#TellMeRock, 1 Marzo 1973: Religione, sete di denaro e amore: la leggenda di ‘The Dark Side Of The Moon’

EDITORIALE – Se nel mondo esistesse un monumento composto da un prisma che separa i raggi di luce, quel luogo sarebbe meta di un continuo e perenne pellegrinaggio.

Basti pensare al mio impatto quando in tenera età sbirciavo tra i vinili di mio padre, e quel prisma con sfondo nero mi balzò subito agli occhi, rievocando nel “mio vecchio” aneddoti e storie, oltre all’ascolto prolungato e piacevole sul giradischi, ma la maneggevolezza del disco restava (e resta tutt’oggi) una sua esclusiva.

Si, perchè le icone sono importanti, come fondamentale è il contesto in cui esse si collocano e qui, bisogna fare una digressione storica. Siamo a cavallo degli anni di passaggio tra il 60 e il 70, con un’Inghilterra attanagliata dalla recessione, dall’austerity e dall’escalation degli attacchi terroristici dell’IRA, lo specchio di una nazione e di una civiltà occidentale in cui la follia, la sete di denaro e lo stress della vita moderna, risuonavano sinistramente familiari.

A fare da spettatori a questo scenario così mutevole, c’è un gruppo che da poco sta cambiando le linee guida del suo messaggio musicale e sociale, con un cambio di formazione e di cultura musicale che li sta portando nettamente ad essere protagonisti del proprio tempo e non più spettatori.

Il 1° marzo del 1973, mezzo secolo fa, i Pink Floyd, pubblicano il loro capolavoro assoluto The Dark Side Of The Moon, il quale uscirà prima nella suddetta data negli States e il 23 marzo dello stesso anno in Gran Bretagna.

“Questo disco parla di religione, violenza, amore e denaro, tutti elementi che distolgono gli uomini da cose veramente importanti”, dirà Nick Mason in una intervista a proposito dell’album, perchè il disco in effetti è tutto ciò, la prima vera denuncia sociale e autobiografica della band inglese.

I Floyd si lasciano alle spalle le loro memorie psichedeliche e progressive e optano per uno stile dall’impatto più immediato, proponendo la propria verve visionaria al servizio di canzoni più compatte come Money, Time e The Great Gig in The Sky, le più famose sicuramente, ma anche le più ricche nei testi e nelle musiche e per la loro forza evocativa.

Il lavoro dell’Ingegnere del suono Alan Parsons e l’uso delle più avanzate tecnologie musicali dell’epoca, contribuiscono alla particolarità del risultato.

Non basta questo, ovviamente, a spiegare la prolungata consonanza di quella musica con un pubblico transnazionale e intergenerazionale composto da gente che con la lingua e la cultura inglese ha poca o nessuna familiarità. Se la musica è un grande schermo in cui ognuno proietta le emozioni e i significati che desidera, allora “Dark side” è perfetto: un taglio rudimentale di suoni e rumori catturati dalla vita quotidiana (i ticchettii di orologio di “Time”, i passi affrettati di On the run, le monetine tintinnanti di “Money” le risate spiazzanti di “Brain damage”, i frammenti parlati che attraversano il disco dall’inizio alla fine) trasmette ancora, quarantasette anni dopo, un senso di qui e ora, di vita che scorre, di musica calata nella realtà e non ingabbiata dalle quattro mura di uno studio di registrazione.

Time è l’ultimo dei pochi brani nella carriera dei Pink Floyd ad essere stato composto a “otto mani” dai quattro componenti del gruppo (Roger Waters, David Gilmour, Richard Wright, Nick Mason). Le strofe sono cantate da Gilmour, mentre i ritornelli da Wright

Time è caratterizzata da un’introduzione composta da un sommesso ticchettio di orologi che viene bruscamente interrotto dal fragoroso suono di sveglie e pendoli. Alan Parsons anni più tardi rivelò che le varie sveglie furono registrate separatamente in un negozio di antiquariato e i singoli nastri poi sincronizzati per suonare nello stesso momento. Da notare in questo brano come in tutto l’album che la chitarra ritmica e il pianoforte elettrico Wurlitzer sono perfettamente divise sui canali sinistro e destro rendendo ancora più evidente l’effetto “spaziale” dell’insieme.

