EDITORIALE – È la primavera del 207 a.C., i boschi e i campi intorno alla città romana di Grumentum, in Lucania, sono rigogliosi. Li dove due corsi d’acqua si incrociano scorrendo placidamente, presso le mura della città, un contadino lavora in una vigna. Da quelle viti verranno i vini lagarini così graditi ai patrizi romani, citati qualche secolo dopo anche da Plinio. Il contadino ammira l’esito del suo lavoro e pensa alla vendemmia che verrà dopo l’estate. Il povero coltivatore alza lo sguardo e dalla collina sta scendendo una moltitudine di uomini armati. Preso dal terrore corre a rifugiarsi in città, non conosce la provenienza di quell’esercito, né può sapere che un episodio determinante per la storia di Roma si sta per svolgere sotto le mura della sua città: si avvicina a Grumentum l’esercito cartaginese guidato da Annibale Barca.
Dal 218 a.C. al 202 a.C. si svolse il più grande conflitto armato della storia antica, la seconda guerra punica, definita spesso “la guerra mondiale dell’antichità”. Interessò la penisola Iberica, quella italica e le sue isole e poi l’Africa, con una innumerevole serie di popolazioni e località coinvolte. Tra queste anche la città romana di Grumentum, nella Lucania.
Prima di concludersi con la vittoria sul suolo africano a Zama dell’esercito romano guidato da Scipione (il suo elmo ricordiamo ancora nel Canto degli Italiani), la potenza di Roma era stata messa a dura prova e a rischio di essere battuta sulla penisola Italica dal più grande dei condottieri cartaginesi, Annibale. Figlio del più importante generale della prima guerra punica, fu lui a dar vita alle ostilità attaccando la città ispanica di Sagunto. I Cartaginesi, umiliati dalle pesanti condizioni imposte da Roma dopo il primo conflitto, speravano di conquistare il dominio del Mediterraneo. Guidati da Annibale, passati i Pirenei e le Alpi, invasero la penisola italica ottenendo numerose vittorie e minacciando la stessa Roma. Lontani dalla madre patria diedero vita a una guerriglia senza sosta che finì per logorare anche loro. Così, quando Scipione decise di farsi autorizzare a portare la guerra a casa loro, per i Cartaginesi giunse il colpo di grazia.
Tra l’infinità di scontri fra i due eserciti, vi fu anche la battaglia di Grumentum.
Con la vittoria di Canne nel 216, il Cartaginese si era assicurato il controllo sul sud Italia, ma il perdurare così a lungo della guerra, che non trovava un punto di svolta, lo aveva costretto a ridurre il suo raggio di azione tra il Bruzio, la Lucania e l’Apulia (Calabria, Basilicata e Puglia), con due roccaforti nelle città di Venusia e Metapontum.
Tuttavia, il condottiero africano era fiducioso. Attendista, pensava di piazzare il suo colpo decisivo proprio in quell’anno 207 a.C., giocando sull’indebolimento dei rapporti tra Roma e gli alleati italici, interrompendo i rapporti tra l’Urbe e le sue colonie. Mentre dalla Spagna, seguendo la rotta che lui stesso aveva tracciato 11 anni prima con i “mitici” elefanti veri carri armati dell’epoca, stava arrivando suo fratello minore, Asdrubale. Al suo seguito un esercito che si diceva forte di circa 20.000 uomini, con decine di elefanti e che si arricchiva di nuove reclute: celti, galli, liguri, arrivando a contare secondo alcune fonti 40.000 uomini una volta giunto nella Pianura Padana.
Roma era costernata, la tenaglia cartaginese poteva stringersi sull’Urbe e unire gli eserciti di Annibale che nel marzo del 207 a.C. si muovevano dagli stalli invernali e quelli di Asdrubale che già assediavano la ricca colonia latina di Placentia. Il senato di Roma decide che la priorità è evitare questo congiungimento. Annibale però è in ritardo, forse sorpreso dalla velocità di avanzata del fratello. Al confine tra Puglia e Lucania sta radunando il suo esercito. Non è pronto. Il ritardo permette anche ai Romani di riorganizzarsi.
