La prima volta che vidi le mani di nonno Rocco fu in una domenica di agosto, quando il cielo della Basilicata sembrava un lenzuolo sbiadito steso sul mondo. Lui sedeva all’ombra di un ulivo secolare, le dita nodose che accarezzavano un pezzo di legno d’ulivo come se stessero sussurrando segreti antichi quanto la terra stessa. “Le tue mani si fanno come un soffio d’inviolabili lontananze, inafferrabili come le idee,” gli disse una volta nonna Teresa, poeta nell’anima anche se non sapeva leggere. E aveva ragione. Quelle mani raccontavano storie che la voce non poteva esprimere. Venimmo a Pisticci quell’estate perché mio padre, emigrato a Torino trent’anni prima, voleva che conoscessi le radici. La Basilicata non era solo un nome sulla carta geografica dell’Italia, ma il sangue nelle mie vene, anche se non lo sapevo ancora. Il paese sembrava aggrapparsi alla collina come un presepe dimenticato, con le case bianche che brillavano sotto il sole impietoso. I calanchi attorno erano come rughe sulla pelle della terra, testimoni silenziosi del tempo che tutto modella e trasforma. “Vieni,” mi disse nonno Rocco quel pomeriggio, “ti mostro dove nasce il vento.” Lo seguii per sentieri che solo lui conosceva, mentre il profumo di timo e rosmarino ci avvolgeva. Dalla cima della collina, la valle del Basento si apriva come un libro antico. In lontananza, il mare lucido come uno specchio d’argento.
“Guarda,” disse indicando l’orizzonte con quelle sue mani che sembravano trattenere secoli di storia, “qui non è la terra che appartiene all’uomo, ma l’uomo che appartiene alla terra.” Nei giorni seguenti mi insegnò a riconoscere il linguaggio segreto della natura lucana. Mi mostrò come trovare i funghi cardoncelli nascosti tra i boschi di Gallipoli Cognato, come ascoltare il respiro della terra nei sassi di Matera, come intuire l’arrivo della pioggia dal volo delle rondini sopra Craco abbandonata. Una sera, mentre il tramonto tingeva di rosso i calanchi, nonno mi portò in un anfratto della roccia dove l’eco ripeteva le parole come se fossero preghiere. Tirò fuori dalla tasca un flauto di canna, intagliato dalle sue stesse mani, e cominciò a suonare una melodia che sembrava venire da un altro tempo. “Questa è la musica che la terra canta quando nessuno la ascolta,” mi spiegò. “Noi lucani l’abbiamo sempre sentita, anche quando tutti gli altri l’avevano dimenticata.”
Fu in quel momento che compresi cosa intendesse nonna Teresa con quelle parole poetiche sulle sue mani. Erano davvero come un soffio d’inviolabili lontananze, capaci di toccare ciò che gli occhi non vedono e le orecchie non sentono. Inafferrabili come le idee, eppure così concrete nel loro essere sapienti. L’ultima sera, prima di tornare a Torino, nonno mi chiamò nel cortile della vecchia masseria. Il cielo era uno spettacolo di stelle come solo in Basilicata si può vedere, lontano dalle luci delle grandi città. “La nostra terra è come queste stelle,” disse indicando il firmamento. “Sembra lontana, dimenticata, ma continua a brillare anche quando nessuno la guarda. E noi lucani siamo così, continuiamo a esistere anche quando il mondo ci dimentica.” Prese le mie mani tra le sue, ruvide come la corteccia degli ulivi centenari. “Porto queste montagne, questi calanchi, questi ulivi nelle mie mani. E ora sono anche nelle tue, anche se vivrai lontano.” Quando tornai a Torino, portai con me non solo i ricordi, ma qualcosa di più profondo. La consapevolezza che in quella terra apparentemente aspra e dura, batteva un cuore antico quanto il mondo. E che le mani di nonno Rocco, inafferrabili come le idee, avevano trasmesso a me quel soffio d’inviolabili lontananze che è l’essenza stessa della Basilicata. Ora, ogni volta che guardo le mie mani, vedo riflesse quelle di nonno Rocco. E capisco che il tempo non è una linea retta, ma un cerchio che continua a girare, come le stagioni sui calanchi lucani, come le storie che si tramandano di generazione in generazione, inafferrabili eppure eterne come le idee più pure.
Disclaimer: Il testo è un racconto di pura fantasia. Tutti i personaggi, i luoghi, gli eventi e le situazioni descritte sono frutto dell’immaginazione dell’autore e non hanno alcun riferimento intenzionale a persone reali, viventi o defunte, a istituzioni, enti o organizzazioni esistenti. Qualsiasi somiglianza con la realtà è da considerarsi puramente casuale e non voluta. Gli eventi narrati non intendono rappresentare fatti storici reali né fare riferimento a situazioni o circostanze realmente esistenti. Il racconto è stato creato esclusivamente a scopo narrativo e di intrattenimento.