EDITORIALE – L’Italia delle “Notti Magiche” dei mondiali del 1990, portò una sferzata di energia e di ispirazione senza precedenti. Non solo a livello imprenditoriale, economico e sportivo, ma anche artistico: con cantanti, gruppi e autori, che ebbero l’occasione di mettere in campo scelte innovative e di avanguardia.
In quegli anni, a livello musicale e come già scritto per altri gruppi finiti in questa rubrica, il rock prendeva le proprie ispirazioni dalla quotidianità di quegli anni, guardando a quei giovani travolti dalla vitalità delle grandi città e quei ragazzi della provincia che cercavano il proprio riscatto e la loro voglia di emergere.
Tra questi ultimi c’era un rocker di Correggio, provincia di Reggio Emilia, che era già entrato nelle grazie e attenzioni di un certo Pierangelo Bertoli e che nel 1988 aveva pubblicato un singolo rock con gli Orozero.
Il suo nome è Luciano Ligabue, il quale 35 anni fa, l’11 maggio del 1990, pubblica il suo omonimo disco di esordio Ligabue.
Va in scena la provincia in questo album dalle forti tinte autobiografiche, una missione che avevano già portato avanti in modo imponente e importante gruppi quali i Nomadi e i Cccp. L’ambizione era quella di portare il mondo della provincia remota coi suoi sogni, le sue speranza, la propria quotidianità e il suo lavoro, alla ribalta delle nuove narrazioni nazionali.
Ligabue pesca dal suo mondo, dalla sua provincia: e prende ispirazione per il realismo dei suoi testi anche dalla tradizione cantautorale italiana, mettendoci sonorità del rock made in Usa con riff ispirati dalla cultura musicale di Bruce Springsteen o dalla sperimentazione di fine anni 80 degli U2.
Il disco si apre con la ritmata Balliamo sul Mondo e il suo riff iniziale entrato subito tra i motivi più orecchiabili e suonati di quegli anni e non solo. Il brano è la storia di due giovani (paragonati a Ginger Rogers e Fred Astaire)a cui la vita non offre altro che instabilità e incertezze. Così decidono di ribellarsi e fuggire, concentrando nella pratica del ribelle “Fandango”, tutte le loro speranze e aspettative.
Sempre su quell’andamento rock e autobiografico della vita di provincia, si concentrano i brani “Bambolina e Barracuda”, che narra di un playboy le cui aspettative sono rimesse in riga da un’attiva femminista, e Bar Mario, pezzo già incluso nel primo 45 giri dell’artista Anime in plexiglass/Bar Mario con gli Orazero, un promo a tiratura limitata del 1988. Presente in Ligabue nella versione con i Clan Destino. Il testo non racconta un locale in particolare, ma di un luogo idealizzato, né positivo né negativo, ormai scomparso, che con i cliché e le routine del proprietario e dei suoi avventori, riusciva a trasmettere la voglia di frequentarsi in un’atmosfera quasi familiare.
Ma come già scritto su, in Ligabue è forte anche l’animo della provincia sognatrice, speranzosa e a tratti anche ingenua. Ed è su quest’ultimo sentimento e su una storia realmente accaduta a una sua amica, che il rocker di Correggio compone una delle sue ballate più famose: quella Piccola Stella Senza Cielo cantata a squarciagola durante ogni live. Nelle interviste di qualche anno fa in cui al cantautore veniva chiesto il significato di questo brano, la risposta era quasi sempre questa: “L’ingenuità è un lusso che nessuno può concedersi, chi ci prova è destinato a pagarlo molto salato.”
La stessa ingenuità e anima sognatrice che Ligabue canta in un altro suo classico ancora attuale: Sogni di Rock’n’Roll. Già inciso da Pierangelo Bertoli e inserito nell’album Tra me e me del 1988,è presentato in quest’album nella versione inedita dell’autore emiliano. Canzone ingenua e spensierata, racconta le tipiche nottate del sabato trascorse dal cantautore con gli amici della band, con la velata malinconia di chi sa che quei bei tempi non potranno tornare. E’ una storia in cui c’è ognuno di noi, seduto su una panchina, a pianificare il weekend e a fare la conta dei luoghi dove andare, che poi sarà sempre il solito, caro e affezionato muretto.
In questo album c’è un po’ tutto il Ligabue ambizioso che cerca di pianificare il suo futuro, tanto che a risentire ancora oggi dopo trent’anni Marlon Brando è sempre lui, si può arrivare a capire anche la sua scelta di diventare regista cinematografico. La passione per il cinema raccontata nel suddetto brano è palese nella storia di una coppia va al cinema a vedere un film con Marlon Brando per sopire la propria “sete di eroi”. Dedicato al famoso attore, che all’inizio esclama “Hey Stella!!”(grido tratto da una scena del film Un tram che si chiama Desiderio). Pare che Ligabue abbia inserito questa parte per creare una sorta di collegamento con il brano precedente dell’album, Piccola stella senza cielo, però non è mai stata rilevata una certa attinenza su questa storia.
La provincia che sogna ritorna a farsi strada in Non è tempo per noi, dove I ‘noi’ (compreso chi canta) sono quelle persone che vivono libere da condizionamenti e inseguono i propri sogni scostandosi dalla mentalità di un’epoca che non fa per loro, seguendo sé stessi, idee personali e modi di vita che non cambierebbero mai. Distaccamento che arriva in modo ancora più marcato quando il Liga canta Figlio di un cane, brano già inserito ancora da Bertoli nel disco del 1989, Sedia elettrica e mai cantato prima da Ligabue. Il rocker emiliano qui rimarca l’identità personale in contrasto al senso di inadeguatezza che l’individuo sente nei confronti del tempo in cui vive, troppo stretto o formale e chiuso rispetto ai sogni e alle ambizioni che si hanno.
Sono suoni ruvidi di un Ligabue che cerca di affermarsi portando in musica la sua generazione e la sua gente, fuori da stereotipi o luoghi comuni. E’ la provincia genuina che arriva nelle orecchie e nelle casse degli italiani, quasi come un’opera Felliniana degna di Amarcord. Ma Luciano Ligabue da Correggio non si sente anima estranea o spettatore di questi luoghi, ne diventa portavoce, testimone e “cantastorie in salsa rock”.