EDITORIALE – Quando ebbi l’onore di intervistare il grande Giulio Rapetti in arte Mogol al Liceo Classico di Lauria nel marzo del 2017, fu inevitabile una domanda sul suo rapporto non solo musicale, ma anche amichevole, con il grande Lucio Battisti.
Nel veder illuminarsi i suoi occhi e con un filo di voce “timbrata” dall’emozione, il maesto mi raccontò in modo concreto ed eccezionale l’essere “visionario” di Lucio Battisti, capace di emozionare ed emozionarsi nel suo essere così introspettivo e di trasformare tutto ciò in musica. “Io dovevo essere bravo a mettere le parole su quelle musiche” – mi disse Mogol, “ma tutto veniva naturale perchè c’era simbiosi, e soprattutto perchè le armonie di Lucio già parlavano di suo…”.

Oggi, a cinquantaquattro anni dalla sua uscita, avvenuta il 15 ottobre del 1970, mi ricapita tra le mani e in cuffia il capolavoro dal titolo Emozioni, terzo album del cantautore di Poggio Bustone.
Non sarà rock, è vero, ma non per questo meno adatto a questa rubrica che ormai va avanti da un anno, visto che in più occasioni ci siamo occupati di album “pionieristici” e decisivi.
Emozioni lo è perchè da un taglio nuovo alla musica leggera italiana, rompe i dettami con le leggi del cantautorato italiano anni ’60 e apre le porte a un nuovo mondo di sperimentazione che porterà la coppia Battisti-Mogol a essere unica nel suo genere.
Emozioni è il secondo e l’ultimo, nella carriera di Battisti, a seguire i vecchi dettami anni sessanta che lasciavano agli allora ellepì il mero ruolo di raccolta dei successi a 45 giri, o poco di più. L’artista è già in rotta per questo con la casa discografica, la quale non gli lascia pubblicare lavori di più ampio respiro (e minore accessibilità) in scia alla musica progressiva che si stava imponendo a quel tempo.
Lucio e il suo fido paroliere/consigliere risolveranno il problema fondando di lì a breve la propria casa discografica Numero Uno, ma nel frattempo la Ricordi ha ancora buon gioco e commercializza questa sfilata degli ultimi quattro singoli, un paio del ’69 e un altro paio del ’70 tutti di grande successo, completati coi retri dei rispettivi 45 giri (quantomeno dello stesso livello, se non migliori, dei lati A) e infine da qualche ripescaggio di lati B dei primi singoli di carriera, quasi ignorati all’epoca della pubblicazione ma ben più succosi ora che la ditta Battisti/Mogol ha il vento in poppa.
Vento di libertà visto che, come spiegheremo più avanti, l’album nasce dal famoso viaggio a cavallo da Milano a Roma

In ordine cronologico, le canzoni spaziano dalla più vecchia e ancora acerba “Dolce Di Giorno”, che nel ‘66 aveva funzionato da retro del primissimo singolo “Per Una Lira”, alla modesta “Era” che invece nel ’67 aveva esordito come lato B della non meno soprassedibile “Luisa Rossi”, alla già fantastica “Io Vivrò Senza Te”, offerta ai Rokes ma poi reinterpretata direttamente e posta nel ’68 a complemento dell’assai più sgraziata “La Mia Canzone Per Maria”.
Da qui in poi si fa veramente sul serio perché tocca a “Non È Francesca” (siamo ormai al gennaio ’69, retro di “Un’Avventura”), un vero classico della divina misoginia Mogoliana, resa al massimo dalle pause e riprese ad effetto dell’arrangiamento e poi dalla lunga coda strumentale.
Emozioni più che un album è, col senno di poi, una raccolta di grandi singoli dell premiata coppia Battisti-Mogol. Basti pensare ad “Acqua azzurra/Acqua chiara”, pezzo divertente che alterna la delicatezza melodica della strofa all’irresistibile, energico refrain del ritornello. La composizione è ancora incredibilmente spontanea e al contempo ricercata nell’articolato arrangiamento, che conferisce al tutto un pathos rhythm’n’blues (con le trombe che “chiamano” e il resto dell’organico che “risponde”; e con tanto di ritmiche intricate studiate nei minimi dettagli per ciascuno strumento).
