EDITORIALE – Con Exciter, i Depeche Mode segnano l’inizio del nuovo millennio abbandonando i toni cupi e industriali di Songs of Faith and Devotion e Ultra per abbracciare una forma più minimale e introspettiva dell’elettronica. Il disco, prodotto da Mark Bell, noto per il suo lavoro con Björk, è un lavoro elegante, a tratti rarefatto, che mette in primo piano la maturità artistica di una band che non ha più bisogno di dimostrare nulla, ma ancora desidera esplorare.
«Non è che siamo persone depresse, è la vita a essere tutt’altro che rosea». Dissero più o meno così i Depeche Mode quando presentarono al mondo proprio Exciter, il loro decimo album in studio, dato alle stampe il 16 maggio 2001. Già, la vita. E di converso la morte. Chi più di loro aveva titolo a parlarne senza correre il rischio di sembrare scontato. Nel 1993 il frontman Dave Gahan ebbe un infarto per overdose da eroina, poi nel 1995 giunse di nuovo a un passo dall’abisso tentando di suicidarsi, e l’anno successivo nell’abisso ci finì davvero per circa tre minuti – tanto durò la sua morte clinica dovuta a un’overdose da speedball – prima di venire miracolosamente ripreso per i capelli. Anche il compianto tastierista Andy Fletcher aveva conosciuto il buio dell’anima essendo caduto in depressione e avendo avuto più esaurimenti nervosi durante gli anni di Violator e Songs Of Faith And Devotion, periodo in cui anche il polistrumentista e principale compositore Martin Gore ebbe seri problemi legati all’abuso di alcol.
Così Exciter si distingue per un sound elettronico minimalista, caratterizzato da atmosfere ambient e una riduzione dell’uso di strumenti reali a favore delle drum machine. Una rinascita in senso ampio che porta così aria di ispirazioni nuove e cambiamenti.
L’album si apre con Dream On, un singolo atipico che fonde chitarre acustiche e beat elettronici. È un pezzo che si muove su una linea sottile tra folk e glitch-pop, con Gahan che canta con malinconica intensità su un testo di Martin Gore che parla di disillusione e speranza. Celebre il video con il trio in viaggio dentro un auto.
Segue Shine, una preghiera soul sintetica, sorretta da un groove pigro e sensuale. Il contrasto tra le parole e la produzione minimale crea un senso di intimità e vulnerabilità.
Uno dei momenti più potenti dell’album è I Feel Loved, una traccia più ritmata che riporta la band sulle piste da ballo. Il testo è quasi ossimorico: in mezzo a un beat claustrofobico e industriale, Gahan canta di sentirsi amato – un’affermazione che suona quasi disperata, più una supplica che una constatazione.
Freelove è forse il brano più accessibile e romantico del disco, con una melodia dolce e una produzione ariosa. È un inno alla connessione umana, semplice e diretto, ma reso profondo dalla voce vissuta di Gahan che canta da un camioncino in movimento.
Tra le tracce più oscure c’è The Sweetest Condition, che ricorda le atmosfere di Ultra, con una linea di basso ipnotica e un’aria di minaccia costante.
Comatose, cantata da Gore, è un intermezzo sognante, quasi onirico, che mostra il lato più etereo della band.
Il disco si chiude con Goodnight Lovers, una ninna nanna elettronica che richiama i Velvet Underground più morbidi. È un addio dolce, una carezza finale che chiude il cerchio con grazia.
Il disco è stato accolto positivamente dalla critica. NME ha elogiato la capacità della band di rinnovarsi, definendo l’album come una fusione tra soul e techno underground. Rolling Stone ha apprezzato gli arrangiamenti minimali, paragonandoli ai primi Kraftwerk. Tuttavia, alcune recensioni hanno evidenziato la mancanza di sostanza in alcune tracce, pur riconoscendo la qualità della produzione. Nonostante ciò, “Exciter” ha ottenuto riconoscimenti in diverse classifiche di fine anno, come quelle di Magic, MusikExpress e Visions
Dal punto di vista visivo, la copertura dell’album presenta un’immagine di un’agave, simbolo di rinascita e maturità, che riflette il tema di rinnovamento presente nel disco. Il successo commerciale è stato significativo, con l’album che ha raggiunto la vetta delle classifiche in vari paesi e ha ottenuto dischi d’oro e platino in diverse nazioni.

Exciter non è un disco che cerca l’impatto immediato. Richiede ascolti ripetuti, attenzione ai dettagli, e una certa predisposizione all’introspezione. Non tutti i brani brillano allo stesso modo, e alcuni momenti possono sembrare eccessivamente rarefatti. Ma in questo minimalismo c’è coerenza, e il lavoro di produzione di Mark Bell rende ogni suono calibrato, ogni pausa significativa.
Pur non raggiungendo il culto di dischi come Violator o Black Celebration, Exciter è un lavoro maturo, elegante e inaspettatamente intimo. Un disco che racconta una band in fase di metamorfosi, capace di reinventarsi senza snaturarsi.