EDITORIALE – Questa è una storia che parte da lontano, più precisamente dall’estate del 1988, quando a Melpignano, terra madre della taranta, sbarcano alcuni provenienti dal blocco comunista – Russia, Estonia, Slovenia – per un festival chiamato “Le idi di marzo”. L’evento, come scrisse Gino Castaldo su Repubblica, fu definito “il primo sbarco ufficiale della nuova armata musicale sovietica”.
A quel festival pugliese parteciparono anche i Litfiba di Piero Pelù e Ghigo Renzulli, oltre ai Cccp di Giovanni Lindo Ferretti e Massimo Zamboni i quali, fatalmente ma non tanto, si ritrovarono nella primavera dell’89 all’aeroporto di Fiumicino per imbarcarsi su un aereo diretto a Mosca. Partono insieme ad altre due band, i Rats di Modena e i pugliesi Mista & Missis, per un paio di concerti a Mosca e Leningrado organizzati grazie a uno scambio culturale proprio con gli organizzatori del festival di Melpignano dell’anno precedente.
Siamo alla vigilia di uno degli eventi epocali del millennio, ma nessuno ancora sa che quel viaggio cambierà per sempre anche la vita e la linea musicale delle due band.
Infatti mentre crolla l’impero sovietico, i Cccp preparano il terreno ai Csi (Consorzio Suonatori Indipendenti). Giovanni Lindo Ferretti e Massimo Zamboni arruolano quattro musicisti conosciuti meglio proprio durante il tour in Russia: Gianni Maroccolo, Francesco Magnelli, Ringo De Palma e Giorgio Canali. Tutti ex Litfiba. Dal canto loro, Piero Pelù e Ghigo Renzulli si lasciano alle spalle la militanza underground e spiccano il volo: nel novembre del 1989 esce il live Pirata e i Litfiba diventano il più grande gruppo rock italiano degli anni ’90.

I ricordi di quel viaggio e di quella tournèè nella casa madre Russia, sono tutti rivissuti in vari aneddoti raccontati nel tempo da Massimo Zamboni e Piero Pelù, che variano dal messaggio ricevuto dall’allora Presidente sovietico Gorbačëv, fino alla scorta “rosa” trovata in aeroporto, passando per un palazzetto pieno di gendarmi russi.
Era un 1989, musicalmente parlando, comunque denso di novità e certezze: i Litfiba avevano appena terminato la loro “Trilogia del Potere”, composta dagli album Desaparecido (1985), 17 Re (1986) e Litfiba 3 (1988), i quali, ancora oggi, sono considerati tra i più importanti del rock italiano ed accomunati da una forte critica verso il totalitarismo, espressa nei testi dei brani. I Cccp raccoglievano le pesanti eredità lasciate dalla loro “Fedeltà alla linea”, grazie al loro punk innovativo proposto negli album 1964-1985 Affinità-divergenze fra il compagno Togliatti e noi – Del conseguimento della maggiore età (1986) e Socialismo e barbarie (1987).
La musica è strana, ti fa viaggiare non solo con la mente, ma anche con il cuore, e chi lo avrebbe mai pensato che dalla sperimentazione artistica, si dovesse passare a quella socio – culturale, e per giunta partendo dal Salento? “È stato il modo più improbabile di avvicinarci al mondo sovietico», racconta pacato e riflessivo Massimo Zamboni, chitarrista dei CCCP: «Partire non dalla rossa Emilia, ma dal lontanissimo Salento: era quello che avevamo sempre sperato di fare e lo abbiamo fatto grazie alla piccola Melpignano, che era stata in grado di vedere così lontano. Non sapevamo bene cosa saremmo andati a fare in Russia, ma avevamo una gran voglia di farlo. Prima di tutto, vedere Mosca e Leningrado”.
“Gli artisti italiani famosi lì erano Pupo, Toto Cutugno, Al Bano e Sabrina Salerno. Noi eravamo fuori da ogni logica commerciale e politica” – ricorda Piero Pelù- “Quando arrivammo all’aeroporto 300 russi si fecero il segno della croce, nonostante ci fosse ancora il regime comunista”.

