Il sole calava dolcemente dietro le montagne, tingendo di rosso il Mar Tirreno. Lungo la costa frastagliata, un uomo camminava con le mani in tasca, la sagoma scura contro il bagliore del tramonto. Paolo Renzi aveva cinquantacinque anni, ma ne dimostrava dieci di più. Gli occhi infossati, il volto segnato non raccontavano solo il passare del tempo, ma una vita consumata in fretta. Era tornato a Maratea dopo trent’anni. Non per nostalgia, ma per necessità. La lettera dell’avvocato non lasciava spazio a interpretazioni: sua zia Teresa era morta, lasciandogli in eredità la vecchia casa sul promontorio. Paolo osservò il piccolo porto turistico sotto di lui. Barche che ondeggiavano pigramente, pescatori che rientravano con le reti. Tutto sembrava immutato, come se il tempo avesse risparmiato questo angolo di Basilicata. Accese una sigaretta, l’ennesima della giornata. La fiamma tremolante del suo accendino illuminò per un istante il viso stanco. Aspirò profondamente, lasciando che il fumo riempisse i polmoni. Era una cattiva abitudine che non aveva mai abbandonato, insieme a molte altre. La pensione che lo ospitava era modesta ma pulita. La signora Lucia, la proprietaria, lo aveva accolto con un sorriso tirato. Forse lo ricordava, pensò Paolo, forse sapeva chi era. In un paese piccolo come Maratea, le storie non si dimenticano facilmente. “Signor Renzi, la cena è pronta,” disse una voce alle sue spalle. Si voltò. Era la figlia della proprietaria, una donna sui trent’anni. Capelli neri raccolti, occhi che sembravano conoscere la tristezza. “Grazie, Maria.” “Mi chiamo Anna,” rispose lei con un sorriso gentile. “Mi scusi. Anna.” Entrò nella sala da pranzo, deserta a quell’ora. Il turismo a Maratea era un fenomeno estivo; a novembre restavano solo i locali e qualche viaggiatore solitario. La minestra sapeva di casa, un sapore che aveva dimenticato negli anonimi ristoranti di Milano. Mangiò lentamente, accompagnando il pasto con un bicchiere di vino rosso locale. “È qui per la casa di sua zia?” chiese Anna, portando il secondo. Paolo annuì. “Come lo sa?” “Maratea è piccola. Tutti sapevano che Teresa aveva un nipote a Milano.” “Non ci vedevamo da anni.” “Lo so.” C’era qualcosa nel tono di Anna che lo mise a disagio. Come se conoscesse parti della sua storia che lui stesso aveva cercato di dimenticare.
Dopo cena, nonostante la stanchezza, Paolo uscì di nuovo. Sentiva il bisogno di camminare, di respirare l’aria di mare. La notte era fresca, il cielo punteggiato di stelle. Si diresse verso il centro storico. Le case sembravano brillare sotto la luna. Ricordava di aver corso tra quelle strade da bambino, durante le estati passate con la zia. “Paolo? Paolo Renzi?” Un uomo anziano lo osservava dal gradino di una piccola bottega. Ci mise qualche secondo a riconoscerlo. “Professor Marino.” Il vecchio insegnante sorrise, mostrando denti ingialliti. “Sono passati molti anni, ma ti avrei riconosciuto ovunque. Hai gli occhi di tuo padre.” Paolo si irrigidì. Non amava parlare di suo padre. “Sei qui per la casa di Teresa, immagino.” “Sì. Devo occuparmi delle pratiche e poi probabilmente la venderò.” Il professore scosse la testa. “Quella casa ha visto molte cose, Paolo. Alcune belle, altre… meno.” “È solo una vecchia casa, professore.” “Niente è mai solo quello che sembra. Vieni, ti offro un bicchiere.” Lo seguì all’interno della bottega, che si rivelò essere un piccolo bar. L’ambiente era caldo, l’aria pesante di fumo e conversazioni. Qualche avventore si girò a guardarlo con curiosità. Il professor Marino versò due bicchieri di amaro. “Alla memoria,” disse, alzando il suo. Paolo bevve in silenzio. L’amaro era forte, lasciava un retrogusto di erbe. “Sai perché tua zia non ha mai lasciato Maratea?” chiese il vecchio. “Non me lo sono mai chiesto.” “Aspettava.” “Cosa?” “Chi. Aspettava tuo padre.” Paolo posò il bicchiere con forza sul tavolo. “Mio padre è morto annegato trent’anni fa. Non c’era niente da aspettare.” Il professor Marino lo fissò con occhi penetranti. “È quello che tutti credono. È quello che tutti dovevano credere.” Un brivido percorse la schiena di Paolo. “Cosa sta cercando di dirmi?” “Non spetta a me raccontarti questa storia. Va’ alla casa domani. Guarda bene. Teresa conservava tutto.” L’anziano insegnante si alzò con difficoltà. “La verità è come il mare, Paolo. A volte si ritira, ma poi torna sempre.” Quella notte Paolo dormì male. Sogni confusi lo tormentarono: suo padre che lo chiamava dalla scogliera, sua zia che chiudeva a chiave una porta, acqua che saliva, saliva…