Battisti si conferma ancora una volta in grado di mettere d’accordo la critica più esigente e il pubblico: è fra i pochi artisti, specie in Italia, capaci di combinare un’estrema facilità dell’ascolto con una insospettabile ricercatezza e complessità delle strutture compositive.
“Mi ritorni in mente” è un altro gioiello: fonde con originalità e perizia atmosfere tradizionali da romanza e sonorità “nere”, ed è impreziosita da un testo a suo modo geniale nell’evidenziare il contrasto fra il dolce ricordo dell’amata e la sofferenza per la perdita e il tradimento. E l’ascoltatore, quasi inevitabilmente, ritrova nell’interpretazione fantastica di Battisti tutto lo smarrimento e l’incredulità del protagonista innanzi alla sua lei che si innamora di un altro.
“7 e 40” è un altro pezzo famosissimo ed emblematico della fusione impeccabile delle trovate musicali di Battisti con gli immediati testi di Mogol. Il ritmo che cresce, il basso che parte… e l’intro che conosciamo tutti a modo di jingle.
La bellissima “Fiori rosa, fiori di pesco”, arricchita da impetuosi crescendo ritmici e da una melodia immortale (impossibile non sentire come proprie le speranze del protagonista, quando si sente “Posso stringerti le mani/ Come sono fredde tu tremi/ No, non sto sbagliando mi ami/ Dimmi che è vero! Dimmi che è vero!”).
Poi, quasi inaspettatamente, ma è qui che si capisce la grandezza dei due geni, arriva il blues rovente de “Il tempo di morire”, da tutti conosciuta come “Motocicletta riesci accapì”, il quale va di diritto annoverata fra le composizioni più riuscite del primo Battisti. Canzone ripresa da più gruppi anche oggi e cover immancabile di ogni band famosa o meno. (Su tutte emerge la cover dei Litfiba, ma sono di parte…)
Le tematiche sono sempre di natura prettamente amorosa, ma a fare la differenza sono l’impostazione “negativa” (il tema della dolorosa, struggente perdita dell’amore e della solitudine che ne consegue è forse il più caro al duo) e l’incredibile intensità dell’interpretazione di Battisti, in grado di rendere al meglio sentimenti quali il rammarico e la disperazione.
“Emozioni” rappresenta, nel bene e nel male, il pezzo simbolo di un’epoca e probabilmente uno dei vertici qualitativi, interpretativi e compositivi di tutta la musica pop italiana.
Dirà Battisti, in una delle rarissime concessioni al giornalismo: “‘Emozioni’ l’ho scritta subito dopo il viaggio a cavallo Milano-Roma e vi ho messo quella tensione intima, quei passaggi bruschi sospesi in aria, per esprimere meglio il senso di scoperta, di stupore che provammo io e Mogol avventurandoci per prati, colline e fiumi, come se vedessimo la natura per la prima volta”.
Musicalmente, il pezzo consta di una melanconica linea melodica, dalla struttura circolare, che culmina nel celeberrimo verso “Tu chiamale, se vuoi, emozioni”, ed è arricchita dall’accompagnamento enfatico di un’orchestra di 60 elementi.
Il tema, ancora una volta, è rappresentato dal dolore per un amore non corrisposto; e dal senso di vuoto, perdita e solitudine che spesso ingenera reazioni scomposte (“guidare come un pazzo a fari spenti nella notte per vedere/ se poi, è tanto difficile morire”; “prendere a pugni un uomo solo perché è stato un po’ scortese, sapendo, che quel che brucia non son le offese”).
Chiudono il disco altri classici quali “Dieci ragazze”, accusata all’epoca di essere un pezzo altamente “maschilista”, “Dolce di giorno” e “Anna”. Tre piccoli capolavori che completano un lavoro introspettivo memorabile e unico che, ancora oggi, cinquant’anni dopo, fa scuola e crea ispirazioni ed appunto emozioni…