ha aiutata a fuggire.” “Era malata. Un tumore al pancreas. I medici le davano sei mesi, un anno al massimo.” Si fermò, gli occhi persi nel bicchiere ambrato. “Non avevamo i soldi per le cure sperimentali in Svizzera. L’assicurazione non copriva nulla.” Maurice bevve un sorso. Il brandy era buono, caldo. “Così ha rubato i soldi.” “Così ho rubato i soldi,” confermò l’uomo. “L’ho portata in Svizzera, poi qui. Le terapie hanno funzionato, per un po’. Abbiamo avuto tre anni. Tre anni in più. Lei dipingeva, io ho imparato. Mi ha insegnato a vedere il vento.” Maurice guardò fuori dalla finestra. La tempesta si stava placando. “E poi?” “E poi il male è tornato. Più forte. Questa volta non c’era niente da fare.” Vanetti bevve tutto il contenuto del bicchiere. “Prima di morire mi ha fatto promettere due cose: restituire i soldi e continuare a dipingere.” Maurice annuì lentamente. “La vedova Fournier… in realtà era sua moglie.” “Claudine Fournier, sì. Ha usato il suo cognome da nubile qui sull’isola.” “E lei perché è rimasto? Poteva andarsene dopo aver restituito i soldi.” Vanetti si alzò e si avvicinò alla finestra. Il sole cominciava a filtrare tra le nuvole, creando bagliori argentati sul mare. “Vede quel promontorio?” indicò un punto sulla costa. “Le ceneri di Claudine sono lì. E poi…” si voltò verso Maurice con un’espressione serena, “qui ho imparato a cantare il vento, come voleva lei.” Maurice si alzò. “Devo denunciarla.” “Lo so.” “Ma non lo farò.” Prese dalla tasca una busta e la posò sul tavolo. “Qui dentro ci sono tutti i documenti che provano la sua identità. Li ho trovati nell’appartamento di Lione.” L’uomo guardò la busta senza toccarla. “Perché?” “Perché Claudine Fournier ha pagato la mia parcella in anticipo. E la mia missione era trovarla e consegnarle questo.” Maurice estrasse da una tasca interna della giacca un pacchetto avvolto in carta da regalo consumata. “Mi ha chiesto di darglielo il giorno del suo cinquantesimo compleanno. Che sarebbe oggi, giusto?” Le mani di Vanetti tremarono mentre prendeva il pacchetto. Lo aprì con cura. Dentro c’era un piccolo quaderno con la copertina di pelle consunta. “Il suo diario,” mormorò l’uomo. “Lo scriveva sempre, ogni sera.” “C’è anche un biglietto,” disse Maurice. Vanetti aprì il biglietto e lesse in silenzio. Una lacrima solitaria scese sulla sua guancia rugosa. “Tu che disegni il vento,” lesse ad alta voce, “ora puoi finalmente cantarlo.” Maurice si diresse verso la porta. Non c’era più niente da dire. “Tornerà sull’isola?” chiese Vanetti, senza distogliere lo sguardo dal biglietto. “No,” rispose Maurice. “Il caso è chiuso.” Uscì nella luce del pomeriggio. Il vento era cambiato, ora soffiava leggero dal mare, portando con sé l’odore di alghe e sale. Maurice si incamminò verso il paese, lasciandosi alle spalle la casa bianca sulla scogliera e l’uomo che aveva imparato a cantare il vento.


Disclaimer: Il testo è un racconto di pura fantasia. Tutti i personaggi, i luoghi, gli eventi e le situazioni descritte sono frutto dell’immaginazione dell’autore e non hanno alcun riferimento intenzionale a persone reali, viventi o defunte, a istituzioni, enti o organizzazioni esistenti. Qualsiasi somiglianza con la realtà è da considerarsi puramente casuale e non voluta. Gli eventi narrati non intendono rappresentare fatti storici reali né fare riferimento a situazioni o circostanze realmente esistenti. Il racconto è stato creato esclusivamente a scopo narrativo e di intrattenimento.

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