La Pietra e la Donna

L’aria era pesante quella sera a Matera. Un caldo umido si arrampicava tra i vicoli dei Sassi, insinuandosi nelle case scavate nella roccia calcarea. Lucia Lazzari sedeva all’esterno di un piccolo caffè in Piazza San Pietro Caveoso, lo sguardo fisso sulla cattedrale che si stagliava contro un cielo color rame. Il fumo della sua sigaretta saliva pigramente, dissolvendosi nell’aria immobile. Un bicchiere di vino bianco locale era posato sul tavolino di metallo davanti a lei. Aveva trent’anni, ma nei suoi occhi c’era una gravità che suggeriva un’anima più vecchia. Il viso affilato, gli occhi grandi e scuri, sempre in movimento, come se cercassero qualcosa che non riuscivano a trovare. Era tornata a Matera dopo dieci anni. Dieci anni passati a Roma, a lavorare come architetto in uno studio prestigioso. Una carriera in ascesa, quella che aveva sempre desiderato quando, giovane e piena di ambizioni, aveva lasciato quella città di pietra. “Desidera altro, signorina Lazzari?” chiese la cameriera, una giovane dai capelli raccolti e il sorriso gentile. Lucia scosse la testa, senza parlare. Non amava le chiacchiere inutili. Le parole, secondo lei, dovevano servire uno scopo preciso. Era stata sempre così, fin da quando era bambina. Sua madre la rimproverava per la sua natura taciturna. “Sei dura come queste pietre,” le diceva spesso. La cameriera si allontanò, e Lucia rimase sola con i suoi pensieri. Spense la sigaretta nel posacenere e si alzò, lasciando qualche moneta sul tavolo. Voleva camminare per le strade della sua infanzia, ora così diverse da come le ricordava. I Sassi, un tempo simbolo di povertà e arretratezza, erano diventati patrimonio dell’UNESCO, con hotel di lusso, ristoranti e boutique. Lei li ricordava quando erano ancora in parte disabitati, quando la gente raccontava di come erano stati evacuati negli anni ’50, quando il governo aveva deciso che vivere in quelle grotte era “una vergogna nazionale”.

