EDITORIALE – Partiamo da un presupposto importante, nessun incontro è mai casuale, soprattutto se avviene tra due anime diverse sia sotto il profilo umano che artistico. Lo scenario è quello degli ultimi mesi del 1978, in un’Italia che sperimenta su tutto, dal varietà televisivo fino alla musica, divisa tra i “musicarelli” (quei film con protagonisti Albano, Rita Pavone, Little Tony per intenderci), e un’anima più rock e avanguardista che riceve influenze soprattutto dal panorama prog britannico.
Una cena milanese nell’autunno del 1978 fa scoccare la scintilla tra due anime umanamente e musicalmente diverse tra di loro, ma eclettiche nei loro stili personali e artistici. Franz di Cioccio, batterista della PFM è colui che lancia la sfida, Fabrizio De Andrè, è il cantautore che la accoglie. In quella cena, post concerto della band milanese, Faber è rimasto sbalordito dalla tecnica e dalla passione la band mette sul palco. Del resto non è una novità, la PFM ha le canzoni (una su tutte la hit “Impressioni di Settembre”) ma soprattutto ha una capacità unica di comunicare con i propri strumenti. I brani dal vivo vengono spesso riarrangiati, dilatati, resi ancora più trascinanti per un pubblico che vive il concerto come un vero momento di catarsi emozionale. Insomma dal vivo la PFM è una vera macchina da guerra.

Dal canto suo Fabrizio de André è uno che non ama frequentare troppo i palcoscenici. Ha inciso il suo primo disco nel 1961 e solo quattordici anni dopo, nel 1975, ha messo in scena il primo tour, e in quei frangenti è spesso accompagnato da alcuni musicisti dei New Trolls: Giorgio Usai, Ricky Belloni, Gianni Belleno, Giorgio D’Adamo e dal tastierista Alberto Mompellio, quest’ultimo già collaboratore di Franco Battiato ai suoi esordi. Nonostante i musicisti siano avvezzi al rock, la proposta rimane basata sulla voce e sulla chitarra del protagonista, i brani sono arrangiati in maniera scarna e senza sorprese. Del resto Fabrizio e molti cantautori dell’epoca sono chiari: prima vengono i testi, poi la musica e tutte le sovrastrutture.
A fine anni 70’ il vento e le mode stanno cambiando, esce “la febbre del sabato sera” con la sua disco music, e il prog è sostituito dal punk e dal metal, ed è per questo che un cambio di passo innovativo per Pfm e De Andrè sembra più necessario che mai.

