EDITORIALE – Quando si parla dei Fleetwood Mac si pensa subito a “Rumours” il loro best-seller del 1977, archetipo di un certo pop-rock americano ben scritto e ottimamente interpretato.
In realtà il vero cambio di rotta della band avvenne due anni prima con il secondo disco eponimo (decimo della band) e che segnò l’inizio della loro fase californiana e l’abbandono del blues britannico che li aveva caratterizzati fino ad allora.
Lo “sliding doors” dei Fleetwood Mac ha inizio con la sostituzione del chitarrista/cantante Bob Welch. I tre membri della band Mick Fleetwood, John McVie e Christine McVie (Peter Green, genio e sregolatezza, aveva già lasciato la band anni prima) scelsero Lindsey Buckingham, chitarrista west coast che con la sua precedente band aveva già calcato i palchi insieme a Jimi Hendrix e Janis Joplin, il quale chiese come condizione di accettare nella band anche la sua fidanzata Stevie Nicks. E furono proprio i nuovi arrivati a plasmare il suono della rinascita dei Fleetwood Mac.
“Landslide” e “Rhiannon”, presenti in questo disco, rimangono due delle canzoni più rappresentative non solo nella discografia dei Fleetwood Mac, ma di tutta la moderna pop music. La prima è stata una delle più coverizzate negli anni 90 (dagli Smashing Pumpkins alle Dixie Chicks. ).
Landslide è un brano riflessivo in cui il narratore contempla il passaggio del tempo e il modo in cui cambia loro e le loro relazioni. Il ritornello parla della paura del cambiamento e dell’essere “più vecchi” che tutti proviamo, ma che alla fine dobbiamo accettare: “Il tempo ti rende più coraggioso, anche i bambini invecchiano, e anch’io sto invecchiando”. L’immagine della “frana” potrebbe essere vista come la rottura dei vecchi modi di vivere e l’inevitabile viaggio verso un nuovo modo di vivere. In definitiva, “Landslide” è una canzone che parla dell’accettazione del cambiamento e dell’imparare ad essere coraggiosi e ad aprirsi alle nuove esperienze della vita.
“Rhiannon” è invece una di quelle perfette pop song che potrebbe essere uscita ieri: la progressione degli accordi in minore, l’affascinante racconto della donna misteriosa, l’inconfondibile voce di Stevie Nicks, per non parlare delle armonie tripartite di Stevie, Christine e Lindsey nel coro, che sarebbero diventate un marchio di fabbrica del suono della band. Stevie Nicks ebbe l’idea per Rhiannon attraverso un romanzo intitolato Triad, di Mary Leader. Il romanzo parla di una donna di nome Branwen, che è posseduta da un’altra donna di nome Rhiannon. Nel romanzo vi sono riferimenti della leggenda gallese di Rhiannon, ma i personaggi nel romanzo riconducono poco ai loro omonimi della mitologia gallese (sia Rhiannon che Branwen sono personaggi di primaria importanza nei racconti medievali in prosa di Mabinogion).
Nicks comprò il libro proprio prima di un viaggio in aereo, e trovò il nome così bello da voler scrivere qualcosa riguardo a una ragazza di nome Rhiannon. Scrisse “Rhiannon” nel 1974, 3 mesi prima di unirsi ai Fleetwood Mac, asserendo di aver impiegato 10 minuti per scriverla.
Dopo aver scritto la canzone, Nicks scoprì che Rhiannon era una divinità gallese, e rimase stupita che il testo della canzone fosse tanto vicina alla Rhiannon della mitologia. Nicks fece ricerche sulla storia di Mabinogion e cominciò a lavorare su un progetto, incerta su cosa sarebbe diventato. Ci sono parecchie canzoni che fanno parte di questo progetto irrealizzato, tra le quali “Stay Away” e “Maker of Birds”. Nicks scrisse la canzone dei Fleetwood Mac “Angel” basandosi sulla storia di Rhiannon.
Stevie Nicks evitò di indossare abiti neri per circa due anni nel tentativo di allontanarsi dalle associazioni alla stregoneria e alle arti oscure che la circondavano in merito alle impressioni erronee che il testo di Rhiannon aveva dato ai fan.
In sostanza questo epico disco fa da cinghia di trasmissione tra i due periodi, ma in realtà taglia i ponti con il passato. Le sue canzoni non riguardano il periodo di transizione Kirwan-Welch (a parte scampoli della seconda facciata), né tantomeno il periodo Green.
La già citata “Rhiannon” è la dichiarazione d’intenti del nuovo corso, una melodia sinuosa con cui s’impone la novizia Stevie Nicks, dapprima mormorio a mezza voce quindi sgolata imperiosa, tra accordi solenni e cori, toni vanagloriosi e intenti pragmatici. Quasi un j’accuse femminista, “Rhiannon” in pratica rovescia i presupposti di Peter Green; quand’anche l’impostazione ne fosse analoga, la mistura di inquisizione e incanto traspongono la canzone a tutt’altra prospettiva, basata su melodia contagiosa e metafisica velata.
Altrettanto emblematiche sono “Warm Ways”, serenata melliflua di chitarra e tastiera con armonie da gruppo beat, ma reso lamentazione impalpabile, e “Monday Morning”, una filastrocca risoluta basata su accordi West Coast e armonie country, che si amplia coralmente, con una parte di batteria mai così accompagnatrice (e non più in alcun modo percussiva).
Così “Blue Letter”, vibrante stornello southern (il più dimostrativo della nuova linfa di questo periodo rispetto ai dischi predecessori) che sciorina nerbo del chorus a due, polso fermo nella scrittura e persino compattezza dell’assolo alla J.J. Cale di Buckingham .
Completano il quadro “Say You Love Me” (una variazione pop sul canone del “Court And Spark” “Mitchell-iano” , che si riscatta dalla piattezza grazie al jingle-jangle delle chitarre e al relativo assolo), e il camuffamento di “World Turning”.
Record di perfezione formale – specie nello spettacolare allestimento del lento conclusivo di “I’m So Afraid” di Buckingham – il disco è ancora debitore di talune esperienze di Aor e del mainstream radiofonico statunitense. Se anche il contenuto è ancora impreciso, la suggestione delle costruzioni melodiche è innegabile.
Il messaggio ultimo (ma forse più significativo) di quest’album è quello di portare la nuova leadership della coppia alla pura imposizione artistica, responsabile ultima e maggiore della sacrilega negazione delle radici blues del progetto di partenza.