Rocco Spera, l’uomo del fare

EDITORIALE – Rocco Spera è stato un importante manager pubblico. Uno di quelli che oggi definiremmo uomini -macchina dello Stato. Lo è stato non dimenticando mai le sue origini lucane essendo nato a Potenza il 18 luglio del 1931 e nemmeno la sua formazione cattolico democratica.
Purtroppo la sua scomparsa prematura avvenuta a soli 56 anni il 26-9-87 ci ha privato di una grande intelligenza accompagnata da una sensibilità umana non comune.


Da giovane ha aderito e militato con convinzione nella DC partecipando con passione agli appuntamenti elettorali. Legato al senatore Tommaso Morlino lo ha seguito nei suoi incarichi, aderendo alla corrente morotea di cui in Basilicata divenne uno dei leader più ascoltato .
Ma la sua vocazione era altra. A metà degli anni 60 scelse di intraprendere la strada di manager rivestendo nel corso del tempo incarichi prestigiosi e di grande responsabilità. Presto divenne direttore generale della GEPI nel cui consiglio di amministrazione sedeva un altro lucano, Giuseppe Settanni di Pietragalla.
La GEPI la potremmo definire una Invitalia di quel tempo. Una società per azioni costituita nel 1971 con la legge 184 tra enti pubblici IMI, IRI,ENI,EFIM con la finalità di supportare le aziende in difficoltà e di difendere i livelli occupazionali promuovendo azioni di riconversione e reindustrializzazione.
Era uno straordinario strumento operativo per le politiche attive e per scongiurare la perdita di posti di lavoro. Erano gli anni di grandi riforme, di crisi drammatiche come quella del petrolio, delle grandi tensioni sociali che nelle crisi di fabbrica avevano un humus fertile. Avvisaglie di ciò che si sarebbe poi concretizzato nel pieno degli anni 80.


Le sue doti di mediatore e di ascolto maturate anche grazie all’impegno politico che lo aveva formato in gioventù gli consentirono di affermarsi professionalmente risolvendo molte crisi e dando corpo alle politiche di governo. Lui è’ rimasto sempre legato alla regione Basilicata,alla città di Potenza,nel cui cimitero riposa,e non ha fatto mai mancare l’impegno per affrontare e risolvere i punti di crisi del nostro apparato industriale. Con ci ricorda Vincenzo Viti ,assessore alle attività produttive negli anni 70-80 ,al quale ho chiesto una testimonianza del rapporto con Rocco Spera, a lui si deve il salvataggio della industria Siderurgica di Potenza.Legatissimo alla sua compagna di una vita Alba conosciuta nel partito dove svolgeva le funzioni di funzionario,alla quale ho chiesto un ricordo del marito persona veramente speciale.
Oggi a guardare il panorama attuale non vi è dubbio che manchino figure come la sua, di manager di Stato dedicati esclusivamente all’interesse pubblico. Un uomo che proprio grazie alla sua militanza nella Dc sentiva quel lavoro anche come una missione sociale.


Era oggettivamente un uomo del fare. Una persona concreta e pragmatica chiamata a dare soluzioni a problemi che interessavano centinaia di famiglie.
Purtroppo la furia iconoclasta che ha preso piede negli anni 90 ha devastato la cultura delle partecipazioni pubbliche esaltando il privato. Oggi ne vediamo i danni e gli effetti collaterali con una politica sempre più debole e una minor autorevolezza anche delle sue figure manageriali.
Ecco perché ricordarlo non è solo il giusto tributo ad una persona ma anche una doverosa ricostruzione storica di politiche pubbliche che avevano come finalità quella di scongiurare la perdita di posti di lavoro e creare opportunità per imprese che sembravano decotte. I risultati come in tutele cose sono in chiaroscuro ma il suo impegno e il suo patrimonio valoriale hanno lasciato il segno in una stagione che, vista con gli occhi di oggi, forse aveva più pregi che difetti.Lo stesso Rocco Spera,cattolico profondo,quando concludeva i suoi interventi ricorreva alla parabola dei talenti che il Signore ha dato a ciascuno dì noi per farli fruttificare.”Guai se i nostri figli-diceva Spera-dovessero accusarci di aver messo i nostri talenti sotto la terra!”Peppino Molinari MIO MARITO Il mio primo incontro con il dott. Spera avvenne nel 1960 – nel 1963 Rocco sarebbe diventato
mio marito – allorquando, reclutata dall’ufficio del personale della DC in qualità di segretaria
plurilingue, venni assegnata provvisoriamente alla segreteria dell’allora sen. Tommaso
Morlino. Il senatore Morlino era stato nominato dalla Direzione del partito – dopo il congresso
di Napoli – dirigente dell’Ufficio Enti Locali e Regioni a Statuto Speciale, con sede in via
Botteghe Oscure 46, proprio di fronte alla sede del partito comunista; un ufficio che
condividevamo con il senatore Nicola Signorello, nuovo dirigente dell’Ufficio problemi del
Mezzogiorno.


