EDITORIALE -L’età era quella delle scuole medie e i pomeriggi, di solito, si passavano a casa di qualche amico “ufficialmente” per fare i compiti. Era il novembre del 1994, dopo l’estate del sogno americano infranto nella finale di Pasadena e del rigore sbagliato di Baggio, ma soprattutto, era l’autunno di un’Italia smarrita socialmente e politicamente dopo lo scandalo tangentopoli e, di conseguenza, la fine della Prima Repubblica.
Le diatribe musicali tra compagni di classe e amici cominciavano a venire fuori, e nell’eterno dualismo tra fan di Ligabue e di Vasco Rossi, entrò a far parte un cosiddetto “terzo incomodo” che io già ascoltavo molto per sommi capi, ma su cui mai mi ero soffermato con attenzione. Un gruppo fiorentino che già con la loro trilogia del potere aveva riempito qualche mia musicassetta, e aveva suscitato la mia enorme curiosità, non tanto per i testi o la musica, che ho apprezzato poi in età più matura, ma per il particolare timbro di voce che caratterizzava il loro frontman e cantante, quel Piero Pelù capace poi idi crearsi un suo stie rock aldilà dei Litfiba.
Il 19 novembre del 1994 esce “Spirito”, settimo album in studio dei Litfiba, il quale crea molte controversie tra i fan. Lo stile non è quello dei precedenti “Terremoto” e “El Diablo”, e la trilogia del potere è lontana anni luce, ma sicuramente l’origine dei brani e la loro sonorità è molto influenzata dalla condizione sociale ed etica che attraversa la penisola in quegli anni.
Il disco è il terzo capitolo della cosiddetta tetralogia degli elementi, iniziata nel 1990 con l’uscita di El diablo, proseguita con Terremoto e che comprenderà anche il successivo Mondi sommersi.

Inizialmente pensato con il titolo di “Serpente d’asfalto”, Spirito è l’album in cui i Litfiba si rendono conto di poter costruire una tetralogia completa, continuando quindi con un album dedicato all’aria un discorso che, senza aver una precisa guida, aveva già toccato il fuoco (El diablo) e la terra (Terremoto). Nonostante l’approccio sia diverso dal precedente album per solarità e suoni, meno duri rispetto ai due album precedenti, il disco non perde una vena di profonda critica politica e sociale, meno sarcastica e più diretta.
A livello sonoro le influenze latine (con l’utilizzo di strumenti acustici e percussioni di vario tipo) si mischiano con il rock più classico, puntando alle contaminazioni con i generi e con i paesi del mondo. Per la prima volta si affidano inoltre a un produttore artistico esterno: giudicato oramai esaurito l’apporto che Alberto Pirelli poteva fornire da questo punto, la band si affidò a Rick Parashar, già produttore di Ten dei Pearl Jam. Nonostante questo la band non fu particolarmente soddisfatta del lavoro produttivo, tanto che i singoli Lo spettacolo, Spirito, Lacio drom, No frontiere furono appositamente fatti remixare a Los Angeles da Tom Lord-Alge con Fabrizio Simoncioni in qualità di assistente alla produzione. Il disco incontrerà un buon riscontro di pubblico, e arriverà al terzo posto in classifica, risultando il tredicesimo più venduto del 1994.