Tale introduzione eterea si interrompe bruscamente, spezzata da alcuni colpi di rullante, a cui segue la strofa cantata da David Gilmour, dall’impostazione più prettamente rock: fa il suo ingresso ogni strumento, tra cui la batteria (che segue un tempo regolare), mentre il piano Wurlitzer segue un tempo sincopato.

Durante il ritornello, il clima si distende: l’ingresso della voce di Rick Wright accompagnato da cori femminili e dell’organo Hammond generano un’atmosfera più soft; ma, non appena finito il cantato, riprende la parte strumentale rockeggiata, su cui si sviluppa uno dei più noti ed apprezzati assoli di chitarra di Gilmour. L’assolo continua anche nella sequenza strumentale del ritornello.

Dopo l’assolo, riprende la seconda strofa cantata, seguita dal secondo ritornello, aventi una musicalità pressoché identica ai primi. Il secondo ritornello, però, modula gli accordi finali in modo da potersi “innestare” in Breathe (Reprise), brano successivo che però nell’album costituisce un’unica traccia insieme a Time, pur non avendo tematiche comuni.

Time ci descrive perfettamente le concezioni del tempo che si hanno durante tutta la vita: da giovani si ha tempo da poter spendere e sprecare, perché la vita ci appare ancora lunga e duratura; quando poi ci accorgiamo dei tanti anni ormai trascorsi e che la nostra più che vita è stata una semplice e banale esistenza, allora si cerca di recuperare il tempo ormai perduto cadendo nella famigerata “crisi di mezza età”. Non c’è però rimedio allo spreco di tempo, che anzi avanza inesorabile.

La concezione del tempo per i Pink Floyd è analoga a quella di Seneca, autore latino del De Brevitate Vitae. La band inglese, così come Seneca ed altri filosofi, vogliono insegnarci il vero valore del tempo e la sua grande importanza, così da poter essere quanto più efficienti ed efficaci possibili.

Breathe presenta un vago richiamo al riposo dopo la fatica e, per allegoria, al sollievo di una donna dopo che, al termine del dolore del travaglio e del parto, ha dato alla luce un figlio, sembra contenere un invito a non abbandonarsi al ritmo frenetico imposto dal lavoro e a fermarsi a trarre un respiro (in inglese, breathe) nell’aria. Nella seconda parte del brano viene infatti proposta la metafora del coniglio che, al termine del frenetico scavare una buca, subito ne inizia un’altra: ciò non farebbe altro che «portarlo alla tomba anzitempo» (You race towards an early grave, sono le parole finali del brano).

Il tema di Breathe ricompare più avanti nell’album, come Breathe (Reprise), in coda ala suddetta Time: subito dopo i versi finali di quest’ultima, infatti, e senza soluzione di continuità, sulla stessa tonalità di chiusura riparte Breathe, per la durata di una strofa, per poi andare a chiudere. Le parole di quest’ultima strofa sono diverse da quelle presenti nella seconda traccia dell’album.

È la “space music” dei Pink Floyd – misteriosa quanto la copertina creata da Hipgnosis (l’immagine “clinica e fredda” del prisma, spiegò anni dopo Storm Thorgerson, rievocava gli spettacolari live show della band e rappresentava simbolicamente un altro dei temi portanti del disco, l’ambizione umana) creava e crea tuttora spazi di immaginazione sconfinata.

