‘Quella notte il cieco sognò di essere cieco’ Cecità di José Saramago

È un romanzo pubblicato nel 1996. In un tempo non definito e in un luogo sconosciuto, un automobilista fermo al semaforo diventa inspiegabilmente e improvvisamente cieco. Non c’è motivazione che riesca a spiegare il fenomeno. Ma c’è il dopo, e dopo è il caos. La perdita della vista si associa sempre a uno stato di oscurità, di buio, di nero; invece la cecità di cui parla Saramago è bianca. Una cecità particolare, un’immersione in un «mare di latte». Non si tratta di un caso isolato: molte persone si ritrovano cieche. Il medico che visita il paziente zero non riesce a trovare una spiegazione a questa malattia misteriosa e, inoltre, si rende conto di essere stato contagiato anche lui. Una vera e propria epidemia.
Il governo, spaventato da questa malattia ignota e contagiosa, decide di far portare i ciechi in un vecchio manicomio, in attesa di una cura.
Il primo gruppo ristretto di ciechi conta persone che, più o meno consapevolmente, hanno avuto contatti tra loro.
Il paziente zero, il medico, la moglie del medico, il ragazzino strabico, la ragazza dagli occhiali scuri, il vecchio dalla benda nera: i personaggi non hanno un nome, ma li conosciamo grazie al ruolo sociale o ad una caratteristica fisica.
La moglie del medico è l’unica a non essere diventata cieca, ma si finge tale per non abbandonare il marito. Queste persone non hanno un nome, è questa una peculiarità del romanzo: conosciamo i personaggi grazie al ruolo sociale o ad una caratteristica fisica.
Nell’ex manicomio, le regole della buona convivenza vengono meno. La quantità di cibo è piuttosto scarsa, i viveri consegnati vengono frazionati e l’igiene personale è pessima.
Man mano che il numero di internati aumenta, aumenta anche la brutalità dei personaggi, che sembrano trasformarsi in selvaggi. Gli escrementi sono sparsi nelle camerate e nel corridoio e sono un’estensione del loro corpo. Si arriva a furti di oggetti preziosi, episodi di violenza, in cui gli uomini vengono picchiati e le donne stuprate. Saramago fornisce descrizioni cruenti e forti. La cecità di cui si parla nel romanzo non è un handicap fisico, ma è una condizione insita nell’essere umano. “Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, ciechi che non vedono, ciechi che, pur vedendo, non vedono”, scrive.
Il giorno in cui nel manicomio scoppia un incendio alcuni ciechi hanno la possibilità di uscire e quello che vedranno all’esterno li lascerà senza parole. Un mondo messo sotto sopra. Nessuno è amico di nessuno, l’unica cosa che conta è la sopravvivenza.
Un romanzo duro, che vuole far riflettere sulla precarietà della vita umana e delle cose a cui ci si affeziona. L’uomo viene messo a nudo.
Nelle difficoltà emerge la vera natura umana. Saramago scrive, “È di questa pasta che siamo fatti, metà di indifferenza e metà di cattiveria”.
Un romanzo molto attuale, in cui possiamo ritrovare alcune caratteristiche del periodo appena vissuto; si pensi alle file al supermercato per acquistare beni di prima necessità, gli scaffali vuoti, la decisione da parte del governo di mettere i ciechi in quarantena. L’ uomo ritorna in un certo senso ad uno stato primitivo. L’epidemia ha messo al centro dell’attenzione l’uomo per quello è realmente. Siamo ciechi e, se non vogliamo che questa cecità proseguirà anche quando la pandemia sarà finita, se non vogliamo dar vita ad una quarantena infinita in cui non si riesce a vedere oltre il proprio naso, è necessario far tesoro di questa esperienza e aprire, finalmente, gli occhi.

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