EDITORIALE – Come capita a molti quando si va avanti negli anni, il Papa ha riavvolto la pellicola del film della propria vita ed è tornato indietro nel tempo, facendo emergere dal passato momenti lieti e tristi, circostanze ed eventi che hanno segnato, nel bene e nel male, la propria esistenza, quella di comunità vicine e lontane e dell’intero nostro pianeta. La conoscenza del passato ci permette di conoscere la nostra identità e di ricostruire la nostra storia. E’ importante guardare indietro nel tempo per riflettere sui peccati commessi e sugli eventi negativi che abbiamo vissuto, ma anche per rivivere emozioni e gioie, legami familiari e di amicizia che hanno costellato la nostra esistenza. Più che esplicito è il pensiero di papa Francesco: “E’ importante che i giovani possano recuperare da nonni, padri e madri quella memoria e quella radice, per non restare in aria, o non precipitare in identici errori”.
Di grande pregio letterario le due autobiografie, ripercorse attraverso gli eventi che hanno caratterizzato l’umanità negli ultimi ottant’anni. Gli avvenimenti personali e familiari del pontefice s’intrecciano con importanti temi del passato e della storia contemporanea, quali le migrazioni, le guerre, la crisi ambientale, la povertà, la condizione femminile, la sessualità, lo sviluppo tecnologico.
Toccano il cuore i pensieri che papa Francesco esprime sulle guerre che hanno flagellato e flagellano il mondo: “Mentre Dio porta avanti la sua creazione, e chiama tutti noi a collaborare alla sua opera, la guerra distrugge ogni cosa. Perfino quel che Dio ha creato di più bello: l’essere umano. Stravolge tutto. La guerra è follia e il suo folle piano di sviluppo è la distruzione”. Il papa si rivolge soprattutto ai giovani, perché possano riflettere sugli errori del passato e non ripeterli più.
Di grande valore umano e sociale le sue considerazioni sui rapporti che devono regolare una sana e civile convivenza. Convintamente dice: “A volte viene da pensare che la nostra società voglia atteggiarsi a civiltà delle cattive maniere, quasi fossero simbolo di emancipazione. Lo avvertiamo non solo nell’ambito privato, ma perfino nel discorso pubblico. La gentilezza, la cura, la capacità di ringraziare vengono spesso viste come segno di debolezza, suscitano diffidenza, a volte perfino ostilità. Questa tendenza va contrastata. Dobbiamo diventare intransigenti sull’educazione alla gratitudine, alla riconoscenza: la dignità della persona e la giustizia sociale passano entrambe da qui”.
Ma il messaggio più accorato rivolto all’intera umanità è compendiato in questo pensiero: “Per imparare a vivere, tutti noi dobbiamo imparare ad amare, perché l’amore vince sempre!”.