Breve disamina della figura del padre nella società moderna, alla luce della storia.
Nel 1187 l’armata del temibile Saladino assediava la città di Tiro. A difesa dell’ultima roccaforte cristiana oltremare vi era un italiano, Corrado del Monferrato. Saladino pose l’assedio il 12 novembre, la piazzaforte crociata resisteva eroicamente. Corrado alla guida della difesa della città posta su una stretta penisola, impediva al sovrano condottiero musulmano di utilizzare le sue macchine d’assedio. Saladino provò ogni colpo possibile. Durante i due mesi di assedio fece condurre sotto le mura uno dei prigionieri della disastrosa battaglia di Hattin, Guglielmo del Monferrato, ossia il vecchio padre di Corrado. In cambio della liberazione di Guglielmo, il Saladino chiese che gli venissero aperte le porte della città. Ma Corrado, condottiero cristiano, rifiutò, continuando a difendere la città strenuamente. Guglielmo che era un cavaliere, un crociato, non poteva che essere fiero del gesto di suo figlio. Corrado assunse onore e popolarità. Il 1 gennaio 1188 Saladino tolse l’assedio. Guglielmo fu comunque liberato. Non sappiamo cosa passò per la testa di Corrado, né quanto questo gesto valesse realmente nell’economia di quella terza crociata. Simbolicamente però vi è un figlio chiamato a una scelta drammatica, che sceglie non per egoismo ma seguendo i valori condivisi e testimoniati dal padre. Il prezzo da pagare sarebbe stato altissimo, ma egli aveva responsabilmente scelto.
San Giuseppe, il padre di Gesù Cristo, nei Vangeli non parla mai. Non una parola. Un padre assente diremmo oggi. Perché oggi la figura del padre, nell’edonismo del consumismo social, è sbiadita in una ‘presenza’ al limite del digitale, superficiale. Eppure, Giuseppe, che non parla mai e compare quasi in secondo piano, un passo indietro anche nel presepe, è determinante nella vita del figlio: segnando strade (con il sogno, ma anche con la fatica del cammino), indicando la responsabilità e l’impegno con la testimonianza, ponendo un limite al male, sapendo quando è il momento di non intervenire per lasciare spazio al figlio.
Due padri “estremi”, silenziosi. Ma simbolicamente potenti.
Oggi, i padri non esistono più. O per lo meno sono messi in stato di assedio. Il migliore dei pensieri possibili che riusciamo a contemplare per la figura dei papà è quella dei film americani: il babbo preso da troppo lavoro e dai suoi impegni, dimentica la recita del figlio o la partita di baseball, arrivando inesorabilmente tardi e destando la delusione del figliolo. Eppure, quel padre assente per la partita o alla recita di fine anno, di solito, nel film, riesce alla fine a riconquistare la fiducia del figlio, perché grazie a quel suo impegno che lo ha tenuto lontano dalla recita e dalla partita, è riuscito a raggiungere un bene superiore. Per il figlio il padre diventa esempio di responsabilità per il bene, argine al desiderio smodato di avere tutto, subito e comunque. Il padre è tale se è testimonianza nell’amore.
Ma oggi, anche i film hanno smesso di considerare la figura del padre. La società è fluida. Mentre la madre vede messa in discussione persino la sua funzione biologica, resiste in qualche modo come figura importante nella comunicazione e nel politically correct, il padre è una figura in via di demolizione. Jacques Lacan parlava di tramonto della figura paterna già nel 1938, quando il pater familias era in qualche modo già abbattuto, ma lo psicanalista vedeva la fine della figura paterna nei dittatori dei regimi totalitari novecenteschi. I dittatori sono il totem che sostituisce il padre, una risposta allo sfaldamento del sistema familiare che aveva resistito in qualche modo al secolo dei lumi e nel XIX secolo. La cieca imposizione dello Stato, l’imperativo autoritario della Legge, ricomponeva e rassicurava il mondo borghese novecentesco e le masse spaventate dai cambiamenti. Il despota-padre. Ma il dittatore può essere la figura del padre ?
Il “padre” nella psicanalisi è la castrazione del desiderio incestuoso di Edipo. Il padre ferma, affermando la Legge, un proposito del figlio che è insano. Il padre attraverso la Legge è colui che limita, o meglio argina, il comportamento errato e promuove il distacco del ragazzo dalla madre, dal suo nido, favorendo lo sviluppo della sua personalità autonoma, imprescindibile per vivere nel mondo.
