EDITORIALE – L’opera della mamma è insostituibile. Ogni elemento di vita morale e di vita sociale ha radici nel comportamento e nell’insegnamento materno: il suo esempio è dedizione, la sua preoccupazione è sofferenza, la sua protezione è amore. Sono tante le prove che una madre riesce ad affrontare nell’assolvere la sua delicata e difficile missione. Ci chiediamo: da dove attinge tanta forza? E’ sempre l’amore, quello che chiamano “sentimento materno” quasi fosse prerogativa della maternità, mentre è un elevatissimo grado di altruismo.
Tra i ricordi della mia infanzia a volte affiorano i versi di un’antica poesia imparata a scuola, dal titolo “Che cos’è una mamma” di Francesco Pastonchi:
“Una mamma è come un albero grande
che tutti i suoi frutti ti dà
per quanti gliene domandi
sempre uno ne troverà.
Ti dà il frutto, il fiore, la foglia
per te di tutto si spoglia
anche i rami si toglierà.
Una mamma è come un albero grande”.
Quando mi capita di ripeterla mentalmente, inevitabilmente il mio pensiero va alla mia mamma.
Si chiamava Gelsomina Di Giorgio. Era una persona socievole, espansiva, cordiale. Un altro suo tratto caratteristico era la generosità. Nel vicolo, di fronte alla nostra abitazione, viveva Catarinuccia, una donna povera e sola. Tutti, nel vicinato, le volevano bene. Spesso la mamma, all’ora di pranzo, mi metteva tra le mani il piatto con una pietanza calda e mi diceva: “Vai a portarlo a Catarinuccia”.
In famiglia era la mamma a dare le regole: con me e le mie sorelle, forse perché più ubbidienti, era meno severa; con mio fratello, più vivace e incline alla trasgressione, usava metodi educativi più fermi e rigorosi.
Non ricordo atteggiamenti o effusioni di tenerezza: mai un abbraccio, un bacio, una carezza.
Le effusioni di affetto, quali baci e abbracci che non aveva mai esternato verso noi figli, le elargiva in abbondanza ai nipoti.
Non aveva ripensamenti quando le si chiedeva se volesse più bene ai figli o ai nipoti. Convinta, affermava: “I figli arrivano quando siamo giovani e siamo presi dall’ansia di essere inadeguati al ruolo impegnativo di genitori. Con i nipoti è diverso: su di loro possiamo riversare tutto il nostro amore e anche viziarli, perché l’educazione spetta ai genitori”.
La sua casa è stata sempre luogo di ritrovo per figli e nipoti, che erano soliti dire: “ci vediamo da nonna”. Era bello incontrarsi, scherzare e ridere, prendersi in giro, ricordare il tempo dell’infanzia, in uno spirito di complicità e di condivisione.
Lei accoglieva tutti con gioia, elargendo sorrisi e abbracci, esaudendo ogni richiesta o desiderio.
Ha vissuto con grandissimo dolore la perdita della nipote Gelsomina, che portava il suo nome.
Sono trascorsi ormai venti anni dalla sua morte, ma il suo ricordo è sempre vivo nel mio cuore.