Franz Di Cioccio fiuta l’aria, e da uomo intelligente e sensibile quale è capisce che per traghettare la sua band verso le generazioni future di ascoltatori c’è bisogno di qualcosa di diverso. Quale migliore occasione quindi se non provare l’inedito connubio tra un cantautore tra i più amati e seguiti, riconosciuto da tutti come uno dei massimi poeti del dopoguerra, e unire alle sue caratteristiche storie in musica il nerbo di una band come PFM? Del resto le due entità non sono avulse da collaborazioni, già nel 1970 il combo milanese (all’epoca denominato “I Quelli” e composto da Franco Mussida alla chitarra, Franz Di Cioccio alla batteria, Giorgio Piazza al basso e Flavio Premoli all’organo) aveva svolto il compito di accompagnare il cantautore nel suo concept album “La buona novella”. Frangente che fu galeotto per la band, fu infatti l’occasione per conoscere il flautista/violinista Mauro Pagani, insieme al quale avrebbero deciso per il cambio di nome e si sarebbero lanciati nelle avventure che tutti conoscono.
Durante la cena citata, di Cioccio si lancia a ricordare i tempi della loro collaborazione e la butta lì: e se si riprovasse a fare qualcosa insieme, magari dal vivo? Del resto i brani di Fabrizio ben si prestano a essere riarragiati per donargli l’energia necessaria a uno spettacolo live. A disposizione ci sono cinque strumentisti di grande caratura (Giorgio Piazza e Mauro Pagani nel tempo sono stati sostituiti da Patrick Djivas e da Lucio Fabbri) che sanno essere anche totalmente rispettosi nei confronti del materiale trattato. Uno dei timori di De André è infatti quello di essere sovrastato dalla potenza degli strumenti elettrici, lui, abituato al suono della sua chitarra e poco altro.
Il cantautore guarda con timore alla cosa. Ma il timore presto si mischia a una crescente curiosità.
Passata la cena, Fabrizio saggia un poco il terreno. I più gli consigliano di lasciare perdere il connubio, la sua musica non è adatta e essere eseguita da una band ruspante come PFM, gli dicono, sarebbe un disastro. Da buon genovese caparbio però Faber intuisce che il progetto potrebbe trasformarsi in una bella sfida e si convince. Franz ricorderà sempre una frase che a un certo punto sentirà pronunciare al cantautore: “Belìn, mi dicono che è pericoloso e allora lo faccio!”. È si farà!
Le prove sono il momento della verifica e i momenti difficili sono all’ordine del giorno. Come dirà sempre Franz “Fabrizio o lo amavi o lo odiavi”. E sicuramente le tensioni scaturite dai diversi modi di affrontare la materia musicale faranno sì che i cinque della Premiata si avvicinino alla seconda scelta. Ma dalle frizioni possono nascere stimoli che portano a opere grandiose. Come in questo caso: il pubblico che il 21 dicembre 1978 affolla il Palasport di Forlì è pronto per assistere a uno spettacolo tra i più incredibili d’Italia.
Con la band (che ha inserito un ulteriore musicista: Roberto Colombo alle tastiere) e il cantautore (seduto, con chitarra in grembo) schierati sul palco prendono il via due ore di poesia e di sopraffina capacità strumentale. Se Fabrizio De André era “solo” un poeta che cantava le sue storie e PFM “solo” una band di dinamico rock progressivo, insieme diventano un unico ensemble di musica totale.
Le canzoni di De André si spogliano dei loro abiti spesso debitori della raffinata scuola cantautorale francese e si vestono di rock ad ampio raggio, con atmosfere folk, mediterranee, country, celtiche, romantiche aperture, puzzle nei quali ogni strumentista si diverte a costituire intorno alla voce del cantautore un castello di note e strumenti che vanno a impreziosire i brani trasformandoli in qualcosa di fresco e nuovo. De André stesso è stupito dal trattamento che il gruppo opera sulle sue canzoni, a volte stenta riconoscerle per quanta inventiva hanno acquisito.

Come scrive e racconta Fabio Zuffanti, musicista e scrittore genovese a La Stampa, “Fabrizio De André in concerto – Arrangiamenti PFM” diventerà un classico della musica italiana, a testimonianza di un’unione perfetta destinata purtroppo a non ripetersi mai più.
Dopo l’esperienza, la PFM tornerà ai suoi lavori, con il grande insegnamento del poeta che aiuta la band a focalizzarsi anche sui testi, non solo sulle ardite evoluzioni strumentali. De André dal canto suo non smetterà di rivestire le sue canzoni di arrangiamenti sempre più originali. Tra tutte le esperienze future è proprio quella con un ex PFM, il transfuga Mauro Pagani, che troverà i più grandi apprezzamenti. I due realizzeranno insieme veri colossi della nostra storia musicale: “Crêuza de mä” (1984) e il successivo “Le nuvole” (1990).
Quarant’anni dopo, questo album è l’esempio e la simbiosi perfetta di come abilità testuali e musicali abbiano portato in alto il buon nome della musica italiana non solo sul territorio nazionale, ma nell’intero panorama internazionale. Poesia e maestria che si fondono in un’unica anima, creando qualcosa di magico e pionieristico, come solo i grandi riescono a fare.