Il rapporto tra Potenza, città capoluogo, e la sua provincia non è mai stato particolarmente lineare, né sereno. Sarà per la difficoltà a raggiungerlo – già Michele Lacava, a fine Ottocento, biasimava la sua «disgraziata posizione in un angolo remoto della provincia», sarà perché in fondo, in un contesto storicamente depresso e depauperato come quello lucano, prevale una certa invidia per l’unico luogo che ha una parvenza di urbanizzazione strutturata, con annesso accesso ai servizi. Sta di fatto che noi “abitanti dei margini” tendiamo a sbeffeggiare, un po’ per scherzo un po’ seriamente, una certa manifestazione della “potentinità”, fortemente condizionata dalla prossimità e subordinazione ai poteri che attraversano il capoluogo, che si traduce nella presunzione di superiorità nei confronti di chi vive o viene dai territori che a Potenza fanno riferimento. E più ci si allontana da quel nerbo da cui tutto passa, e più questo sentimento si fa giocoforza mordace, a tratti livoroso.
Buona parte del conflitto tra centro e periferia, nella nostra regione, si gioca dunque su un immaginario comportamentale dettato dalle geografie dei luoghi e dei poteri, che rapidamente si trasforma in giudizio etico.
Ma la Storia evolve e, lungi da qualsiasi ipotesi di sua fine, con annessa razionalizzazione dell’esistente, con essa evolvono anche le visioni. I balzi in avanti, nella Storia, vengono solitamente favoriti da rotture traumatiche. E tale è stata, potremmo dire, la drammatica vicenda di Elisa Claps, che si trasforma in uno spettro con cui si riflettono le varie strisce luminose che ci aiutano a comporre un’immagine diversa del luogo che ne è stato teatro. Infatti, se da un lato esse svelano una innegabile distorsione morale di una parte della città – che tende a confermare quella visione popolare, incipit del nostro ragionamento – dall’altro, e in contrapposizione alla pervasività di alcuni luoghi comuni, ha rovesciato completamente quel paradigma, affermando una dignità civile che è la sostanza più pura di una comunità. Oggi, una parte di essa, una parte molto consistente, sta dando una grande lezione di impegno e fermezza, all’Italia intera, nel nome della verità e della giustizia. Sfidando poteri che sembravano inscalfibili, e fendendo come lama nel burro quel muro di varia umanità che li sorregge. Ieri, domenica 5 novembre, lo ha fatto nel modo più perentorio, rispondendo a un incomprensibile atteggiamento della curia locale, volto ad eludere quel basso profilo da tenere nel luogo assurdo di quell’assurdo sacrificio, un atteggiamento sollecitato in primis dal Pontefice in occasione della riapertura della chiesa della Trinità.
Ci si chiede a chi possa realmente giovare questo modo di fare. Di sicuro, la dinamica che il caso sta acquisendo, al netto dei tentativi di strumentalizzazione della sua popolarità che sono trasversali e fanno gola a chi è affamato di visibilità, aiuta noi della provincia ad avere una visione diversa della città, di quella Potenza a cui abbiamo guardato sovente con astio, e che oggi è presidio di libertà e perseveranza, da cui tutti dovremmo prendere esempio.