Basti pensare che l pubblico americano amava molto il “prisma”, soprattutto per il suo singolo apripista “Money“, in cui la popolazione di oltreoceano rivedeva il proprio status consumistico, innalzato dall’ideale eterno del “sogno americano”. Il testo della canzone è stato composto dal bassista Roger Waters ed è un’ironica critica all’eccessivo attaccamento al denaro, uno dei “lati oscuri” della natura umana, cause di disagio e sofferenza, che costituiscono il tema centrale di The Dark Side of the Moon.È opinione comune che il denaro sia la radice di tutti i mali odierni” , osserva Waters, “ma nessuno è mai davvero disposto a privarsene”.

È altrettanto opinione diffusa che Waters si sia ispirato al libro della scrittrice George Eliot, il celebre Silas Marner, per la scrittura del testo. La canzone è nota per le strofe in tempo irregolare 7/4, caratteristica non insolita per un certo rock degli anni 70 ma caso unico per i Pink Floyd, nonché piuttosto rara per un singolo di successo.  Al pari di tutte le canzoni dello stesso album, che vedono un largo uso di effetti sonori grazie anche al tecnico del suono Alan ParsonsMoney si apre con vari rumori di un registratore di cassa e suoni di monete opportunamente loopati in modo da scandire il tempo in 7/4, fino allattacco vero e proprio del brano. Un’ipotesi alternativa è che si tratti invece di una slot machine meccanica, di cui si sente lintroduzione della moneta, il tiro-rilascio della leva da qui il nomignolo “one-arm bandit” dato alla macchina mangiasoldi, la rotazione dei rulli. 

Il primo strumento ad entrare in scena è il basso, seguito poi da tutti gli altri. A metà canzone è anche presente un assolo di sassofono, suonato da Dick Parry, amico di Gilmour che fu scelto senza indugi, dal momento che era in grado di suonare un assolo in 7/4. Dopo l’assolo, il tempo cambia da 7/4 ad un più comune 4/4 sul quale David Gilmour esegue un assolo di chitarra per vari “giri”, separati da un riff molto ben riconoscibile, suonato all’unisono da tutti gli strumenti. Gilmour ha dichiarato in un’intervista che il cambio di tempo avesse anche lo scopo di “rendergli la vita più facile” nell’assolo. Dopo la ripresa del cantato, e il ritorno alla struttura metrica iniziale. Il brano sfuma su un tempo nuovamente di 4/4, con la voce che ripete ad oltranza la parola “away”, l’ultima del testo mentre tornano i frammenti di parlato, che ricorrono in tutto il disco e che in questa sezione trattano di episodi di violenza verso il prossimo. Il tutto si dissolve nel tappeto di organo che costituisce l’introduzione di Us and Them, brano successivo.

Se Money è una denuncia al denaro e al capitalismo e Time al violento scorrere dal tempo, la “finta” delicatezza di Us and Them potrebbe evocare una sorta di tregua nella frenesia nel capolavoro Floydiano, ma così non è. Infatti il brano, pubblicato come singolo il 7 febbraio del 1974, è il primo inno di denuncia dei Pink Floyd contro tutte le guerre. Le origini del brano risalgono al 1969, quando il tastierista Richard Wright compose la parte di pianoforte per un possibile inserimento nel film Zabriskie Point di Michelangelo Antonioni chiamato The Violent Sequence.

 Nonostante il gruppo lo ritenesse perfetto per le scene di violenza del film di Antonioni, questi non ne fu convinto, dicendo che: “È meraviglioso, ma è troppo triste. Mi fa pensare a una chiesa.” Tutti i membri del gruppo ricordano con tono vagamente aspro quanto fosse poco collaborativo il regista; secondo loro egli: “Non sapeva cosa volesse, era così difficile lavorare sulle musiche in questo modo”

Ma ciò che colpì David Gilmour, a ripensarci, fu che il gruppo non riutilizzò l’abbozzo musicale che avevano composto né in Obscured by Clouds, né in Atom Heart Mother, né in Meddle, ricordandosene solo durante l’elaborazione di The Dark Side of the Moon. Il testo, interamente composto da Roger Waters, è essenzialmente una critica alle guerre, in particolare a quelle nei paesi poveri, dove generali comodamente seduti danno ordini alle truppe, guardando confini sulla mappa muoversi da una parte all’altra, mentre nel frattempo la prima linea moriva. In seguito vi è un accenno alla povertà diffusa anche nei paesi occidentali. Musicalmente, si apre con un lungo tappeto di organo Hammond, ottenuto modulando le note di un accordo maggiore; dopodiché, entrano gli altri strumenti e ha inizio la canzone vera e propria.

