Riceviamo e pubblichiamo 𝐥𝐚 𝐧𝐨𝐭𝐚 𝐝𝐢 𝐃𝐨𝐧 𝐌𝐚𝐫𝐜𝐞𝐥𝐥𝐨 𝐂𝐨𝐳𝐳𝐢 𝐬𝐮𝐥𝐥𝐚 𝐫𝐢𝐚𝐩𝐞𝐫𝐭𝐮𝐫𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐂𝐡𝐢𝐞𝐬𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐓𝐫𝐢𝐧𝐢𝐭𝐚̀
POTENZA- Avete vinto voi.
Avete vinto voi che quella mattina del 12 settembre costruiste quell’orribile sepolcro al cadavere della povera Elisa.
Avete vinto voi che con mille espedienti e sotterfugi riusciste a far deviare e a depistare le indagini.
Avete vinto voi che siete stati bravi a coprire per almeno diciassette anni le responsabilità dell’assassino.
E avete vinto anche voi che alla fine avete restituito – certo – Elisa all’abbraccio della sua famiglia, ma come se fosse stato un cagnolino ritrovato quasi per caso.
Avete vinto tutti voi, chiunque voi siate, qualunque sia il mondo a cui appartenete e qualunque sia il ruolo sociale o istituzionale dietro cui vi nascondete.
Avete vinto perché i vostri nomi e i vostri volti non potremo mai dirli ad alta voce o non li conosceremo mai, perché siete stati bravi a far prevalere le ragioni delle vostre rispettive caste sulle ragioni del dolore, perché il vostro anonimato è riuscito a convincere tanti che una responsabilità c’è solo quando c’è una sentenza, ed infine perché la disputa dolorosa sulla riapertura di quella chiesa si è trasformata, nostro malgrado, in una micidiale arma di distrazione di massa. Noi qui a dividerci in fazioni, mentre lì, dietro le quinte, nell’ombra, come sempre è accaduto in questi trent’anni, chissà quanti ad osservare in silenzio, con cinica soddisfazione, perché ormai nessuno più guarda nella loro direzione.
Avete vinto, dunque, e per questo siete tutti colpevoli.
Chiedo perdono alla mia città perché dinanzi alle superficiali semplificazioni e alle colpevoli generalizzazioni non ho saputo gridare abbastanza che in questa storia il silenzio di tanti preti può aver certamente significato un’assenza ma non necessariamente complicità, omertà e connivenza.
Chiedo perdono ai miei confratelli preti, perché non sono stato bravo a spiegargli i dettagli scomodi di questa triste vicenda, da dove nasce quella indubbia terribile, fondata e legittima ombra di sospetto che si è addensata su qualcuno fra noi e perché ad un certo punto il dolore della famiglia di Elisa si è trasformato in lecita rabbia e ostilità.
Chiedo perdono alla famiglia di Elisa perché non ho saputo affermare il primato del loro dolore dinanzi a qualunque altra motivazione, e non ho saputo neanche annunciare il vangelo per il quale quel primato è sempre “terra sacra dinanzi a cui togliersi i calzari”.
Credo nella chiesa della SS. Trinità come luogo nel quale “custodendo la memoria di Elisa” in modo “non festoso” ma “silenzioso”, come ha detto Francesco, si possano porre i segni della fede cristiana e i segni laici di “promozione della vita” per restituirla alla celebrazione della speranza piuttosto che ad un museo di morte.
Cara Elisa, ti prego, favoriscili tu quei “cammini di riconciliazione e di guarigione” che auspica Francesco, perché noi da soli quaggiù non ce la facciamo, e getta tu un ponte fra le due sponde di questa unica grande ferita sanguinante, perché io sono stato incapace.
don Marcello Cozzi