Per me si aprì uno scenario molto stimolante e del tutto nuovo. Avevo 19 anni ed ero
veramente un’apprendista, neofita, in merito a tutto ciò che concerneva il lavoro della
segreteria politica di un grande partito, quale la DC era. Iniziai occupandomi della
corrispondenza e delle molteplici, pressanti, richieste di appuntamenti da parte di sindaci,
assessori o segretari politici, incontri che avvenivano con Rocco – che ricopriva l’incarico di
capo ufficio e coordinatore della segreteria o – per casi più complessi – con il senatore
Morlino.


Con inesperienza, ma con volontà e disciplina, cercavo di rendermi utile non senza un po’
di soggezione e tra non poche difficoltà. Fortunatamente i miei capi ebbero molta pazienza
ed io, che mi resi conto sin da subito dell’opportunità di apprendere un mestiere in un
contesto così prestigioso, cercavo di lavorare sempre al meglio delle mie possibilità.
Scoprii, col passare del tempo, che Rocco, molto spesso, si scherniva quando i suoi
interlocutori lo chiamavano “dottore” ed alla domanda: ma come la dobbiamo chiamare,
allora? rispondeva sempre: Chiamatemi semplicemente Rocco o Spera
Il perché di questa risposta risiedeva nel fatto che aveva da ben tre anni la tesi per
conseguire la laurea in Economia e Commercio già pronta, ma non poteva presentarla
perché doveva ancora superare due esami, per lui ostici: lingua inglese e lingua francese.
Mi permisi di lanciargli una sfida: facciamo un patto di mutuo aiuto: apprendimento delle
lingue vs apprendimento del lavoro di segreteria. Io mi offrii di aiutarlo per il francese mentre
per l’inglese gli procurai un’interprete traduttrice. Con molta fatica riuscì, in breve tempo, a
superare entrambi gli esami, nonostante gli intensi ritmi di lavoro nel nuovo ufficio gestito da
Morlino. Un “capo” garbato ma molto esigente che, parallelamente, ricopriva anche l’incarico
di presidente dell’Ente Maremma e divideva la sua frenetica attività su due fronti.
Entravo in ufficio alle 8,30 del mattino e ne uscivo molto spesso dopo le 21,30.
Rocco conseguì a Bari la sua laurea e Morlino, con grande affetto fraterno, subito dopo,
disse che doveva impegnarsi in settori più consoni alle sue competenze.

Così, seguitando
ad occuparsi di politica – che considerava la sua seconda fede, nonché la sua prima
“passione” – nel 1961 fu assunto nella direzione amministrativa della Federmutua
Commercianti, dove lavorò dal 1961 al 1972, svolgendo funzioni direttive presso i servizi
ragioneria quale capoufficio, capo servizio, fino a ricoprire il ruolo di direttore amministrativo.
Caduto il governo Tambroni, dopo il Congresso di Napoli del 1962, l’Ufficio Enti Locali,
diventò il cuore pulsante del “nuovo corso” della DC. Rocco appena finiva di lavorare alla
Federmutua Commercianti, senza soluzione di continuità iniziava a monitorare, per il partito,
tutte le provincie, fino a tarda sera. Stabiliva contatti telefonici con i dirigenti politici e gli
amministratori e con veemenza li esortava a mantenere la barra dritta senza scivolamenti
nostalgici…