Il brano è notevolmente lungo e ha un tempo estremamente lento; i lunghi accordi di organo Hammond, i delicati arpeggi di chitarra e il leggero accompagnamento del pianoforte non fanno che generare un’atmosfera tranquilla e pacata, quasi “ipnotica”. Dopo qualche giro strumentale introduttivo, entra in scena la voce di Gilmour che intona i versi della canzone, separati da lunghe pause, riempite da un accentuato effetto eco sul cantato. E’ un brano che compone un’opera fondamentale per le sorti del rock, la prima prova dei Pink Floyd a contatto con un rock sociale di denuncia e attenzione verso le tematiche e le emergenze mondiali. Us and Them non è un brano triste o malinconico, ma energico quel tanto che basta a una carezza o a una parola giusta, per smuovere animi e coscienze.

Dark side è, ancora oggi, a cinquant’anni dalla sua uscita, un disco che per essere gustato fino in fondo esige attenzione, concentrazione, sospensione del tempo e dell’attività quotidiana. Una fuga verso un mondo parallelo, o in un’altra parte di sé. Un’esplorazione del proprio spazio interiore. L’ascolto di quest’album sollecita ancora la sensazione di un viaggio misterioso verso l’ignoto, un senso di avventura che trascende la banalità quotidiana.

È un disco fatto di realismo e leggende, come quella che avvenne una domenica di pioggia nello Studio 3 degli Abbey Road Studios. I Pink Floyd stanno ultimando gli arrangiamenti del loro immortale capolavoro The Dark Side Of The Moon, ritrovandosi a dover fare i conti con un pezzo strumentale in ricerca di armonia e nuove idee. Una metodica perfezione che che solo  una voce femminile può dare, la quale, per volere preciso di Roger Waters, dovrà assomigliare il più possibile a uno strumento.

Come arrangiatore dell’album c’è l’ingegnere del suono Alan Parsons, genio degli effetti musicali e vocali, il quale suggerisce di affidarsi alla cantante britannica Clare Torry, con cui Parson aveva già lavorato in passato. Al telefono le viene chiesto di tenersi libera un giorno per una session, senza specificarle per chi o per cosa debba cantare. Una volta arrivata negli Abbey Road Studios, la Torry si aspetta di trovare un coro o altre due ragazze, ingaggiati per lo stesso scopo, e invece ci sono solo la band e Alan Parsons. A quel punto David Gilmour le dice che l’album al quale stanno lavorando è quasi terminato. In fretta le spiega i temi dell’album “la terra, la morte e tutto quello che ci sta in mezzo”, e quello che avrebbe dovuto fare: cantare e basta. “Cosa?”, chiede Clare“Non ne abbiamo idea”, risponde David. Poi arriva la freddura definitiva, con Roger Waters che la guarda e le dice: “Non ci sono parole. Riguarda la morte.”

La “spaesata” Clare Torry non sa che sta per incidere uno dei pezzi più magnetici ed enigmatici dei Pink Floyd, quella The Great Gig in The Sky che dalla prima all’ultima nota è sinonimo di brivido ed emozione.Un brano apprezzato soprattutto per la sua combinazione di musica e voce, simbiosi rara nel genere, ma che soprattutto ha posto innumerevoli interrogativi soprattutto per quanto riguardava il titolo.

