Il Consiglio d’Europa e il lavoro femminile: il gap italiano

EDITORIALE – Il Comitato Europeo dei Diritti Sociali (CEDS) è l’organismo del Consiglio d’Europa che controlla il rispetto degli impegni assunti dagli Stati per garantire l’applicazione dei diritti riconosciuti dalla Carta Sociale Europea tramite due meccanismi complementari: i reclami collettivi, che possono essere presentati da associazioni sindacali e datoriali, oltre che da altre organizzazioni non governative (procedura dei reclami collettivi), e i rapporti nazionali periodici presentati dai Governi delle Parti contraenti (procedura dei rapporti).


Lo scorso 29 giugno, tale organismo, a seguito dei reclami proposti dalla ONG internazionale University Women Europe (UWE), ha rilevato violazioni del diritto alla parità di retribuzione e del diritto alle pari opportunità sul luogo di lavoro in 14 dei 15 paesi che hanno acconsentito ad applicare la procedura dei reclami collettivi della Carta sociale europea: Belgio, Bulgaria, Cipro, Croazia, Finlandia, Francia, Grecia, Irlanda, Italia, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Repubblica Ceca e Slovenia.


Nessuno è escluso, insomma; solo la Svezia ha adottato comportamenti conformi alle disposizioni della Carta.


Ai sensi della Carta Sociale Europea, il diritto alla parità di retribuzione deve essere garantito per legge. In particolare, il CEDS ha indicato quattro precisi obblighi a carico degli Stati contraenti:


1) Riconoscere nella loro legislazione il diritto alla parità di retribuzione per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore;
2) Garantire l’accesso a vie di ricorso efficaci per le vittime di discriminazione salariale;
3) Assicurare la trasparenza salariale e rendere possibile un confronto delle retribuzioni;
4) Mantenere attivi organismi efficaci per la promozione della parità e istituzioni competenti per garantire nella pratica la parità di retribuzione.


Marija Pejčinović Burić, Segretaria generale del Consiglio d’Europa, sul punto ha affermato: “Il divario retributivo di genere è inaccettabile, eppure continua a rappresentare uno dei principali ostacoli al conseguimento di una reale uguaglianza nelle società moderne. I governi europei devono intensificare urgentemente gli sforzi per garantire le pari opportunità sul posto di lavoro. E un numero maggiore di paesi dovrebbe utilizzare la Carta sociale europea del Consiglio d’Europa in quanto mezzo per raggiungere tale obiettivo”.


Il CEDS, pur avendo concluso che la legislazione di tutti i 15 paesi interessati risulta soddisfacente per assicurare il riconoscimento del diritto alla parità di retribuzione per uno stesso lavoro, ha riscontrato un discreto numero di violazioni dovute principalmente agli scarsi progressi nella riduzione del divario retributivo di genere; in alcuni casi ciò è dovuto anche alla mancata trasparenza salariale nel mercato del lavoro, all’assenza di vie di ricorso efficaci e all’insufficienza dei poteri e mezzi conferiti agli organismi nazionali per la promozione della parità di genere.


Inoltre, bisogna sottolineare che, malgrado gli accordi sull’applicazione di sistemi di quote e l’adozione di altre misure, le donne continuano ad essere sottorappresentate nelle posizioni decisionali all’interno delle aziende private.


A tale riguardo, il CEDS ha constatato che la percentuale di donne che siedono nei consigli di amministrazione delle più importanti società quotate in borsa nei paesi in cui vigono disposizioni legislative vincolanti è passata da una media del 9,8% nel 2010 al 37,5% nel 2018. Nei paesi che hanno intrapreso interventi positivi per promuovere l’equilibrio di genere, senza tuttavia adottare misure vincolanti, le percentuali sono state del 12,8% nel 2010 e del 25,6% nel 2018, mentre nei paesi in cui non è stato realizzato nessun intervento particolare (oltre all’autoregolazione da parte delle aziende) la situazione è rimasta praticamente invariata, con una media del 12,8% di donne presenti nei consigli di amministrazione nel 2010, che è passata al 14,3% nel 2018.


Il CEDS ha pertanto ribadito che la Risoluzione dell’APCE 1715 (2010) raccomanda che la percentuale di donne nei consigli di amminiMessaggi non lettistrazione delle società sia almeno del 40%.


Nella sua relazione e in merito alle questioni più generali, il CEDS ha per la verità constatato che il divario retributivo di genere si è ridotto in alcuni paesi, ma che i progressi sono ancora insufficienti.


Il CEDS, infatti, chiarisce che il divario retributivo di genere non è più unicamente né principalmente il risultato di una vera e propria discriminazione ma che deriva essenzialmente dalle differenze nelle cosiddette “caratteristiche medie” delle donne e degli uomini nel mercato del lavoro.


Testualmente: “Tali differenze sono dovute a numerosi fattori, quali la segregazione orizzontale, quando un sesso si trova concentrato in determinate attività economiche (segregazione settoriale di genere) o in determinate occupazioni (segregazione professionale di genere), come pure la segregazione verticale, in particolare il fatto che sono troppo poche le donne che occupano le posizioni dirigenziali e decisionali meglio retribuite all’interno delle aziende. Gli Stati dovrebbero pertanto valutare l’impatto delle misure politiche adottate per affrontare la segregazione di genere nel mercato del lavoro, migliorando la partecipazione delle donne a una gamma più vasta di posti di lavoro e di professioni.”


Per quanto attiene il Belpaese, il gender gap nel mercato del lavoro è ancora lontano dall’essere colmato in Italia, Paese che “ha fatto insufficienti progressi misurabili nel promuovere uguali opportunità” tra donne e uomini.


Insomma, anche in materia di lavoro femminile, l’Europa rappresenta il migliore stimolo per il miglioramento e l’avanzamento sociale… checché ne dicano i populisti e i sovranisti e le donne che militano e sostengono quei partiti e movimenti antieuropeisti.