EDITORIALE – Peter Cameron, attraverso una narrazione in prima persona, ci fa conoscere il mondo di James, il protagonista del romanzo. Cosa significa diventare adulti in un mondo che ti ha deluso?
James ha diciotto anni, è alla ricerca della sua dimensione e non sa bene cosa fare del suo futuro. Ha uno strano rapporto con gli altri, in particolar modo con i suoi coetanei. La solitudine rappresenta per lui una necessità, un bene primario. Infatti, sente di essere veramente se stesso solamente quando trascorre del tempo da solo. “Il rapporto con altri non mi viene naturale: mi richiede uno sforzo” dice James. Dai suoi racconti trapela uno sforzo continuo di capire e farsi capire, farsi accettare dagli altri.
Il tempo scorre e la vita lo mette davanti a delle scelte che lui non vuole ancora fare. Porto sicuro è la casa della nonna, la quale non gli pone domande, ma attraverso alcune espressioni gli suggerisce vivamente di lanciarsi e provare.
Quindi il dolore è realmente utile? Sicuramente godersi i momenti felici è semplice, il difficile è non lasciarsi abbattere dal dolore patito, vissuto, sopportato; solo quando si riesce a valutare i momenti brutti come un dono, ci si potrà considerare una persona migliore. Un romanzo fragile e per alcuni aspetti spavaldo, proprio come l’adolescente che siamo o siamo stati. Tenta di indagare l’animo umano, scandagliando l’adolescenza e le sue pieghe. Una narrazione profonda che risente, a mio avviso, di uno sintassi a tratti macchinosa e poco accattivante.