La mattina seguente, dopo una colazione frettolosa, si diresse verso la casa sul promontorio. Era una costruzione semplice, in pietra bianca, con le persiane verdi sbiadite dal sole e dalla salsedine. Da bambino gli era sembrata enorme; ora appariva piccola e fragile contro il cielo grigio di novembre. L’avvocato gli aveva dato le chiavi il giorno prima. La serratura era arrugginita, ci volle un po’ per farla girare. Quando finalmente la porta si aprì, un odore di chiuso lo investì. Gli interni erano rimasti come li ricordava: mobili pesanti di legno scuro, tappeti consumati, fotografie in cornici d’argento. Teresa aveva vissuto come se il tempo si fosse fermato. Paolo si mosse lentamente tra le stanze, toccando oggetti, aprendo cassetti. Non sapeva cosa stesse cercando esattamente. Le parole del professor Marino gli rimbombavano nella testa. In salotto, lo sguardo gli cadde su una fotografia che non ricordava. Mostrava suo padre, giovane e sorridente, insieme a un altro uomo. Sullo sfondo si riconosceva il porto di Maratea. Qualcosa non tornava. Studiò meglio l’immagine. La data stampata sull’angolo in basso era posteriore al presunto incidente in cui suo padre era morto. Il cuore gli batteva forte nel petto. Si sedette pesantemente sul divano, la fotografia stretta tra le mani tremanti. La porta d’ingresso si aprì. Paolo si alzò di scatto. Era Anna, la figlia della proprietaria della pensione. “Mi scusi,” disse lei, “ho visto la porta aperta e…” “Cosa ci fa qui?” chiese Paolo, brusco. Anna esitò un momento. “Conoscevo sua zia. Venivo spesso a trovarla.” “Davvero? E perché?” “Teresa era una donna speciale. Sapeva ascoltare. E sapeva tenere i segreti.” Paolo le mostrò la fotografia. “Sa chi è quest’uomo con mio padre?” Anna studiò l’immagine, poi alzò gli occhi verso di lui. “È mio padre.” “E sa quando è stata scattata questa foto?” “Tre anni dopo il suo presunto annegamento. Quando tornò a Maratea in segreto.” Paolo sentì il sangue defluire dal viso. “Mio padre non è morto annegato?” “No. È scappato. C’erano persone pericolose che lo cercavano. Ha inscenato la sua morte per proteggervi, lei e sua madre.” “Come fa a sapere tutte queste cose?” “Mio padre era il suo migliore amico. Lo ha aiutato a fuggire. E Teresa… Teresa era l’unica che sapeva dove si nascondeva. Gli faceva da tramite.” Paolo si sentì improvvisamente senza fiato. Trent’anni di bugie, di dolore, di rancore per un padre che credeva l’avesse abbandonato morendo. “Dov’è ora? È ancora vivo?” “No,” rispose Anna dolcemente. “È morto cinque anni fa, in un piccolo villaggio vicino Barcellona. Teresa è andata al funerale. È stata l’unica.” “Perché nessuno me l’ha detto?” “Suo padre non voleva. Temeva che il pericolo non fosse mai davvero passato. Che potessero arrivare a lei attraverso di lei.” Paolo si passò una mano sul viso stanco. “Chi erano queste persone? Cosa aveva fatto mio padre?” “Questo non lo so con certezza. Mio padre non ne parlava mai. So solo che aveva visto qualcosa che non doveva vedere. E che coinvolgeva persone potenti.” Si fece silenzio nella stanza. Paolo guardò fuori dalla finestra. Il mare era agitato, onde grigie si infrangevano contro la scogliera. “Teresa ha lasciato qualcosa per lei,” disse Anna dopo un po’. “Una lettera. Mi ha fatto promettere di dirglielo solo quando fosse stato qui, in questa casa.” Da una tasca della giacca estrasse una busta ingiallita. Paolo la prese con mani tremanti. “La lascio solo,” disse Anna, dirigendosi verso la porta. Si fermò sulla soglia. “Sa, mio padre diceva sempre che nella vita ci perdiamo, ma poi ci ritroviamo. Forse è arrivato il momento di ritrovarsi, Paolo.” Rimasto solo, Paolo aprì lentamente la busta. Riconobbe immediatamente la calligrafia minuta di sua zia. “Caro Paolo,” iniziava la lettera, “se stai leggendo queste parole, significa che non ci sono più e che sei tornato a Maratea dopo tanto tempo. C’è una storia che devi conoscere, una verità che ho custodito per tuo padre…” Paolo si sedette pesantemente nella vecchia poltrona di sua zia. Fuori, il mare continuava la sua eterna danza contro la costa di Maratea. Onde che si ritiravano per poi tornare, sempre uguali eppure sempre diverse. Come la verità. Come la vita stessa.
Cominciò a leggere.
Disclaimer: Il testo è un racconto di pura fantasia. Tutti i personaggi, i luoghi, gli eventi e le situazioni descritte sono frutto dell’immaginazione dell’autore e non hanno alcun riferimento intenzionale a persone reali, viventi o defunte, a istituzioni, enti o organizzazioni esistenti. Qualsiasi somiglianza con la realtà è da considerarsi puramente casuale e non voluta. Gli eventi narrati non intendono rappresentare fatti storici reali né fare riferimento a situazioni o circostanze realmente esistenti. Il racconto è stato creato esclusivamente a scopo narrativo e di intrattenimento.