Il furore di amare

Era un pomeriggio di luglio a Laurina, uno di quelli in cui l’aria si fa densa, quasi solida, e il tempo sembra fermarsi tra le stradine del centro storico. Charles camminava con le mani in tasca e la testa bassa, cercando di evitare lo sguardo degli anziani seduti fuori dai bar che lo conoscevano da quando era bambino. “Charles! Non saluti più?” Il signor Cosimo, settant’anni suonati e una pensione trascorsa a controllare chi passa per via Roma, lo scrutava da sotto il cappello di paglia. “Buonasera, signor Cosimo,” rispose Charles senza rallentare. A quarantacinque anni, Charles Santangelo era tornato a Laurina dopo vent’anni passati a Torino, dove aveva costruito e distrutto una carriera nella pubblicità e un matrimonio con Giovanna, milanese, che lo aveva lasciato per un dentista di Novara. “Un dentista! Capisci? Uno che passa la vita a guardare in bocca agli altri!” ripeteva agli amici. Il ritorno a Laurina doveva essere temporaneo. Un mese, due al massimo. Il tempo di sistemare la casa dei genitori e metterla in vendita. Era passato un anno. La piazzetta della chiesa era deserta, ma dal piccolo bar all’angolo usciva una musica malinconica. Charles entrò. “Un caffè?” chiese Rita, la proprietaria, una donna sulla cinquantina con occhi che sembravano aver visto tutto. “Sì, grazie.” Rita gli preparò il caffè con gesti meccanici, come se stesse eseguendo un rituale. Charles la osservava. C’era qualcosa in lei, una sorta di energia trattenuta che lo affascinava. “Com’è che sei ancora qui?” chiese Rita all’improvviso, mentre gli porgeva la tazzina. “Pensavo che la grande città ti avesse cambiato.” “Anche io lo pensavo,” rispose Charles, sorridendo per la prima volta quel giorno. “E invece?” “E invece ho il furore di amare. Il mio cuore così debole è folle,” disse, sorprendendosi delle sue stesse parole. Rita lo fissò con uno sguardo penetrante. “Mi sembra una cosa che si dice quando si è giovani.” “O quando si smette di fingere di essere adulti.” Il telefono di Rita squillò. Lei rispose con monosillabi, poi riattaccò con un’espressione preoccupata. “Devo chiudere. Mio figlio ha avuto un incidente con lo scooter.” “È grave?” “No, ma devo andare all’ospedale di Lagonegro.” “Ti accompagno io,” si offrì Charles.

Nel tragitto in macchina, Rita rimase in silenzio, stringendo nervosamente la borsa. All’improvviso disse: “Sai qual è il problema di questo posto? Che tutti sanno tutto di tutti, ma nessuno sa davvero niente di nessuno.” Charles annuì. “A Torino era il contrario. Nessuno sapeva niente di nessuno, e a nessuno importava.” “E cos’è meglio?” “Non lo so. Ma so che da quando sono tornato, mi sento osservato, giudicato, ma anche… presente. Come se la mia esistenza contasse qualcosa.” Rita sorrise. “Il furore di amare…” “Sì, anche se non so bene cosa significhi.” “Significa che sei vivo,” disse Rita, appoggiando per un istante la mano su quella di Charles. All’ospedale trovarono Luca, il figlio diciottenne di Rita, con un braccio fasciato e qualche escoriazione. Si era scontrato con un’auto all’incrocio vicino alla scuola. Mentre Rita parlava con il medico, Charles si sedette accanto al ragazzo. “Sei l’amico di mamma?” chiese Luca con un tono che oscillava tra il disprezzo e la curiosità. “No, sono solo un cliente del bar.” “E ti sei offerto di accompagnarla fino a qui? Strano.” “A volte le persone fanno cose strane.” “Come tornare a vivere a Lauria dopo essere stati a Torino?” Charles rise. “Esattamente.” Sulla via del ritorno, con Luca addormentato sul sedile posteriore grazie agli antidolorifici, Rita ruppe il silenzio. “Perché sei veramente tornato?” Charles sospirò. “Mi sono svegliato una mattina e ho capito che stavo recitando una parte. Che la mia vita a Torino era… fittizia. Come se fossi in un film e qualcuno avesse scritto le battute per me.” “E qui a Laurina?” “Qui non ho battute. Qui sono… nudo. Vulnerabile. Mi sento come un adolescente che scopre l’amore per la prima volta. È ridicolo alla mia età, lo so.” “Non è ridicolo,” disse Rita. “È quello che succede quando smetti di nasconderti.” Arrivati davanti al bar, Charles aiutò Luca a scendere dalla macchina. Rita aprì la porta di casa, un piccolo appartamento sopra il locale. “Ti va un bicchiere di vino?” propose Rita. “Non dovrei guidare…” “Puoi dormire sul divano. Se non ti dispiace.” Quella notte, seduti sul balcone che dava sulla piazzetta deserta, Charles e Rita parlarono come non avevano mai parlato con nessun altro. Del matrimonio fallito di lei con un uomo violento. Della paura di Charles di essere diventato invisibile. Delle piccole follie che tenevano in vita.

“Il mio cuore così debole è folle,” ripeté Charles, guardando le stelle sopra Laurina. “Forse è questo che significa essere vivi. Avere il coraggio di essere deboli.” Rita appoggiò la testa sulla sua spalla. “E di essere folli.” La mattina dopo, Charles si svegliò con la luce del sole che filtrava dalla finestra. Rita era già al bar, che preparava per l’apertura. Luca dormiva ancora nella sua stanza. Charles si alzò, si lavò il viso e scese le scale. Quando entrò nel bar, Rita stava sistemando le tazzine. “Buongiorno,” disse lei. “Buongiorno,” rispose lui. E in quel semplice scambio, entrambi capirono che qualcosa era cambiato. Che il furore di amare non era una condanna, ma una benedizione. Anche in un piccolo paese come Laurina, dove tutti sanno tutto di tutti, ma nessuno sa davvero niente di nessuno.

Tranne, forse, loro due.



Disclaimer: Il testo è un racconto di pura fantasia. Tutti i personaggi, i luoghi, gli eventi e le situazioni descritte sono frutto dell’immaginazione dell’autore e non hanno alcun riferimento intenzionale a persone reali, viventi o defunte, a istituzioni, enti o organizzazioni esistenti. Qualsiasi somiglianza con la realtà è da considerarsi puramente casuale e non voluta. Gli eventi narrati non intendono rappresentare fatti storici reali né fare riferimento a situazioni o circostanze realmente esistenti. Il racconto è stato creato esclusivamente a scopo narrativo e di intrattenimento.

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