In una società complessa come quella attuale, riveste un ruolo importante la capacità di sapere comunicare in maniera chiara e comprensibile, sia per iscritto che verbalmente

EDITORIALE – Ognuno ha il suo modo di scrivere, di esprimere il suo mondo interiore, la sua sensibilità ed emotività, così anche di raccontare la realtà. C’è chi preferisce una forma sintetica e semplice; chi, invece, ama dilungarsi soffermandosi sui particolari e usando un lessico forbito. C’è, poi, chi ama esprimersi in versi, creando bellissimi testi poetici; chi, invece, ama la prosa, il testo narrativo per raccontare storie reali o fantastiche.

Nella mia lunga attività di insegnante di Scuola Primaria, dicevo ai miei alunni: “Quando scrivete vi dovete mettere nei panni di chi legge ciò che avete scritto. Qualsiasi cosa vogliate comunicare deve essere espressa in maniera chiara, comprensibile e corretta”. Dicevo anche: “Una cosa è parlare, un’altra è scrivere. Quando parliamo siamo facilitati dal fatto che possiamo utilizzare le espressioni del viso, il tono della voce, possiamo fare delle pause, sostituire parole, tornare indietro riprendendo un discorso interrotto. Quando scriviamo tutto questo non è possibile. Siamo obbligati a seguire, perché il testo funzioni, delle regole ortografiche, grammaticali e sintattiche. Possiamo dare maggiore incisività alle nostre comunicazioni scritte usando correttamente la punteggiatura, ossia l’insieme dei segni convenzionali che servono a scandire il testo scritto e a riprodurre le intonazioni espressive del parlato”.

La punteggiatura, se non è bene usata, può addirittura cambiare il significato di una frase, di un pensiero. Ecco alcuni esempi:

“Giustiziarlo, non si può graziarlo”.

“Giustiziarlo non si può, graziarlo”.

“Una donna: senza, l’uomo è nulla”.

“Una donna, senza l’uomo, è nulla”.

“Il maestro dice: l’ispettore è un asino”.

“Il maestro, dice l’ispettore, è un asino”.

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