No, i Pink Floyd non avevano mai avuto un gran gusto per i titoli, almeno in prima battuta. Li buttavano lì quasi a caso. Poi, per fortuna, arrivava qualcuno a dire che mezz’ora delle loro giornate potevano dedicarla a cercare delle alternative. Prima di diventare The Great Gig In The Sky, (espressione a doppia valenza che può significare sia “Il Grande Carro nel Cielo” che “Il Grande Spettacolo nel Cielo”, splendida definizione per i concerti dei Pink Floyd), il titolo scelto per questo capolavoro era molto leggendario diciamo: The Mortality Sequence. La struttura era molto diversa: c’erano solo un organo e qualche estratto vocale di persone che parlavano di morte.

La prima versione sarà presentata proprio integralmente dal vivo il 23 gennaio del 1972 al The Guildhall di Portsmouth. The Dark Side Of The Moon venne esibito in tutte le sue storiche tracce per la prima volta in assoluto.

La prima prova del brano nel gennaio del 1973 è sconfortante: non sapendo da dove cominciare, Clare Torry canta “Oh yeah, baby, baby”. David Gilmour le dice: “No, no, non vogliamo le parole”. Per renderle le cose più difficili, le impediscono di vedere anche gli accordi delle canzoni. Clare deve improvvisare nel vero e autentico senso del termine, seguendo la traccia a orecchio. Dopo il successivo take, Clare è contenta del risultato, ma non David. Secondo lui può fare meglio. Le offre una birra, la fa sciogliere un po’ e lei ricanta. Al termine è profondamente amareggiata, il risultato non le piace. Quando si toglie le cuffie e torna da Alan Parsons e la band le dicono che può anche andare. E così Clare si convince che il pezzo non vedrà mai la luce.

La Torry molto professionalmente non ci rimane male. Qualche mese dopo nella vetrina di un negozio vede The Dark Side of the Moon, rimane stupita dal trovarsi accreditata nel pezzo. Compra il disco, lo ascolta e, modestamente, si compiace dell’egregio lavoro.

Qualche giorno dopo Alan Parsons incontra Clare negli studi della EMI e le dice, tutto contento, che “l’album sta andando molto bene”, ma Clare non coglie al volo il riferimento e domanda incuriosita: “Quale album?”

Il brano mette al suo centro la morte dunque, ed è la naturale prosecuzione di Time: il protagonista del testo si rende conto di aver sprecato troppo tempo nella propria vita e inevitabilmente resta spaventato all’idea di morire, spesso senza avere il tempo di realizzare tutti i progetti che ha in mente. La risposta a questo terrore è filosofica: la paura della morte è insensata in quanto tutti, prima o poi, se ne devono andare.Infatti, una delle domande che Roger Waters poneva agli intervistati nelle registrazioni che furono poi usate in vari punti del disco era “Hai paura della morte?” (lett. “Are you frightened of dying?”)

Per l’esecuzione della sua parte Clare Torry ricevette un compenso di 30 sterline, anche se in seguito la cantante e i Pink Floyd raggiunsero un accordo, peraltro mai reso pubblico, circa l’indennizzo economico a lei spettante.

TRACK LIST ORIGINALE

Lato A

  1. Speak to Me – 1:30 (musica: Nick Mason)
  2. Breathe – 2:43 (Roger Waters, David Gilmour, Richard Wright)
  3. On the Run – 3:30 (musica: David Gilmour, Roger Waters)
  4. Time + Breathe (Reprise) – 6:53 (Nick Mason, Roger Waters, Richard Wright, David Gilmour)
  5. The Great Gig in the Sky – 4:15 (musica: Richard Wright)

Lato B

  1. Money – 6:30 (Roger Waters)
  2. Us and Them – 7:49 (Roger Waters, Richard Wright)
  3. Any Colour You Like – 3:24 (musica: David Gilmour, Nick Mason, Richard Wright)
  4. Brain Damage – 3:50 (Roger Waters)
  5. Eclipse – 1:45 (Roger Waters)


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