EDITORIALE – Per me è la canzone più bella di Bob Marley, perché possiede quella commozione profonda, quel velo insopprimibile di malinconia di chi sa di avere il destino segnato.
Bob Marley scrisse Redemption Song nel 1979, quando sapeva di dover morire, di non avere più tempo. La versione più struggente e indimenticabile è quella nuda e straziante presente sul cofanetto Songs Of Freedom, relativa all’ultimo concerto di Marley a Pittsburgh il 23 settembre 1980. Ma memorabile non fu tanto ciò che si è potuto sentire, quanto quello che si è potuto vedere.
Marley chiese silenzio dopo essere tornato sul palco, aveva concluso lo show con un trittico incendiario, lo stesso dei concerti di Milano e Torino di 40 anni esatti fa: No Woman No Cry, Exodus, Jamming. Lasciò sfogare la folla entusiasta, poi prese la chitarra acustica, e restò solo senza i suoi Wailers. Attaccò la prima strofa, poi la seconda
Emancipatevi dalla schiavitù mentale
Solo noi stessi possiamo liberare la nostra mente
Non aver paura dell’energia atomica
Perchè nessuno di loro può fermare il tempo
Per quanto ancora dovranno uccidere i nostri profeti,
Mentre stiamo da parte e guardiamo? Ooh!
Alcuni dicono che è solo una parte di questo:
Dobbiamo adempiere al libro.
Poi fu la volta del ritornello
Non mi aiuterai a cantare
Questi canti di libertà?
Perchè tutto quel che ho sempre avuto
Sono i canti di redenzione,
canti di redenzione
canti di redenzione
Marley si voltò verso la sua band che intanto era tornata sul palco e vide che piangevano tutti. Piangevano i roadies, i manager, gli amici ai bordi del palco. Era il testamento del Re del Raggae.
Redemption Song è l’ultima canzone del suo ultimo album Uprising, ed è anche l’ultima canzone che ha cantato dal vivo.
Bob Marley morirà a 36 anni, l’11 maggio di quaranta anni fa a causa di un melanoma al piede destro.