Questa figura di padre l’iper-modernità non la considera più. I figli restano così attratti da desideri incestuosi (nel senso della morale mitologica) dietro uno schermo, ma distanti dalla vita.
La contestazione giovanile del 1968 e del 1969 ha visto nel padre e nella cosiddetta ‘famiglia tradizionale’ un nemico da abbattere, rappresentando il simbolo della società patriarcale. Al volgersi dei cambiamenti della storia, la figura del padre subisce profonde modifiche. Mentre, oggi, i padri sono evaporati.
Il padre è simbolicamente colui che pone dei limiti. Nella società odierna l’uomo non intende considerare alcun limite. La risposta delle religioni monoteistiche all’ansia di non accettare dei limiti non è più presa in considerazione, la figura del padre in quanto capace di dare al figlio l’esperienza del limite indicando una “legge” non è più utile. Ne deriva una assenza di vincoli alla propria volontà di godimento: è ciò che conviene al consumismo (qualcuno direbbe al capitalismo), è ciò che drammaticamente viene poco considerata nel dibattito sui femminicidi. Il ruolo del padre, inteso nella sua accezione simbolica, è quello di creare un concreto collegamento tra la volontà e la Legge, tra il desiderio e il godimento. Il padre, lungi dall’essere semplicemente la figura dell’autoritarismo, era nella sua funzione simbolica colui che conciliava il desiderio del figlio alla Legge. Il ruolo del padre prevede anche l’autorità coercitiva, ma soprattutto la saggezza di una sponda al desiderio debordante.
Senza il padre e la sua “autorità” tutto ciò si annienta, anche l’uomo si annienta perché il suo desiderio non è più umanizzato. Senza un padre non c’è condottiero, non ci sono eroi né santi. Eppure ci sono eroi, santi e condottieri orfani di padre. La figura del padre è dunque avulsa dalla biologia?
Ecco le obiezioni di chi porterà l’esempio che i figli possono crescere anche con due madri o senza un padre, o con due padri e senza una madre. È così fin dalla notte dei tempi, il discorso dell’assenza del padre è però inquadrata in una dimensione diversa dal dibattito sulla ‘famiglia tradizionale’. L’assenza dei padri oggi è concepita come consuetudine di una vita che non accetta riferimenti se non il soddisfacimento di proprie volontà. Tutto diviene oggetto senza l’esistenza (e l’autorità) dei padri.
Bisognerebbe rileggere le pagine delle Confessioni di Agostino, un giovane entrato in contrasto con il padre, che ritrova nella madre Monica la dolce possibilità di avere la sponda paterna al suo desiderio smodato che porta alle pulsioni di morte.
I padri, assediati, di contro, hanno smesso di fare esperienze dei limiti. Non considerano neanche più quello della morte. Un limite che neanche il figlio potrà evitare. Troppo concentrati a eternare la paternità sui social, i padri di oggi parlano, fotografano alle recite e alle partite, ma rischiano di restare senza un ruolo in una società poco incline a riconoscerne valori simbolici e concreti per la crescita delle comunità.
Non esiste più il pater familias romano, non esiste più il padre padrone, meno male. Non riconosciamo più però il padre e la sua presenza nel solco di quanto scrive Gianfranco Ravasi di quel padre silenzioso che è Giuseppe: Giuseppe emerge davvero come padre di Gesù, non nell’aspetto biologico, ma nel significato più profondo: il padre è infatti colui che custodisce, protegge, apre il cammino. Il genitore è la figura umana che illustra al meglio quello che significa il prendersi cura da parte di Dio della nostra fragilità. Ebbene, Giuseppe è il padre che non soltanto custodisce e provvede al bambino quando è giorno, quando tutto è facile, scontato e solare; egli lo prende con sé nella notte, quando le difficoltà sembrano avere il sopravvento, ed espandersi le tenebre del dubbio, dell’agguato e del terrore. Alla dolcezza della madre e alla debolezza del bambino, egli accompagna la fermezza della sua presenza e dedizione. Giuseppe sa muoversi anche nella notte, mentre tiene fermo il ricordo del giorno, quel giorno che egli ha conosciuto vivendo una vita nella giustizia, cioè in un atteggiamento orante e obbediente davanti a Dio. Giuseppe non ha giocato al ribasso, a tirarsi indietro, a puntare sulle proprie comodità e sicurezze, ma ha preso con sé il bambino e Maria, diventando così per loro come un simbolo concreto.
Abbiamo bisogno di padri che sappiano ancora raccontare questa responsabilità, verso i figli, verso il mondo, verso quel Dio che dona la paternità. Ed è tutto molto difficile.