#TellMeRock, 30 aprile 2008: Amen, la preghiera laica dei Baustelle in una Milano ‘noir’

Per la prima volta nella mia rubrica #RockInQuarantine scavalco gli anni 2000.

Torno in una città a me musicalmente cara, quella Firenze che per me è sinonimo di Diaframma, Litfiba, Batistuta e Fiorentina (bistecca, sia chiaro.).

Ma devo spostarmi però a Montepulciano, in Valdichiana per parlarvi di un disco e di un trio che con la loro raffinatezza di testi e musiche, hanno influenzato l’indie rock italiano dalla metà degli anni 90 a oggi .

Sto parlando dei Baustelle e del loro Amen del 2008.

Dopo la “Malavita” del 2005, Milano torna a fare da sfondo a un album in cui la città appare divisa a metà tra un poliziesco anni 70 e un cult “yuppies” da anni 80. Bianconi fa da cronista e “cantastorie” di una quotidianità ruggente, raffinata e allo stesso tempo ricercata.

Il frontman dei Baustelle è un paroliere raffinato, si avverte che Bianconi nelle metriche prende spunto da Battiato e nei contesti e testi si sente ispirato da Battisti.

Ma i Baustelle in Amen non perdono la loro ferocia sociale, e ne è piena dimostrazione la canzone portante dell’album: Charlie Fa Surf. Una fotografia sui ragazzi d’oggi i quali, per sentirsi diversi, non fanno che identificarsi in certe tipologie di musica e modi di essere con il risultato di diventare comunque omologati. Gli adolescenti, protagonisti del brano, vengono definiti dallo stesso Bianconi come «un esercito di piccoli ribelli inquadrati in un anticonformismo di massa». Ma c’è anche l’arte a fare da sfondo al brano: la canzone è infatti ispirata a Charlie Don’t Surf, opera di Maurizio Cattelan, nella quale è rappresentato un bambino con le mani inchiodate al banco di scuola con le matite (a sua volta ispirato ad un dialogo del film Apocalypse Now, che aveva ispirato anche un brano dei Clash Charlie Don’t Surf. E’una lettura ironica più che una condanna, un prendersi in giro abituale tra vizi e virtù, in un pezzo in cui il ritornello entra subito in testa.

Ma la canzone che più mi colpì nel lontano giugno del 2008 fu di certo Baudleaire, un brano che al primo ascolto mi rimandò più ai Bluvertigo piuttosto che ai Baustelle. Per confessione dello stesso Bianconi “Baudelaire è un inno al non suicidio. Nel testo vengono citati quei personaggi che più hanno rappresentato la figura del personaggio autodistruttivo, che riesce però a rendersi immortale attraverso la propria arte. Baudelaire e Pasolini sono accomunati da questo, e le loro vite ci spingono alla riflessione su quale sia il senso della vita”. Un inno alla vita in salsa quasi noir, con la tipica freddezza armonica del trio toscano.

Amen, se vogliamo, può essere un viaggio che racchiude decenni di musica Italiana a tutti i livelli, da Pupo a Paolo Conte passando per Tozzi, fino a Samuele Bersani (sentite “Alfredo”) e il trittico classico di sempre Tenco-Ciampi-Endrigo. Ci sono anche e soprattutto sonorità tipicamente baustelliane (“Dark Room” sembra l’evoluzione dissoluta e bossanova di “Cinecittà” del loro disco d’esordio del 2000), mentre i richiami ai Pulp di inizio carriera sono ridotti, e quando affiorano sono perfettamente amalgamati nella matrice sonora (penso a “L’uomo del secolo”, che fra l’altro è una canzone bellissima e struggente dedicata al nonno di Francesco Bianconi).

Le canzoni come detto vivono ognuna di vita propria, qualcuna più riuscita di altre, di certo spiccano, oltre a quelle già sopra citate, “Il liberismo ha i giorni contati” , la ghost track “Spaghetti Western” o la romantica “L”.

Cosa dire poi della voce raffinata e quasi sospirata di Rachele Bastreghi e degli accompagnamenti ritmici di un Claudio Brasini sempre ordinato e mai sopra le righe.

Amen è un disco che necessita di grande attenzione e molteplici ascolti. La parola disco non è usata a caso, perché nella quarta fatica Baustelliana c’è un ritorno al classico in chiave ironica e vintage. Un “Oggi” letto e riletto in chiave classica che fa riflettere e porta a riprendere numerose riflessioni e strade, introspettive e urbane.

Un lavoro aulico trasformato in chiave rock, con testi sicuramente non efficaci ma significativi, una lettura meticolosa e attenta dei vizi e delle virtù della nostra società nella quale, in giorni come questi, a volte è necessario evadere per trovare pensieri non convenzionali.