Il Tempo dei Filosofi

di Charles Laval

Nella città di Atene, dove le colonne del Partenone proiettavano ombre lunghe e sottili come lancette di un orologio cosmico, viveva una donna di nome Sophia. Non era una psicologa, come suggerivano alcuni, ma nemmeno era imperdonabile, come sostenevano altri. Era semplicemente una cercatrice di verità in una città che aveva fatto della ricerca della verità la sua ragione d’essere. Ogni mattina, Sophia si recava all’agorà, dove i venditori di olive si mescolavano ai venditori di idee. Qui, seduta su un gradino di marmo consumato da secoli di discussioni filosofiche, osservava il fluire del tempo nelle vite degli altri. Vedeva giovani che inseguivano sofisti, vecchi che dialogavano con statue, e mercanti che scambiavano monete per promesse di saggezza. Un giorno, mentre il sole raggiungeva lo zenith sopra l’Acropoli, un vecchio si avvicinò a Sophia. “Tu perdi il tuo tempo,” le disse, “seduta qui a guardare la gente che passa. O sei una psicologa o sei imperdonabile!” Sophia sorrise, un sorriso che conteneva tutta l’ironia degli dei. “E tu,” rispose, “perdi il tuo tempo a giudicare come gli altri spendono il loro. Chi è più imperdonabile tra noi due?” Il vecchio si fermò, colpito da quella risposta come da un fulmine di Zeus. Si sedette accanto a lei, e insieme cominciarono a osservare il movimento delle persone nell’agorà, come se stessero leggendo un libro scritto nell’aria della città. Fu allora che accadde qualcosa di straordinario. Tra la folla apparve una figura che sembrava camminare al contrario nel tempo. Era una giovane donna vestita con abiti che ancora non erano stati inventati, che parlava di cose che ancora non erano accadute. La chiamavano Chronos, e si diceva che fosse figlia di un oracolo e di un astronomo. Chronos si avvicinò a Sophia e al vecchio, i suoi passi lasciavano impronte luminose sul marmo dell’agorà. “Voi che osservate il tempo,” disse, “non avete notato che sta iniziando a piegarsi? Le persone che guardate stanno vivendo giorni che non sono ancora arrivati, e ricordano memorie che devono ancora formarsi.” Sophia e il vecchio iniziarono a notare i dettagli: mercanti che vendevano frutti fuori stagione, bambini che raccontavano storie dei loro futuri nipoti, vecchi che ringiovanivano mentre camminavano. L’agorà era diventata un punto di convergenza dove passato e futuro si mescolavano come acqua e vino in un cratere. “Ecco perché siamo qui,” realizzò Sophia. “Non siamo né psicologi né imperdonabili. Siamo i custodi di questo paradosso temporale, testimoni del momento in cui il tempo ha smesso di essere una linea retta per diventare un cerchio.” Il vecchio, che ora appariva più giovane di quanto fosse stato all’inizio della giornata, annuì. “Forse,” disse, “perdere tempo è l’unico modo per trovarlo veramente.” Chronos sorrise, e nel suo sorriso si poteva vedere il riflesso di tutti i tempi possibili. “Chi può dire,” aggiunse, “se state perdendo tempo o se il tempo sta perdendo voi?” E così, mentre Atene continuava a vivere il suo eterno presente tra passato e futuro, loro restavano lì, osservando come il tempo si attorcigliava su sé stesso, creando spirali di esistenza dove ogni momento era contemporaneamente principio e fine, perdita e scoperta, follia e saggezza.

