EDITORIALE – Il 1974 che si mostrava ai Deep Purple come anno di rinnovamento, non fu del tutto semplice. La line up che aveva sfornato capolavori come il mitico live Made In Japan o Machine Head aveva subito dei cambiamenti profondi e radicali.
La lavorazione di Who Do We Think We Are, album pubblicato un anno prima e di cui vi ho parlato lo scorso 27 gennaio, aveva accentuato i conflitti tra Ritchie Blackmore e Ian Gillan, provocando una irreparabile spaccatura all’interno del gruppo, e la successiva formazione Mark III introduceva parecchie importantissime varianti nella fisionomia della band.
Fuori dunque lo storico duo Gillan/Glover e dentro, in loro vece, il vocalist David Coverdale ma, soprattutto, il cantante/bassista Glenn Hughes, in grado di fornire anche un pesante e qualitativo apporto compositivo ad un gruppo che ne aveva adesso bisogno come l’aria.
In realtà queste novità generarono un certo scetticismo, per altro comprensibile, dato che niente faceva pensare che una nuova formazione potesse tenere alto il vessillo dell’hard rock come la precedente, ma i risultati dettero ragione a Blackmore.
Burn, pubblicato il 15 Febbraio del 1974, è una pietra miliare della storia dell’hard rock, ed in alcune soluzioni stilistiche anticipava anche alcuni dettami dell’heavy metal prossimo venturo, stabilendo uno standard di settore. Tutto ciò si evince subito dal primo pezzo -la title track- dove oltre ai trascinanti assoli e alla ritmica pesante, si notano gli incroci delle ugole di Coverdale e Hughes, una novità questa in grado di rivitalizzare ulteriormente l’identità di una band che rischiava una crisi identitaria di non poco conto.
La canzone è nata nelle sessioni di settembre 1973 al Clearwell Castle durante le quali il gruppo ha composto l’album. Il riff di chitarra è ispirato a Fascinating Rhythm di George Gershwin, mentre il testo è stato scritto da David Coverdale sui temi della mitologia e della demonologia su richiesta di Ritchie Blackmore.
Burn ha sostituito Highway Star come pezzo di apertura dei concerti del gruppo, tra cui quello al California Jam Festival il 6 aprile 1974, due mesi dopo l’uscita dell’album.
La successiva Might Just Take Your Life fu la canzone scelta come primo singolo di Burn, ed è stata pubblicata nel Regno Unito pochi giorni prima dell’uscita dell’album. La canzone è costruita sull’organo Hammond di Jon Lord, che suona il riff e conclude il pezzo con un assolo in crescendo con sottofondo un tappeto vocale cantato da David Coverdale e Glenn Hughes.
Lay Down, Stay Down riporta in alto il ritmo e sono ancora gli eccellenti incroci vocali di cui sopra ad essere sugli scudi. La canzone è un pezzo rock con elementi di funk, costruito sul riff di Ritchie Blackmore e sulla batteria incalzante di Ian Paice: su questa base si inseriscono le voci di David Coverdale e Glenn Hughes e il piano di Jon Lord. La canzone è rimasta nella scaletta dei concerti fino alla fine del 1975, per essere poi sostituita nei concerti della formazione Mark IV.
Sail Away si regge soprattutto sulla prestazione di Coverdale, ma ovviamente non è che il resto sia trascurabile, mentre degna di attenzione è You Fool No One fa da contraltare al brano d’apertura, nel senso che stabilisce parametri che per l’hard rock resteranno ambedue punti fermi per molto tempo e la cui atmosfera riecheggerà a lungo nei lavori futuri dei Rainbow di Ritchie Blackmore. In evidenza le sonorità funky su cui è costruita l’armonia del pezzo, più morbido comunque della sopra citata Burn, ma ugualmente ritmata. In cuffia può riportarvi alle immagini dei polizieschi americani anni ’70.
What’s Goin’ on Here è un brano blues-rock retto dai fraseggi di piano di Jon Lord, con i ritornelli armonizzati dall’ormai onnipresente duo Coverdale –Hughes.
Si arriva poi a Mistreated, caposaldo della storia dei Deep Purple. E’ stata scritta dal chitarrista Ritchie Blackmore e dal nuovo cantante della formazione Mark III, David Coverdale.
È la canzone più lunga di Burn, e verso la fine il ritmo e l’intensità crescono, come durante l’assolo di Blackmore al quale Coverdale e Hughes fanno un tappeto vocale di fondo, fino al finale.
Durante i concerti Glenn Hughes presentava Mistreated come un pezzo scritto da Blackmore alcuni anni prima di Burn. La canzone era stata considerata per l’album Machine Head del 1972, ma Blackmore l’aveva poi messa da parte, giudicando la voce di Ian Gillan, al tempo vocalist del gruppo, incapace di far risaltare la componente black, che il chitarrista aveva fin da principio ritenuto essenziale per tale brano. Durante le sessioni per la composizione di Burn, Coverdale scrisse il testo di Mistreated, che è l’unico pezzo dell’album che canta da solo. Coverdale spiega che Mistreated “è come un blues progressivo, al quale ha prestato particolare cura per ottenere la forte emozione necessaria alla riuscita del pezzo.
Inizialmente la parte finale del brano era stata concepita diversamente: Coverdale e Hughes incisero circa 12 tracce vocali, che avrebbero costituito il coro, potendo sperimentare con entusiasmo varie soluzioni armoniche sotto la guida di Martin Birch alla consolle. Nonostante l’ottimo lavoro svolto dai due, dopo avere ascoltato il primo missaggio, Blackmore non lo approvò[2], facendo quindi collocare le armonie vocali in sottofondo, ritenendo che diversamente esse avrebbero coperto il suo assolo; gli altri collaboratori furono perciò costretti ad accettare il cambiamento. Nonostante la cocente delusione, anni dopo Coverdale ha dichiarato di condividere la soluzione finale, perché essa ha dato maggiore valore musicale all’incisione, oltre ad esaltare il grande talento strumentale del chitarrista. Mistreated sarà poi in futuro un cavallo di battaglia di Coverdale con i suoi successivi Whitesnake.
Abbastanza coraggioso infine A200, un brano strumentale scritto da Ritchie Blackmore, Jon Lord e Ian Paice. A differenza del resto dell’album, i cui brani sono stati studiati durante le prove, A’ 200 è nata da una jam sessions in studio e ospita i primi esperimenti di Lord con un sintetizzatore. Ci sono elementi prog e sonorità orientali che riecheggiano e riportano al Made In Japan. Non a caso la session è firmata dai tre della “vecchia guardia”.
Burn, a cinquant’anni di distanza dalla sua pubblicazione, è uno dei dischi hard rock più belli, variegati ed ispirati della storia. Un emblema di come una band può reinventare se stessa e di come il non porsi limiti di genere e di influenze musicali sia un’arma propria di chi veramente ama e sa scrivere e suonare Grande Musica.