EDITORIALE – Bob Dylan in Blowin’In The Wind, nel 1963, sì chiede: “Quante strade deve percorrere un uomo, prima di potersi chiamare uomo?”
Stessa domanda, dieci anni dopo, deve essersela posta Bruce Springsteen, che l’11 settembre del 1973 pubblica il suo secondo album, intitolato come un western di Sergio Leone: The wild, the innocent & the E-Street Shuffle.
Si, perché in questo disco il Bruce, ragazzo pieno di sogni e carisma venuto dal New Jersey, diventa a tutti gli effetti Bruce Springsteen.
The Wild, The Innocent & The E Street Shuffle è il disco soul di Bruce Springsteen, una novella, sanguigna West Side Story, popolata di neri e chicani, che sarà mandata a memoria da Southside Johnny e da Willy De Ville e sull’altra costa influenzerà il Tom Waits di Blue Valentine.
Se in Greetings from Asbury Park, N.J, Springsteen era il provinciale giunto in visita nella metropoli e colmo di spaesata meraviglia, il suo secondo lavoro si divide fra i luoghi d’origine e la città che lo ha adottato e che in Born To Run prenderà il centro della ribalta (momento celebrato in Meeting Across The River). Se vi è una continuità con le cartoline da Asbury Park è data, principalmente sulla prima facciata, unicamente da tematiche testuali che vertono sulla fuga e il sogno di un avvenire in cui ogni possibilità è una promessa, ancora adolescenziali nel loro nucleo. Musicalmente lo stacco è netto da subito ed eccettuato il secondo brano – 4th Of July, Asbury Park (Sandy), una superba ballata a base di chitarra acustica, fisarmonica e voce sussurrata, raffinatissima nella sua semplicità – permane tale sino al congedo.
Infatti l’album presenta alcune analogie con il primo disco del Boss, Greetings from Asbury Park, N.J. Si apre, proprio come il precedente, con una chitarrina funky e con una canzone che porta lo stesso titolo del disco, e che rappresenta una dichiarazione di intenti.
È E Street Shuffle, il brano che apre il secondo disco di Bruce Springsteen. Con questo pezzo compare ufficialmente sulla scena la E-Street Band, che darà – poi – il nome al gruppo che accompagnerà Springsteen praticamente per tutta la vita. La E-Street, contrariamente a quanti molti pensano, non si trova ad Asbury Park e non è l’indirizzo di casa di Bruce. È a Belmar, sempre nel New Jersey, e ci abita il tastierista David Sancious, che – un po’ ingiustamente – non farà parte mai della E-Street Band ufficiale, che comparirà – lo vedremo – col terzo disco.
Il ritmo è per l’appunto quello caracollante dello shuffle, i fiati sono saporosi di rhythm’n’blues, l’atmosfera è festaiola e intrisa di latinità, l’assolo di chitarra non molto distante dal primo Santana. Santaneggiante è anche la chitarra che in Kitty’s Back cede il passo a una gioiosa baraonda (ma c’è del metodo, e molto ordine, in questa follia) in cui si mischiano fiati soul, un piano saltellante e un organo travolgente. Il finale di lato è affidato a un brano memorabile, oltre che per la sua bellezza, per l’atipicità nel percorso artistico di Springsteen. È curiosa la scelta degli strumenti in Wild Billy’s Circus Story, con Tallent che suona un basso tuba in luogo del basso elettrico, il leader che si divide fra chitarra, mandolino e armonica e Federici che sfodera di nuovo la fisarmonica, e curiosi i richiami a certo folk europeo (per qualche battuta si va addirittura a tempo di polka). Potrebbe essere una canzone di Tom Waits, e non a caso Waits l’ama molto, o un omaggio a Nino Rota.
La seconda trwccia è il luogo dove il Selvaggio e l’Innocente del titolo si incontrano, nelle due ballate prevalentemente pianistiche Incident On 57th Street e New York City Serenade – che si avviano sulle strade che verranno percorse in Born To Run
Dave Marsh, una delle firme più importanti e brillanti della critica rock statunitense, non era rimasto particolarmente impressionato dai suoi primi contatti con la musica di Springsteen. Il suo innamoramento per colui che presto sarebbe stato universalmente noto come The Boss, al contrario di quello di Jon Landau, quasi un colpo di fulmine, sarà fatto di approcci un po’ incerti, ma quando l’amore sopraggiungerà non sarà un’emozione passeggera. Nessun artista nella storia del rock, nemmeno i Beatles, è paragonabile per numero di esegeti e puntigliosità degli stessi a Bruce Springsteen.
Di tale foltissima schiera, Marsh è un capostipite ed è colui che ha meglio definito il nucleo dell’arte springsteeniana. Questione di affinità culturali profonde.
In The Wild, The Innocent & The E Street Shuffle, c’è la grande capacità di Bruce di sintetizzare immagini, miti, luoghi comuni, e farne un racconto nuovo: lei è chiusa in casa dal padre severo (e pure gretto, visto che ne fa anche una questione di sicurezza economica), il che risale in fondo a Romeo e Giulietta. Ma lui arriva a liberarla, rassicurandola fra l’altro di avere avuto un anticipo dalla casa discografica, il che dovrebbe attenuare le preoccupazioni paterne; nel frattempo la macchina (altro elemento fondativo del mito springsteeniano) è bloccata nel fango. Nondimeno, Bruce le promette di portarla in un piccolo caffè in California del Sud (il viaggio a Ovest, altro mito americano) dove si suona la chitarra tutta la notte. Insomma: uno così non lo ferma nessuno.
La canzone – lo avrete – capito è Rosalita, per qualcuno il più grande pezzo rock di tutti i tempi, di certo il ritornello più travolgente di tutto il repertorio del Boss. Rosalita, come out tonight…canta Springsteen
E questo secondo album – fosse anche solo per questo brano – merita di rimanere nella storia. Eppure quando uscì non ebbe grande successo di pubblico: in Inghilterra, per dire, entrò in classifica solo nell’85 in seguito all’uscita – e al clamoroso successo – di Born in the Usa.