EDITORIALE – La comunità accademica ha dato oggi, venerdì 28 marzo, a Torino, il suo ultimo saluto a Federico Sanguineti, figura di spicco del mondo letterario, universitario e filologico italiano. La sua scomparsa, avvenuta a causa di una malattia lo scorso 26 marzo, a 69 anni, lascia un vuoto in quanti lo conobbero ed ebbero modo di lavorare con lui, o di assistere alle sue lezioni e averlo come docente. Nato nel 1955 a Torino, figlio di Edoardo Sanguineti, noto poeta del Gruppo 63, crebbe, visse e studiò a Salerno. Ha insegnato Filologia italiana e Filologia dantesca presso il Dipartimento degli Studi Umanistici dell’Università di Salerno fino al 2023. I suoi studi, eclettici, poliedrici, compositi, mai scontati, hanno toccato diversi campi del panorama storico – letterario e politico: da Lorenzo de’ Medici a Manzoni, da Gramsci a Machiavelli. Tuttavia, i suoi due grandi interessi, e di cui ci lascia in eredità una ricca e importante bibliografia, si sono fin da sempre concentrati principalmente in due direzioni: da un lato ha trascorso la sua vita ad indagare l’Opera dantesca, sviscerando i punti critici della tradizione e ricezione dei suoi testi, in particolar modo della Commedia, dall’altro ha concentrato i suoi studi sulla letteratura femminile, indirizzando le sue ricerche e le sue indagini sulle autrici italiane al fine di consegnare loro il giusto posto all’interno del canone poetico. Nel primo caso ci ha restituito numerose opere di grande valore accademico e dalle quali è scaturito un importante filone di studi filologici del testo dantesco, tra queste ricordiamo, a titolo di esempio, l’edizione critica della Comedìa (Firenze, Edizioni del Galluzzo, 2001) e l’edizione critica dell’Inferno (Genova, Il Melangolo, 2020). La sua personalità era eccentrica, complessa, inedita. Certamente rivoluzionaria, mai totalmente decifrabile, umoristica e goliardica talvolta, ma assolutamente rigorosa ed esigente nell’approccio scientifico – filologico delle sue ricerche. Conduceva con originalità le sue lezioni, ed il suo modo di parlare, di insegnare e di confrontarsi con gli studenti, restituivano pienamente la sua soggettività non ordinaria, per certi versi anticonformista, enigmatica ed estroversa al tempo stesso. E le tinte contrastanti del suo carattere, ma anche la sua inevitabile fragilità, si riflettevano pienamente nelle sue poesie. Così come trovava manifestazione in ciò che scriveva anche il lato più divertente e divertito della sua personalità, come dimostra, ad esempio, l’opera Le parolacce di Dante Alighieri, con introduzione di Moni Ovadia (Tempesta Editore ,2021). Gli studenti potevano riconoscerlo subito all’università, grazie al cappello a cilindro sul suo capo e al sorriso sibillino che sempre solcava il suo volto, nonostante le numerose sofferenze affrontate negli anni a causa delle malattie contro cui aveva dovuto combattere. La sua ultima opera, pubblicata pochi mesi fa nel dicembre del 2024, dal titolo La storia letteraria del futuro. Canone di scrittrici e di scrittori, pubblicata da Edizioni dell’Orso, rappresenta, forse, il suo testamento letterario, tramite il quale lascia in eredità a quanti lo conobbero, ai suoi studenti, agli studiosi e agli appassionati di letteratura, al mondo scolastico e accademico il suo impegno e il suo lavoro per consegnare alle donne, poetesse e scrittrici del passato e della contemporaneità, il ruolo e il prestigio mai realmente riconosciuti loro all’interno del panorama umanistico italiano.
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