La gente dell’agorà aveva smesso di chiamarli “i guardiani del tempo”. Ora li chiamavano “i tessitori del possibile”, perché nei loro occhi si poteva vedere il riflesso di tutti i tempi che avrebbero potuto essere, che erano stati e che sarebbero stati ancora. La presenza di Chronos aveva cambiato tutto nell’agorà. I mercanti iniziarono a vendere ricordi invece di merci, scambiando momenti di gioia futura per istanti di nostalgia passata. Le monete non avevano più valore, perché il tempo era diventato la vera valuta di scambio. Un giorno – se ancora si poteva chiamare giorno quella sospensione temporale in cui vivevano – apparve nell’agorà un bambino che camminava lasciando orme di sabbia dorata. Il bambino si fermò davanti a Sophia, al vecchio-giovane e a Chronos. “Sono venuto a restituire il tempo che avete perso,” disse il bambino, estraendo dalla sua sacca una clessidra che scorreva verso l’alto. “Ma prima dovete dirmi se volete davvero riaverlo.” Sophia guardò la sabbia che saliva nella clessidra, contravvenendo a tutte le leggi della natura. “E se il tempo che abbiamo perso fosse in realtà il tempo che abbiamo guadagnato?” chiese. Il bambino sorrise, un sorriso antico come le stelle. “Questa è la domanda giusta,” rispose. “Voi non siete né psicologi né imperdonabili. Siete i custodi di un segreto che gli ateniesi hanno dimenticato: il tempo non si perde e non si guadagna, semplicemente si trasforma.” Fu allora che le colonne del Partenone iniziarono a ruotare lentamente, come i raggi di una ruota cosmica. L’Acropoli intera sembrava danzare al ritmo di una musica che veniva dal futuro e dal passato simultaneamente. Gli ateniesi, invece di spaventarsi, iniziarono a danzare anche loro, muovendosi in una coreografia che sembrava essere stata provata per secoli e improvvisata in quell’istante. Chronos si unì alla danza, i suoi movimenti creavano spirali di luce nel tessuto della realtà. “Vedete,” disse mentre danzava, “questo è il vero significato del tempo: non è una linea da percorrere, ma una danza da ballare.” Il vecchio-giovane, che ora oscillava tra tutte le età possibili come una foglia al vento, comprese finalmente. “Non stavamo perdendo tempo osservando la gente,” disse. “Stavamo imparando i passi di questa danza.” Il bambino dalla sabbia dorata aprì la sua clessidra e la sabbia si sparse nell’aria, trasformandosi in una costellazione di momenti sospesi. Ogni granello conteneva una storia, una possibilità, un destino che poteva o non poteva accadere. “Qui ad Atene,” proclamò Sophia, mentre la città intera vorticava in una spirale di tempo liquido, “abbiamo sempre cercato la saggezza guardando fuori, verso le stelle, o dentro, nei recessi della mente. Ma forse la vera saggezza sta nel saper danzare tra questi due punti, nel saper essere contemporaneamente osservatori e osservati, psicologi e imperdonabili, passato e futuro.” L’agorà divenne così un luogo dove il tempo non era più una tirannia ma una possibilità, dove perdersi significava trovarsi, e dove l’imperdonabile diventava l’unica cosa degna di essere perdonata. I filosofi continuavano a dibattere, ma ora le loro parole creavano onde nel tessuto del tempo, e ogni discussione era contemporaneamente l’eco di un dialogo antico e il presagio di una conversazione futura.

Sophia, il vecchio-giovane, Chronos e il bambino dalla sabbia dorata divennero i guardiani di questo nuovo modo di esistere, dove il tempo non era più una condanna ma una danza, non più una misura ma una melodia, non più una perdita ma un eterno ritrovamento. E chi, passando per l’agorà, si fermava ad osservare questa danza cosmica, non poteva più dire con certezza se stesse perdendo tempo o se il tempo stesse finalmente trovando loro. Ma proprio quando la danza cosmica sembrava aver raggiunto il suo apice, quando il tempo stesso pareva essersi arreso alla magia di quel momento, accadde l’impensabile. Un geometra, di quelli che misurano il mondo con righe e compassi, attraversò l’agorà con passo svelto e pratico. Si fermò davanti al gruppo dei danzatori temporali, estrasse un piccolo orologio da tasca e, consultandolo con aria severa, annunciò: “Mi dispiace informarvi che avete appena sprecato tre ore, quattordici minuti e ventidue secondi del mio tempo per assistere a questa… come la chiamate voi? Danza cosmica? Dovrete pagare una multa secondo il nuovo decreto dell’Arconte: due dracme per ogni minuto di tempo altrui sprecato in frivolezze metafisiche.” Chronos scoppiò in una risata che fece tremare le colonne del tempo. Il bambino dalla sabbia dorata trasformò il suo orologio in una piccola tartaruga che si allontanò lentamente, portando con sé tutti i secondi misurati. Il vecchio-giovane tentò di calcolare l’ammontare della multa, ma ogni volta che arrivava alla somma finale, l’età gli cambiava e doveva ricominciare da capo. Sophia, con un sorriso che conteneva tutti i paradossi dell’universo, si rivolse al geometra: “Caro amico, temo che non potremo pagarti. Vedi, la nostra banca accetta solo depositi di momenti perduti e prelievi di attimi ritrovati. Ma se vuoi, possiamo offrirti qualcosa di più prezioso: un posto in prima fila nel grande spettacolo dell’imperdonabile perdita di tempo.” Il geometra, confuso, consultò di nuovo il suo orologio, solo per scoprire che le lancette avevano deciso di prendersi una vacanza e stavano danzando un sirtaki sul quadrante. Si sedette sul gradino di marmo, sconfitto, e suo malgrado si ritrovò a sorridere. Da quel giorno, chi passa per l’agorà può ancora vedere un gruppo di persone che perdono tempo nel modo più imperdonabile possibile: vivendo. E se qualcuno chiede loro se sono psicologi o imperdonabili, rispondono semplicemente che sono geometri del tempo in pensione, specializzati nella misurazione dell’incommensurabile. Quanto a Sophia, dicono che ora offra sessioni di anti-psicologia, dove insegna alle persone come perdere tempo nel modo più saggio possibile. Il costo della consulenza? Un sorriso e la promessa di non guardare mai più un orologio con troppa serietà.

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