EDITORIALE – Una reciproca simpatia e un rapporto di spontanea e sincera amicizia hanno caratterizzato il mio primo incontro con Giovannina (ci conoscevamo solo virtualmente) nella sua casa a Montegaldo dove abita con il marito Giuseppe, circondata dalla presenza premurosa e affettuosa delle figlie Anna Maria e Angela e dei nipoti Alessandra, Giovanna, Giacomo, Beatrice e Giulia.
E’ stato un piacere ascoltare il racconto della sua vita. In maniera spontanea e naturale, ma anche con tanta nostalgia, Giovannina mi ha parlato della sua infanzia trascorsa tra il rione Cerruto di Lauria e la contrada Montegaldo.
Nata al Cerruto, quando aveva appena un anno di età la famiglia si trasferì a Montegaldo. Spesso scendeva con mamma Angiolina e papà Vincenzo in paese: la domenica per la messa e gli altri giorni feriali per vendere le fascine di legna.

Durante la settimana si dedicava, con le sue amiche, alla raccolta di sterpi e frasche sparsi qua e là nella campagna. Era questo un lavoro faticoso: bisognava camminare tra terreni incolti e impervi per cercare rami secchi, poi spezzarli, farne dei mucchietti (‘nzarme) e legarli con lunghi fili di ginestra.
Con le amiche si faceva a gara a chi riusciva a portare in testa la “nzarma” più pesante. Un giorno un amico pesò la “nzarma” di una sua compagna dal fisico esile: pesava un chilo in più del suo peso. Mettere la “nzarma” in testa richiedeva grande sforzo e abilità non comuni, così come trasportarla fino a casa, con il busto eretto e quasi alla cieca, camminando su un terreno a volte ripido e scosceso. Però, quanta soddisfazione quando si riusciva a portare a casa un buon numero di fascine!
Il giorno dopo si faceva il carico sulla docile e paziente asina Palummella: tre “nzarme” direttamente sulla sua groppa e altre due in testa a lei e alla sua mamma, sedute a cavalcioni. Arrivate in paese, si recavano nel rione Olivella, dove legavano l’asina a una pietra bucata. Qui iniziava un nuovo lavoro: le “nzarme” venivano slegate e suddivise in vari mucchietti da consegnare alle famiglie di clienti abituali, in cambio di poche lire. Il ricavato della vendita serviva per comperare generi di prima necessità: sale, zucchero, riso, pasta. Con il nuovo carico si riprendeva la strada del ritorno a casa.
In famiglia erano tanti i sacrifici che si affrontavano quotidianamente: mancavano l’acqua, la luce, i servizi igienici. Lei e i suoi fratelli erano, tuttavia, bambini felici! Giovannina quasi si commuove quando parla del suo primo, grande e unico amore della sua vita, il suo Giuseppe, con il quale si fidanzò all’età di undici anni. Ancora oggi lo guarda con affetto ed elenca le sue doti: “è buono, comprensivo, affettuoso, generoso”.
Poi interviene la figlia Anna Maria per precisare: “non ama le liti, cerca sempre di mediare per redimere una controversia, cercando di esprimere parole e pensieri di comprensione, di tolleranza e di pace”.

Il pensiero di Giovannina torna indietro nel tempo e riaffiora il ricordo di papà Vincenzo, da tutti conosciuto con il soprannome di Gatto Nero. Dopo avere svolto per alcuni anni il mestiere di muratore (tante le case da lui costruite nella contrada Montegaldo) , intraprese il lavoro di panettiere. Veniva in paese con il suo furgoncino ricolmo di vari tipi di pane, si fermava presso le case e nelle piazze, soddisfacendo le richieste dei clienti. Molti ancora oggi ricordano la sua generosità: regalava quasi sempre i suoi ottimi panini, specialmente ai bambini.
Erano gli anni ’60. A Galdo erano iniziati i lavori per la costruzione dell’autostrada. Vincenzo comprò una macchina per il caffè e aprì un piccolo bar dove si vendevano anche panini farciti per venire incontro alle esigenze degli operai del cantiere. Dai panini all’apertura di una trattoria il passo fu breve. In un locale adibito a sala da pranzo, ogni sera circa duecento operai trovavano momenti di relax e di ristoro, gustando buone e genuine pietanze della nostra tradizione culinaria.
Giovannina ricorda quel periodo della sua vita con nostalgia: era tanto il lavoro, tanta la stanchezza, ma anche la gioia di vedere trasparire dallo sguardo e dalle parole la stima e la riconoscenza di quegli operai che, a sera, si ritrovavano tutti insieme, accolti come in famiglia.
Le idee non mancarono certo a nonno Vincenzo per incrementare la clientela.
Il bar “Gatto Nero Agrello” intanto diventò un punto di incontro e di ritrovo per tanti giovani, grazie anche all’installazione di un televisore che permetteva di seguire importanti partite di calcio. Dopo avere inoltrato domanda alla FIT (Federazione Italiana Tabaccai) del Monopolio di Stato di Potenza, nel 1959 ottenne la licenza, numero 28, per la vendita di tabacchi e valori bollati. Fu questo un importante traguardo, anche perché era una delle prime licenze rilasciata in questa zona del Lagonegrese.
Lo spirito d’iniziativa e l’intraprendenza di nonno Vincenzo, il lavoro e i sacrifici di mamma Giovannina sono stati ampiamente valorizzati da Anna Maria, Alessandra e Giovanna, per le quali è stato naturale prendere in mano le redini di un’azienda bene avviata e alla quale sono legate da sentimenti di riconoscenza e di affetto.
Anche l’altra figlia di Giovannina, Angela, ha potuto utilizzare la licenza rilasciata dal Monopolio di Stato, numero 28, per valorizzare maggiormente il suo Cityper Bar all’interno del Centro Commerciale della zona industriale di Galdo.

Oggi Giovannina vive serenamente la sua vita, affrontando con spirito di resilienza gli inevitabili malanni dell’età che avanza. Il suo sorriso, la sua voglia di raccontarsi, la curiosità e l’apertura al nuovo che avanza (è molto attiva sui social) la rendono una persona gradevole e cordiale, con la quale è piacevole conversare.
I suoi ricordi sono fondamentali per stendere un filo di continuità tra il passato e il presente nell’ottica di riacquistare quella parte di noi che è rappresentata dal legame indissolubile con le nostre radici.