Quella volta che Lady Soul conquistò la Rock and Roll Hall of Fame…

EDITORIALE –  L’ultima volta che mi sono imbattuto in un pezzo di “Lady Soul” era il 2014. La mia radio perennemente sintonizzata su “Capital” e una versione di “Rolling in The Deep” di Adele che mi lasciò esterrefatto.

Il brano, già vocalmente complesso di suo, era reso particolarmente “frizzante” da quel tocco di originalità e duttilità vocale che solo Aretha Franklin poteva dare. Quel pizzico di soul in più appunto, che solo “Lady Soul” poteva dare.

Per chi come me è musicalmente cresciuto con un padre più “rocckettaro” e uno zio più devoto alle sonorità della “Motown”, scoprire Aretha Franklin già in tenera età, risultò una tappa quasi obbligatoria, dagli acuti di “Think”, poi per me diventata miliare dopo la visione del film “The Blues Brothers”, fino alla sua versione di di I Say a Little Prayer di Burt Bacharach.

Oggi mi ritrovo a scrivere della Regina del Soul perché il 3 gennaio del 1987, Aretha fu la prima donna a entrare a far parte della Rock and Roll Hall of Fame.

Un riconoscimento che solo alle grandi è concesso, solo a chi ha deciso di partire da lontano per cambiare il mondo con la propria voce, cantando la propria identità di donna e di cittadina cosmopolita, in anni in cui esserlo non era per niente semplice o scontato.

La seguiranno nel 1991 Tina Turner, in coabitazione col suo ex marito Ike, Janis Joplin nel 1995, Brenda Lee nel 2002, Patti Smith nel 2007 e Madonna nel 2008 solo per citarne alcune.

La storia di Aretha parte da lontano. Nel 1956 le sorelle Franklin cantavano nel coro e Aretha suonava anche il piano durante le funzioni religiose. Malgrado due maternità precoci (il primo figlio Clarence avuto a dodici anni e il secondo, Edward, a quattordici, Aretha mostrò passione per il gospel e grande determinazione nel voler entrare nel mondo della musica come professionista: le prime registrazioni di Aretha Franklin furono realizzate attraverso l’incisione delle funzioni religiose del padre da parte della JVB/Battles.

Quattordicenne, Aretha seguì il padre che compiva un viaggio di predicazione, sfoggiando il proprio repertorio gospel. Negli anni cinquanta il produttore discografico Berry Gordy cercò senza successo di arruolare la cantante nella scuderia Motown; successivamente, con il sostegno artistico di Clara Ward, Mahalia Jackson, James Cleveland e Sam Cooke, la cantante fu vicina a firmare un contratto con la RCA ma, dietro sollecitazione di John Hammond, decise infine di legarsi alla Columbia. Il repertorio prevalentemente pop impostole dalla casa discografica non le permise però di esprimere tutto il proprio potenziale di cantante di soul e di rhythm and blues.

Aretha incise cinque album di scarso successo, ispirandosi ad artiste come Mahalia Jackson, Clara Ward e l’amica di famiglia Dinah Washington.

La svolta per Lady Soul però arriva nel 1967, con i produttori Jerry Wexler e Arif Mardin che impressero alle nuove registrazioni una venatura soul e alcuni loro lavori – ad esempio I Never Loved a Man (The Way I Love You) – influenzarono grandemente lo scenario R&B degli anni a venire[9], facendole meritare subito il titolo di The Queen of Soul (la Regina del Soul).

In quegli anni Aretha conseguì anche notorietà internazionale e divenne motivo di orgoglio per le minoranze afroamericane, soprattutto con la sua interpretazione del brano Respect di Otis Redding, che divenne un inno dei movimenti femministi e per i diritti civili.

Ecco perché, per chi ama la musica come me, il 3 gennaio dovrebbe essere segnato in rosso su un fantomatico e immaginario calendario musicale. Perché con Aretha, su quella Hall Of Fame, ci sono tutte le donne del mondo, senza distinzioni di razza o pregiudizi. E’la vittoria di chi ha avuto un sogno e l’ha portato a termine fino in fondo, dotandosi di voce, passione e carisma. Quello di una donna e di una cantante che pur di vedere il marito andarsene via da una tavola calda, urla “Freedom” fino a quando questo non va via sul serio…ma solo nella libertà e bellezza di voler cercare e raggiungere un sogno.

E’la consacrazione di Aretha Franklin, e di tutti coloro che,  come lei, hanno sempre avuto un obiettivo da realizzare e da portare a termine…fino in fondo.

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