Si incamminò lungo un vicolo stretto che scendeva verso il Sasso Caveoso. Le scale consumate dal tempo erano le stesse che aveva percorso migliaia di volte da bambina. Ogni passo risvegliava ricordi che credeva sepolti. Si fermò davanti a una piccola casa scavata nella roccia. La porta era nuova, verniciata di un rosso brillante. Una targa in ceramica indicava che ora era un bed & breakfast. Eppure, quella era stata la casa dei suoi nonni, dove aveva trascorso lunghi pomeriggi estivi ascoltando le storie della nonna. Dove aveva imparato a impastare il pane nella piccola nicchia scavata nel muro. Dove suo nonno tornava stanco dai campi e si sedeva in silenzio a fumare la pipa. E dove suo fratello minore Matteo aveva avuto l’incidente che lo aveva lasciato zoppo a soli nove anni. Un dolore che sua madre non aveva mai superato. Lucia riprese a camminare. Il caldo stava diminuendo, ma l’aria restava immobile, carica di umidità. Si diresse verso la Cattedrale, salendo lentamente le scale che portavano alla Civita. Da lì poteva vedere tutta la città, i due Sassi che si aprivano come un anfiteatro naturale e, in lontananza, il Parco della Murgia con le sue chiese rupestri. Si sedette su un muretto e guardò il panorama mentre la luce del tramonto tingeva tutto di un arancione intenso. In quello stesso luogo, dieci anni prima, aveva giurato a se stessa che non sarebbe mai tornata. “Mi sembrava fossi tu.” Lucia si voltò. Una donna anziana, con un fazzoletto in testa e un cesto al braccio, la osservava con curiosità. “Mi riconosci?” chiese la donna. “Sono Anna Scalese. Abitavo vicino a tua nonna.” Lucia la guardò. Il volto era rugoso e segnato dal sole, ma gli occhi… gli occhi erano quelli di Anna, l’amica di sua nonna. L’unica che l’aveva abbracciata forte quando era partita. “Anna,” disse semplicemente. La donna sorrise e si sedette accanto a lei. “Sono passati molti anni.” “Molti,” confermò Lucia. Non sapeva cosa dire. Non aveva mai saputo cosa dire nelle situazioni emotive. “Sei tornata per il funerale di tuo padre?” Lucia la guardò sorpresa. “Mio padre? È morto?” Anna la fissò incredula. “Tre giorni fa. Pensavo lo sapessi. È per questo che sei qui, no?” Lucia sentì una fitta al petto. Suo padre era morto e lei non lo sapeva. Non si erano parlati per anni, da quando Lucia se n’era andata sbattendo la porta, giurando che non sarebbe mai tornata in quella città arretrata, in quella famiglia che non capiva le sue ambizioni. “Non lo sapevo,” ammise. “Sono tornata perché…” Si interruppe. Perché era tornata? Nemmeno lei lo sapeva con certezza. Forse perché, dopo dieci anni di una carriera brillante ma solitaria, sentiva che qualcosa le mancava. O forse perché, arrivata a un punto di svolta della sua vita, aveva iniziato a chiedersi se non avesse commesso un errore. “Dove si trova ora?” chiese infine. “A casa di tuo fratello Matteo. Il funerale è domani mattina.” Lucia annuì. Sentì un nodo alla gola che non riusciva a sciogliere. “Tuo padre parlava spesso di te,” continuò Anna. “Era orgoglioso, sai? Diceva sempre che sua figlia aveva avuto il coraggio di andarsene, di cercare una vita migliore.” Lucia la guardò stupita. “Mio padre ha detto questo?” “Oh sì. Negli ultimi anni era cambiato molto. Dopo che tua madre se ne andò con quel commerciante di Bari, sette anni fa, iniziò a vedere le cose in modo diverso. ‘Ho passato la vita a non capire niente,’ diceva. ‘E ora è troppo tardi.'” Lucia sentì gli occhi riempirsi di lacrime. Suo padre, l’uomo rigido e tradizionalista che ricordava, aveva cambiato idea su molte cose. Aveva imparato a vedere oltre i suoi pregiudizi. Mentre lei, Lucia, era rimasta la stessa. Chiusa, inflessibile nelle sue convinzioni, incapace di tornare sui suoi passi. “Mi accompagni da Matteo?” chiese infine. Anna si alzò, sistemandosi il fazzoletto. “Certo. Abita ancora nella casa vecchia, quella in via Madonna delle Virtù. L’ha ristrutturata, ma è sempre la stessa.” Mentre camminavano lentamente attraverso i vicoli che si stavano riempiendo delle luci della sera, Lucia pensò a quanto fosse stata sciocca. Per tutta la vita aveva creduto che cambiare significasse andarsene, lasciare tutto alle spalle. Non aveva mai capito che il vero cambiamento era dentro di sé. Le luci di Matera brillavano sempre più intensamente man mano che calava la notte. La città sembrava un presepe vivente, con le sue case scavate nella roccia che si illuminavano una ad una. “È bella, vero?” disse Anna, notando lo sguardo di Lucia. “Sì,” ammise lei. “È bella.” Quando arrivarono davanti alla casa di Matteo, Lucia esitò. Come sarebbe stata accolta dopo tutti questi anni? Suo fratello l’avrebbe perdonata per non essere stata presente quando ne aveva avuto bisogno? Anna, come se avesse letto nei suoi pensieri, le mise una mano sulla spalla. “Tuo fratello sarà felice di vederti. Ha sempre sperato che tornassi.” Lucia annuì e bussò alla porta. La porta si aprì e Matteo apparve sulla soglia. Si appoggiava a un bastone, ma era dritto e forte. I due si guardarono per un lungo momento senza parlare. Poi Matteo fece un passo avanti e l’abbracciò forte. “Sei tornata,” sussurrò. “Sono tornata,” confermò Lucia, ricambiando l’abbraccio. “Mi dispiace di non essere arrivata in tempo.” Matteo si staccò e la guardò negli occhi. “Sei qui ora. È questo che conta.” Entrarono in casa, dove il corpo del padre era composto in una semplice bara di legno chiaro. Lucia si avvicinò lentamente e guardò il volto sereno del vecchio. Sembrava più piccolo di come lo ricordava, più fragile. Ma c’era qualcosa di nuovo su quel viso, qualcosa che non aveva mai visto prima: una sorta di pace. Accanto alla bara c’era una lettera indirizzata a lei. Matteo gliela porse. “L’ha scritta poco prima di morire. Sapeva che saresti venuta, prima o poi.” Lucia aprì la lettera con mani tremanti e lesse:

“Cara Lucia,
Quando leggerai queste parole, io non ci sarò più. Volevo dirti che ho capito. Ho capito solo troppo tardi perché te ne sei andata, e quanto fossi stato ingiusto con te. Ero un uomo di un’altra epoca, incapace di vedere oltre le tradizioni in cui ero cresciuto. Non ho saputo apprezzare la tua intelligenza, la tua determinazione, il tuo desiderio di qualcosa di più grande di questa città. Ma ora so che avevi ragione tu. E sono orgoglioso di ciò che sei diventata. Spero che un giorno potrai perdonarmi e forse, se lo vorrai, tornare a vedere questa città con occhi nuovi. È cambiata, sai? Come sono cambiato io.
Con amore, Papà”

Quella notte, seduta accanto alla bara del padre, Lucia vegliò in silenzio. Pensava a tutto ciò che non aveva detto, a tutto ciò che non aveva fatto. Ma pensava anche al futuro, a come le cose potevano ancora cambiare. La mattina dopo, mentre il corteo funebre attraversava le strade di Matera verso la cattedrale, Lucia guardò la città che si svegliava. Le vecchie pietre illuminate dalla luce dorata dell’alba sembravano diverse ai suoi occhi. O forse era lei ad essere diversa, finalmente pronta a vedere ciò che prima non poteva o non voleva vedere. “Quelli che non cambiano idea mai, non cambiano mai niente,” aveva detto una volta il suo professore di architettura. E aveva ragione. Per dieci anni Lucia non aveva cambiato idea su nulla: né su Matera, né su suo padre, né su se stessa. E così non aveva cambiato niente. Ma ora, mentre seguiva la bara del padre lungo le antiche strade della città di pietra, sentiva che qualcosa stava cambiando dentro di lei. E con quel cambiamento, forse, sarebbe arrivata finalmente la possibilità di una vita diversa. Una vita in cui il passato non era un fardello ma una fondazione su cui costruire. Matera, con le sue case di pietra che avevano resistito al tempo e ai cambiamenti, le stava insegnando che anche la cosa più dura e immobile poteva trasformarsi, se solo si aveva il coraggio di guardare con occhi nuovi. Proprio come lei ora, architetto che aveva passato gli ultimi dieci anni a progettare edifici moderni e funzionali, iniziava a vedere la bellezza e la saggezza nelle antiche costruzioni della sua città. Forse c’era un modo di unire il passato e il futuro, la tradizione e l’innovazione. Forse c’era spazio per lei in questa città, dopotutto. Al termine del funerale, mentre la gente si disperdeva lentamente, Matteo le si avvicinò. “Quanto rimani?” Lucia guardò il cielo limpido sopra Matera, poi gli occhi del fratello. “Non lo so,” rispose sinceramente. “Forse più di quanto pensassi.”


Disclaimer: Il testo è un racconto di pura fantasia. Tutti i personaggi, i luoghi, gli eventi e le situazioni descritte sono frutto dell’immaginazione dell’autore e non hanno alcun riferimento intenzionale a persone reali, viventi o defunte, a istituzioni, enti o organizzazioni esistenti. Qualsiasi somiglianza con la realtà è da considerarsi puramente casuale e non voluta. Gli eventi narrati non intendono rappresentare fatti storici reali né fare riferimento a situazioni o circostanze realmente esistenti. Il racconto è stato creato esclusivamente a scopo narrativo e di intrattenimento.

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