EDITORIALE – Per parlarvi dell’album di oggi devo fare un salto al 1997. Su Italia 1 c’era un programma condotto da dj Ringo che andava in onda in seconda serata, il titolo era “105 Night Express” ed era palcoscenico di concerti, live e speciali dedicati a gruppi musicali italiani.
In una di quelle serate autunnali, ricordo ancora le parole d’esordio di Ringo che, mimando gli occhi a mandorla, disse “questa sera col Night Express vi porteremo in Mongolia e copritevi bene perché fa freddo lì…” e di seguito partì un riff di chitarra reso immortale dal grande Massimo Zamboni.
L’anno era il 1997, il gruppo erano i Csi (Consorzio Suonatori Indipendenti) e questa è la storia dell’album che scalzò dal primo posto in classifica un capolavoro come “Be Here Now” degli Oasis.
Tabula Rasa Elettrificata, uscito il primo settembre di ventisette anni fa, prende ispirazione da un viaggio in Mongolia di Giovanni Lindo Ferretti e Massimo Zamboni, intrapreso attraverso la Transiberiana e dal quale è stato tratto anche un libro: In Mongolia in retromarcia. Da quel viaggio è stato tratto anche un film di Davide Ferrario, Sul 45º parallelo e una serie di documentari per Geo & Geo (Rai 3) con la regia di Marco Preti.
Dopo i Cccp l’identità della band si sposta verso un senso musicale più mistico, più introspettivo oltre che ribelle, la Mongolia è fatta di praterie “elettrificate” secondo Ferretti, che definì Tabula Rasa Elettrificata “l’unico disco rock nella storia dei CCCP/C.S.I”.
Zamboni, ancora oggi, ne fa più una questione personale, un album e un viaggio su cui fa scuola e ne racconta aneddoti e ricostruzioni, nella consapevolezza che l’album rappresenta una vera e propria linea di confine nel panorama musicale di quegli anni, travolti da stelle nascenti del pop (più meteore a mio avviso), o tormentoni estivi.
Le musiche, inserendosi nel clima espressivo delineato dalle tematiche sopra citate, acquistano un impressionante vigore energetico, sono spesso scariche, inondazioni di impulsi cerebrali (o cardiaci), e si sente un chiaro tentativo di recupero del vecchio punk “Cccp“.
Al primo ascolto, si puo’ restare sorpresi dall’apparente radicale distanza rispetto all’atmosfera rarefatta di “Linea gotica”, si potrebbe quasi pensare ad una involuzione o ad un tentativo di risultare meno inaccessibili; ma, con piu’ attenzione, si comincia poi a cogliere che questa ritrovata semplicità è del tutto ingannevole. E , via via che si riascolta, anche dopo 27 anni, appare sempre più chiara la sconcertante esattezza con cui il disco è concepito, e la profonda poesia che lo caratterizza.
Forma e Sostanza è un pezzo che ti prende dentro, con Zamboni che parte di chitarra, come suddetto, e crea già l’idea del viaggio, dell’esplosione di qualcosa che deve evadere e andare oltre, un grido di libertà che in “Voglio ciò che mi spetta” (spacciato per titolo originale da molti), apre la nuova frontiera del rock.
Se i testi di Ferretti vorticano attorno a temi sociali e introspettivi, modulando la voce su registri al solito ieratici e terrigni (coadiuvato dalla presenza “muliebre” – nel senso più esteso possibile – di Ginevra di Marco, sontuosa in Matrilineare), da par loro le musiche (firmate Zamboni, Magnelli e Maroccolo) sintetizzano un impasto assieme aggressivo e austero.
Dieci pezzi, nessuno inutile, anzi tutti perfettamente sensati: da Unità di produzione che regola il tono e l’intensità dello sguardo (tra epica e apocalisse) alla malinconia pittorica di Ongii (dedicato al fiume che attraversa la Mongolia, un tempo lungo oltre quattrocento chilometri), dal tormento melmoso di Brace alle litanie mesmeriche di Gobi, dall’evocativa Bolormaa alla martellante Accade (dove un Ferretti in stato di grazia, mette su una ripetizione ossessiva 18 volte di fila “CIO’ CHE DEVE ACCADERE ACCADE” che, alla fine, finisce davvero per togliere il respiro).
M’importa na sega fa da brano conclusivo a un ritmo incalzante fatto di ribellione accesa, di spirito goliardico e di allusioni che si prendono gioco di mode e conformismo.
Alcune tendenze auliche sembrano richiamare il Battiato visionario dei suoi anni da profeta della nuova generazione musicale italiana e infatti, il maestro catanese, così ha definito Tabula Rasa Elettrificata: “Un disco eccezionale. Ritengo che tutti i brani siano molto interessanti, ma soprattutto Brace, Tabula Rasa Elettrificata e Forma E Sostanza. In Bolormaa c’è una frase stupenda: “Monito terrorista che la retta è per chi ha fretta”, ed anche Matrilineare con il suo innesto di voci è un brano che mi ha colpito. Tabula Rasa Elettrificata è un disco, per usare una sintesi, apocalittico. Facendo però attenzione all’utilizzo di questa parola con il suo significato originale di rivelazione. Un disco che appartiene ad una concezione esistenziale nordica, con una idea di rivoluzione non nella sua accezione distruttiva. Un disco rivoluzionario“