Ricordo le lunghe riunioni – fino alle 22,00 ed oltre – di Morlino con i professori Andreatta ed
Ardigò per la preparazione del programma economico della DC, affidato a quel qualificato
gruppo di lavoro, e le mie ansie nel decifrare le bozze che i tre elaboravano e che mi
venivano inoltrate da Rocco il quale cercava di aiutarmi a comprenderle ai fini della stesura
dattiloscritta.
Nel 1972 lasciò la Federmutua Commercianti per assumere l’incarico di direttore
amministrativo presso la neonata Società di Gestioni e Partecipazioni Industriali (GEPI spa).
Dal dicembre 1976 all’agosto del 1980 ricoprì l’incarico di vice Direttore Generale della
GEPI.
Dal 1980 fino al suo decesso, avvenuto nel settembre del 1987, ricoprì l’incarico di Direttore
Generale della GEPI.


In quegli stessi anni, assunse alcune presidenze in ambito industriale, incarichi derivanti
proprio dall’essere direttore generale (Maserati, Benelli, Guzzi, Callegari e Chigi ed altre
realtà in cui erano in atto ristrutturazioni aziendali ad opera della GEPI) e affrontò importanti
viaggi di lavoro sia un Giappone che in America dove, insieme all’imprenditore Alejandro De
Tommaso incontrò anche il manager Lee Iacocca (Chrysler) per confrontarsi ed affrontare
le molteplici sfide inerenti le trasformazioni del lavoro nel mercato automobilistico.
Sempre in quegli anni – data la sua alta competenza in merito alla gestione dei “salvataggi”
aziendali – tenne un ciclo di lezioni su temi di politiche industriali, per un anno accademico,
nel ruolo che oggi definiremmo di “visiting professor” presso l’Università di Perugia.
L’impegno e le responsabilità presso la GEPI furono totalizzanti. Si spese al massimo, per
cercare di portare avanti interventi finanziari e salvataggi aziendali, specialmente nel suo
amato “sud”, un sostegno che avrebbe portato frutto non solo in ambito locale ma a tutta
l’economia italiana come insegnava il prof Pasquale Saraceno, profondamente stimato da
Rocco. I successi lavorativi non tardarono a ripagarlo dell’impegno e della tanta fatica. Tutto
è politica, era solito dire e salvare aziende per garantire posti di lavoro era un impegno che
portava avanti con grande passione.


Il sequestro del Presidente Moro – cui Rocco era profondamente legato (in “gioventù” si era
molto speso per supportarne le campagne elettorali, girando in lungo e in largo per il
collegio) – ed il tragico epilogo lo segnarono profondamente.
Ricordo la sua reazione che lo spinse, dopo pochi giorni dal sequestro, a presentare una
dura e vibrata protesta/richiesta all’Ufficio Stampa della Segreteria Politica, a Piazza del
Gesù, sollecitando una qualsivoglia reazione popolare, affinché la Dc desse un segnale,
durante quel triste periodo di “assordante silenzio” e angoscioso sconcerto.
Rocco aveva proposto un sit-in con bandiere DC e gonfaloni delle varie province, da tenersi
a piazza del Gesù oppure, in alternativa, una fiaccolata silenziosa da Piazza del Popolo al
Milite Ignoto.
La richiesta non ebbe riscontro.


Le vicende andarono come è più che noto e ciò incrinò il suo impeto e progettualità politica.
Soffrì molto, solo due anni dopo, anche a causa dell’assassinio di Piersanti Mattarella, per i
cordialissimi rapporti di amicizia intessuti con lui durante la militanza politica.
L’assassinio di Moro inquinò tutta la politica e gli ambiti sani e produttivi del Paese.
Rocco si concentrò sul suo lavoro e sulla famiglia specialmente riguardo alla formazione e
al rapporto con Gaia e Paolo, che fu assorbente fin dalla loro prima infanzia.
La passione politica fu declinata anche nell’ambito scolastico dei figli partecipando
attivamente agli incontri preliminari per l’attuazione dei Decreti Delegati per la scuola,
accettando – nonostante gli impegni lavorativi – l’incarico di Presidente del consiglio di
istituto della scuola dei figli.
L’eredità morale che ha lasciato è quella dell’impegno personale declinato come “servizio”
in senso prettamente evangelico, nei confronti della comunità.