“Il presidente Michail Sergeevič Gorbačëv ha visto il vostro progetto: è molto interessante e ha intenzione di finanziarlo”. Questo il messaggio che ricevette all’epoca un giovane Sergio Blasi, oggi consigliere regionale in Puglia e all’epoca collaboratore del primo cittadino di Melpignano Antonio Avantaggiato.
I gruppi arrivarono in Russia, e ad attenderli c’è una donna dal tipico nome dell’Est: Svetlana. A ricordare questo incontro, Zamboni e Pelù ci scherzano su, ma in realtà la donna era ufficialmente la loro guida russa, ma ancora di più la loro “controllore”. È a Leningrado però che Svetlana si svela in tutta la sua utilità. Un aneddoto snocciolato da Blasi, che descrive pienamente il fermento e le contraddizioni della Russia nel 1989: “Eravamo in questa casa della cultura dove arrivò un fiume di gente, personaggi strani con le creste colorate emersi letteralmente dall’underground. In quel momento la polizia sovietica cominciò a farsi qualche domanda e fermò il nostro sindaco, ma grazie all’intervento di Svetlana la questione si risolse in maniera molto veloce”
Diecimila militari, forse anche di più. Questo il ricordo più nitido di Piero Pelù a Mosca durante il loro concerto. Un evento con tanto di presentatore descritto da Zamboni come «un brutto ceffo, sicuramente sarà stato un mafioso georgiano, che fece esibire in playback un gruppo heavy metal locale, agghindati come le band americane». E, stando ancora ai ricordi di Pelù, c’era anche “una specie di Sabrina Salerno russa, formosa, molto provocante, che cantò due pezzi tra i CCCP e noi. Una cosa esilarante, poi l’abbiamo vista che ripartiva nel macchinone del generale che era in prima fila”.

Da Mosca a Leningrado poi, oltre 700 km, e un viaggio che definirlo della speranza è un eufemismo. Le band caricano gli strumenti su un treno merci e, eroi sotto la neve, si imbarcano su un altro treno per arrivare a destinazione la mattina successiva, in un’atmosfera completamente diversa. “A Leningrado abbiamo suonato in un Rock Club nato da pochissimo”, ricorda Zamboni. “Tutti i musicisti di lì ci aspettavano con molta ansia. E mentre stavamo suonando dal pubblico si è alzato un urlo: “Emilia Paranoica”. Era il presidente del Rock Club degli Urali che l’anno prima aveva sentito il nostro pezzo a Melpignano: se l’era ricordato e voleva che lo facessimo a Leningrado”.
Il viaggio termina dopo 8 giorni passati tra freddo, vodka, sottaceti e pane al burro, ma è nel volo di ritorno che accade la svolta: “Sull’aereo al rientro in Italia” ricorda Zamboni, “chiacchierando con Maroccolo, sono nati i CSI. Lui cominciava a essere stanco dei Litfiba, noi stavamo cambiando rotta musicalmente e, dopo i concerti in Unione Sovietica, è stato chiaro che per alcuni musicisti suonare a Mosca e Leningrado era stata una tortura. Dopo un po’ di mesi abbiamo registrato l’ultimo album dei CCCP, Epica Etica Etnica Pathos, in cui c’era una consistente presenza di fuggiaschi dai Litfiba. Le storie che nascono in viaggio sono le più forti, cose che se fossi rimasto a casa nella tua vita ordinaria, per quanto stramba, non sarebbero mai successe”.

Per i Litfiba quel viaggio in Russia ha segnato il passaggio definitivo dalla dalla new wave al rock, esaltato poi nel live “Pirata” del novembre 89. L’album riesce a vendere la cifra di 150.000 copie per tutto il 1990, raggiungendo traguardi commerciali fino ad allora inimmaginabili per il gruppo. Il “Pirata Tour”, che inizierà nel febbraio 1990, vedrà l’ingresso di Roberto Terzani al basso, Candelo Cabezas alle percussioni e Daniele Trambusti alla batteria al posto di Ringo De Palma alle prese con sempre più pesanti problemi personali.
Dissoluzione del comunismo e rinascita del Salento. Se non ci fossero state Le idi di marzo e la tournée in Russia di CCCP e Litfiba, non sarebbe mai nata la Notte della Taranta di Melpignano, una creatura di Sergio Blasi. «Siamo all’inizio degli anni ’90, ricordiamoci lo sbarco degli albanesi e la nostra accoglienza: ci chiedevano di liberarsi dal bisogno, come avevamo fatto noi italiani partendo per le Americhe, il nord Europa e il nord Italia. Stavamo rivivendo la nostra storia: altre persone con la nostra stessa faccia, i nostri stessi bisogni. La notte della Taranta è la metafora di tutto questo, una richiesta di incontro e amicizia tra musica popolare e altri linguaggi della musica contemporanea. Il muro che crolla libera questa terra».