Annibale aveva eliminato in un’imboscata tesa dai cavalieri numidi i consoli Claudio Marcello, il conquistatore di Siracusa, e Quinto Crispino, altro militare di lunga esperienza. Nel 207 vengono eletti consoli Gaio Claudio Nerone della Gens Claudia e Marco Livio Salinatore che con due legioni si sta occupando di Asdrubale a nord. Quattro legioni romane sono in Spagna, due sono in Gallia, come in Sardegna, Sicilia e in Etruria. Attorno ad Annibale, il propretore Quinto Claudio Flamine a sud difende Taranto e il Salento; con quartiere generale a Capua lo sbarramento verso Nord è fatto da tre legioni comandate dal proconsole Quinto Fulvio Flacco e dal pretore Caio Ostilio Tubulo. Quest’ultimo, con un’azione a sorpresa attacca Annibale nei pressi di Larinum (tra Molise e Puglia). Il Cartaginese si dirige a sud incurante delle perdite e dell’inseguimento di Caio Ostilio, mentre da Tarentum si muove Quinto Claudio andandogli incontro. Annibale per evitare entrambi vira verso sud, così sia Quinto Claudio che Caio Ostilio si fermano per non discostarsi dagli ordini avuti dal Senato. Caio risalendo verso Capua si incontra a Venosa con il nuovo console, Claudio Nerone. Questi è deciso a trovare Annibale e costringerlo alla battaglia, forma un esercito da campagna (tre legioni più alleati), rimanda Caio Ostilio a difendere Capua e si mette sulle tracce del cartaginese.
È la primavera del 207 a.C., quello che secondo Polibio era stato l’unico responsabile della guerra durata 16 anni, Annibale, punta verso Grumentum. Non è chiaro se volesse assediare e conquistare il centro lucano in quanto nodo strategico di comunicazione all’incrocio tra la via Herculea, tra Venusia e Heraclea, e un’altra strada che conduceva alla via Popilia sul versante tirrenico. Oppure, la sua intenzione era quella di attirare il nemico per poi muoversi nuovamente con una delle sue famose marce laterali o fare una semplice azione dimostrativa.
Annibale giunge con il suo esercito ancora non organizzato, nella stretta vallata tra lo Sciaura e l’Agri dinanzi a Grumentum. La sua scelta non è stata felice, ha fornito al nemico le coordinate che aspettava: Claudio Nerone piomba nel sud della Lucania e si ferma con il suo esercito a meno di un km dal campo cartaginese nei pressi dell’Agri. Annibale è bloccato. Claudio Nerone fa posizionare un contingente dietro la collina più prossima alla città e che si trova alle spalle dello schieramento cartaginese, appena questi uomini sono occultati, schiera l’esercito sul campo dinanzi al nemico. Annibale ha in mente di ingaggiare brevemente battaglia durante il giorno, per poi lasciare il campo durante la notte e proseguire la marcia e ingaggiare nuove reclute. Ma Claudio Nerone conosce il suo nemico e alla prima uscita disordinata delle truppe cartaginesi ordina la carica della cavalleria. L’arrivo della fanteria romana, tempestivo e potente, fa si che i cartaginesi lascino il campo costringendo Annibale stesso a scendere in battaglia. In quel momento il contingente romano nascosto dietro la collina attacca alle spalle, i cartaginesi battono in ritirata.
All’indomani il console romano schiera nuovamente l’esercito, ma Annibale sta lasciando il campo, impegnando i romani solo con uno sparuto contingente di cavalleria. Il giorno seguente l’ordine di Claudio Nerone è quello di attaccare l’accampamento cartaginese, ma i legionari non trovano che poche masserizie da saccheggiare, Annibale è già in marcia. Nerone lo inseguirà fino a Venosa dove lo costringerà a un’altra battaglia e alla nuova fuga verso Metaponto.
I grumentini dalle mura della città vedono i legionari romani smontare l’accampamento e rimettersi in marcia. Sul suolo lucano, dopo le urla in tante lingue sconosciute che hanno udito nei giorni precedenti, gli abitanti di Grumentum guardano desolati i resti di una battaglia: un macello. I contadini tornano nei campi, l’Agri e lo Sciaura sono ancora rossi di sangue. Si trovano membra mozzate e corpi senza vita. Cavalli morti e armi distrutte. Le ruote dei carri hanno tracciato solchi nella terra bagnata di sangue e rugiada. Tito Livio parlerà di 8500 morti, 8000 cartaginesi e 500 romani, le cifre sembrano molto gonfiate. Tuttavia, i due eserciti partiti velocemente hanno lasciato molti morti sul terreno, tanto che per alcuni giorni bisognò lavorare per “bonificarlo”. Fu scelta una vallata per seppellire i cadaveri, prossima al luogo dello scontro. Le genti del posto, ignare che di li a poco l’esercito romano, presso il fiume Metauro, infliggerà una sconfitta ancora più pesante ai cartaginesi, iniziarono a identificare quel luogo come il “posto della carneficina”. Le genti del posto tramandarono il racconto di quella battaglia, forse anche ignari delle sorti della battaglia di Zama, e nella memoria si fissarono fatti, leggende e racconti. Si tramandò anche il nome del luogo dove i cadaveri vennero sepolti, il luogo della carneficina, in greco Sarkos. Li dove oggi sorge Sarconi.