Alba Pellegrini Spera IL DIRETTORE DELLA GEPI

Caro Peppino, mi chiedi di ricordare Rocco Spera, di fissare in un ricordo diretto e personale il suo profilo nel vivo della mia esperienza vissuta nelle istituzioni. Lo faccio volentieri in omaggio alla qualità della persona e al servizio che ha reso alla comunità regionale in frangenti delicati della sua vicenda economia e sociale.
Era una stagione segnata dalla crisi di alcuni storici motori industriali lucani.
All’epoca operavo nel Governo Verrastro con responsabilità rilevanti. Nel senso che rispondevo della buona salute delle attività produttive. Un settore esposto a crisi particolarmente avvertite. Sopratutto nella siderurgia esposta a processi continentali di concentrazione e razionalizzazione . L’acciaio incorreva nei provvedimenti europei di contenimento e di consolidamento delle produzioni. La Siderurgica Lucana frutto della genialità di Nino Somma era chiamata a ridimensionare costi e processo produttivo considerati in sede europea non sostenibili se non a prezzo di scelte radicali . Fino alla chiusura delle attività . Somma , è la verità storica ,fu posto di fronte alla alternativa di ridimensionare sensibilmente la produzione. E se avesse deciso di chiudere la attività avrebbe potuto ricevere un significativo forse imperdibile indennizzo. Ricordo che Somma, da imprenditore illuminato, rifiutò l’allettante alternativa che avrebbe provocato l’esodo di circa novecento lavoratori. Infierendo in una condizione generale di crisi dell’intero bacino industriale.
Il Governo regionale ne fu investito e fui chiamato a occuparmene. Il riferimento obbligato era all’operatore pubblici nelle crisi industriali ch’era la Gepi. Cioè Il cantiere deputato dal Governo nazionale a gestire le crisi industriali mediante una analisi autoptica del problema e conseguente ricerca di soluzioni produttive sostitutiva..il mio provvidenziale interlocutore fu Roco Spera. Lucano tenace e di grande intuito e capacità analitica. Si tratto’ di una ricerca laboriosa : salvare parte della azienda rendendola compatibile con gli standard europei e con le condizioni del mercato nazionale. Vissi con Rocco una pagina memorabile di angustie e scoperte . Ne apprezzai il realismo e la acutezza, sopratutto la impagabile professionalità Infine ne uscimmo. Vincemmo anche per l’amore indomito che egli nutriva per la sua comunità . Avrei scoperto in lui la tessitura di un pensiero educato alla solidarietà non meno che alla competenza. Era un moroteo aperto al registro e alle sfide della ragione che sentivo affine alla mia sensibilità. Trovammo quindi la migliore soluzione, che convenimmo con un maturo movimento sindacale. La Siderurgica continuo a operare con un carico produttivi idoneo e con una più ridotta ma consistente forza lavoro. Mentre il personale considerato eccedente trovò rioccupazione nella Pil , un investimento con privati , finanziato dalla Gepi. Non fu l’unico dei prodigi di Spera ma il più significativo e simbolico. Perché sostenne un imprenditore generoso e moderno, trovando con la mediazione regionale, una soluzione che regge ancora alla evidenza. È una, non l’unica delle ragioni per ricordare Rocco Spera, un operatore riservato intelligente illuminato, da inserire fra i protagonisti di una storia ancora tutta da raccontare. Vincenzi Viti.

(Foto di Rocco Spera ,del Padre e dei suoi amici politici Morlino ,Moro ,Zaccagnini e del suo grande amico di Potenza Vincenzo Pietrapertosa)

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