Il cielo sopra Policoro brillava di un azzurro quasi irreale, interrotto solo dal volo delle rondini che tracciavano parabole perfette come pensieri non detti. Saverio guardava il mare dalla terrazza del piccolo appartamento che aveva affittato per l’estate, un bicchiere di vino rosso lucano tra le dita. “Cosa vuoi che ti scriva? Cosa vuoi che ti dica? Tu sei ovunque in me.” Quelle parole, scritte su un biglietto lasciato sul tavolo di un bar dieci anni prima, erano rimaste incastrate nella sua memoria come un ritornello ostinato. Erano le parole di Marta, l’ultima cosa che gli aveva lasciato prima di sparire dalla sua vita. La brezza marina accarezzava i suoi capelli ingrigiti mentre i ricordi riaffioravano dal fondo dell’anima, come quei relitti che ogni tanto il mare Ionio rigettava sulla spiaggia. Storie interrotte, amori naufragati. “Zio, posso andare a nuotare?” La voce di Sofia, la nipote di dodici anni che i genitori gli avevano affidato per le vacanze, lo risvegliò dai suoi pensieri. “Certo, ma non allontanarti troppo.” La ragazzina corse giù per la scalinata in pietra che conduceva alla spiaggia. Era identica a sua madre, la sorella di Saverio, gli stessi occhi curiosi, lo stesso modo di aggrottare la fronte quando qualcosa la preoccupava. Saverio tornò a guardare il mare. In lontananza, le montagne della Basilicata si stagliavano contro l’orizzonte, giganti silenziosi che osservavano impassibili il passare del tempo e degli uomini.
Da bambino, Policoro per lui era stata solo una distesa di sabbia dove costruire castelli destinati a essere cancellati dalla marea. Ora, a cinquant’anni, era diventata il luogo dove i fili della sua vita si erano aggrovigliati in nodi che non sapeva più sciogliere. Scese lentamente verso la spiaggia, i sandali che affondavano nella sabbia tiepida. Il profumo di salsedine si mischiava a quello dei pini marittimi che bordavano la costa. Camminò fino a raggiungere la piccola caletta nascosta da uno sperone roccioso, quella dove tanti anni prima aveva incontrato Marta per la prima volta. Lei era seduta sulla sabbia, un libro di poesie tra le mani e i capelli neri che danzavano nel vento. La luce del tramonto le dipingeva la pelle di sfumature dorate. Bastò uno sguardo, una parola, e Saverio capì che quella donna sarebbe diventata parte di lui per sempre. Tre estati erano trascorse veloci come gabbiani in volo, tre estati di passione intensa e progetti sussurrati all’orecchio mentre le onde del mare scandivano il ritmo dei loro respiri. Poi, un giorno di settembre, quel biglietto e il silenzio. “Zio! Guarda cosa ho trovato!” Sofia correva verso di lui, le mani chiuse a coppa intorno a qualcosa. Quando le aprì, rivelò una piccola conchiglia a spirale, perfetta nella sua geometria naturale. “È bellissima, proprio come quelle che collezionava tua madre da bambina.” “Davvero? Non me l’ha mai raccontato.” “Ci sono molte cose che non sappiamo delle persone che amiamo,” mormorò Saverio, più a se stesso che alla nipote. Il sole cominciava a calare all’orizzonte, dipingendo il mare di rosso e arancio. Sulla battigia, un vecchio pescatore riparava le reti, le mani nodose che ripetevano gesti antichi. Saverio lo osservò a lungo, in silenzio. Anche lui, come quel pescatore, stava tentando di riannodare i fili spezzati della sua esistenza.
Quella sera, mentre Sofia dormiva, Saverio si sedette al tavolo della cucina con un foglio bianco davanti. La penna esitò per un attimo, poi iniziò a scorrere sulla carta: “Cara Marta, sono tornato a Policoro. Il mare è lo stesso, ma io sono cambiato. Sono passati dieci anni da quando hai lasciato quel biglietto, dieci anni in cui ho cercato di capire cosa volevi che ti scrivessi, cosa volevi che ti dicessi. Avevi ragione: sei ovunque in me. Nei silenzi, nelle parole non dette, nei gesti incompiuti…” La lettera continuò fino all’alba, pagine e pagine di parole che non avrebbero mai raggiunto la loro destinataria. Quando finì di scrivere, Saverio uscì sulla terrazza. Il nuovo giorno stava nascendo sul mare di Policoro, e con esso una nuova consapevolezza. Prese la lettera e lentamente, pagina dopo pagina, la strappò in minuscoli pezzi che lasciò cadere nel vento. Li guardò volteggiare nell’aria come piccole farfalle bianche, poi disperdersi verso il mare. Come tante speranze infrante, come tanti amori finiti. “Zio, hai dormito?” Sofia era apparsa sulla porta, i capelli arruffati dal sonno. “No, ho vegliato la notte. Come fanno i guardiani dei fari.” La ragazzina sorrise, senza capire. “Oggi mi porti al bosco Pantano? Mamma dice che ci sono animali bellissimi.” “Certo, piccola. Ti porterò a vedere i luoghi dove tua madre e io giocavamo da bambini.” Mentre preparava la colazione, Saverio sentì qualcosa sciogliersi dentro di sé. Il profumo del caffè si mescolava a quello del mare che entrava dalla finestra aperta. La vita continuava, come le onde che senza sosta baciavano la riva. Forse era questo che Marta voleva dirgli con quelle parole. Che l’amore, quello vero, non ha bisogno di essere scritto o detto. È semplicemente lì, ovunque in noi, anche quando la persona amata non c’è più.
Fuori, il sole illuminava Policoro con la sua luce implacabile, rivelando ogni crepa, ogni ferita, ma anche ogni bellezza nascosta. Proprio come fa l’amore con le nostre anime. E Saverio capì che era pronto a lasciar andare il passato, a permettere al mare di Policoro di lavare via il dolore, lasciando solo i ricordi più dolci, come conchiglie lucenti sulla battigia dopo la tempesta.
Disclaimer: Il testo è un racconto di pura fantasia. Tutti i personaggi, i luoghi, gli eventi e le situazioni descritte sono frutto dell’immaginazione dell’autore e non hanno alcun riferimento intenzionale a persone reali, viventi o defunte, a istituzioni, enti o organizzazioni esistenti. Qualsiasi somiglianza con la realtà è da considerarsi puramente casuale e non voluta. Gli eventi narrati non intendono rappresentare fatti storici reali né fare riferimento a situazioni o circostanze realmente esistenti. Il racconto è stato creato esclusivamente a scopo narrativo e di intrattenimento.