#TellMeRock, 19 Aprile 1971: L.A. Woman e l’ultimo saluto di Jim Morrison ai suoi Doors…

EDITORIALE – In seconda serata e a cadenza quotidiana, Rai 5 offre degli speciali sensazionali sui gruppi e sui concerti rock che hanno segnato la storia della musica, (ve li consiglio vivamente).

Uno di questi speciali riguardava i Doors, e in particolare l’album “epitaffio” delle band: L.A. Woman, pubblicato il 19 aprile di cinquantatré anni fa.

Un lavoro fatto di musica, poesia, rabbia e malinconia, il saluto di Jim Morrison che, con un biglietto in mano destinazione Parigi (dalla quale purtroppo non sarebbe più tornato), porta i Doors nella leggenda.

Ultimo album realizzato con Jim Morrison e primo inciso senza Paul A. Rothchild in cabina di regia, L.A. Woman riporta i Doors sui livelli artistici dei primi due LP, riscattando il parziale appannamento delle produzioni di studio del triennio  1968-1970 con un suono “live in studio” ruvido e diretto.

Limitando le aperture pop al fortunato singolo Love Her Madly, la scaletta si muove lungo traiettorie blues ora ritmate e aggressive e ora più d’atmosfera, perarlto sempre avvolte in un’aura di cupezza nella quale alcuni scorgono già sinistri presagi di ciò che sarebbe poi accaduto quel 3 luglio del 1971.

Un magnifico epitaffio vorrei definirlo, togliendo a questo lavoro quella sensazione negativa che troppo spesso lo porta a identificare come “testamento triste di Jim Morrison”, tralasciando ciò che realmente è a livello musicale e artistico.

Partendo proprio dalla title track, L.A. Woman, un ritratto semi autobiografico ed enigmatico. Nelle vecchie canzoni blues, quelle che Jim Morrison amava tanto, prima o poi compariva.  Ad esempio nei brani di Muddy Waters, fin quando dal titolo avvertiva I Got My Mojo Working, e all’inizio degli anni 80, quando la critica italiana era ancora inesperta, molti pensavano che il mojo fosse un altro nome per “descrivere l’organo sessuale maschile”. Niente di tutto questo.

Il mojo è un talismano, un minuscolo contenitore, spesso di stoffa, con i bordi cuciti oppure con un’estremità chiusa da una cordicella. Dentro, oggetti diversi a seconda degli scopi e che si tratti di magia bianca o magia nera.  Un mojo rosso, ad esempio, serviva per ottenere amore e necessitava che al suo interno ci fossero capelli o pezzetti del vestito della persona che si voleva conquistare. Se era nero, invece, era per provocare la morte di qualcuno.

Ma Jim Morrison era convinto che il mojo fosse un sinonimo del membro maschile, quindi non gli parve vero che l’anagramma del suo nome fosse Mr. Mojo Risin, ovvero il signor Mojo che si alza. Inserì questo anagramma all’interno della canzone che dava il titolo al suo ultimo album del 1971 prima di andarsene a Parigi, purtroppo per sempre.

L.A. Woman è uno straordinario canto blues d’amore per la sua città. Inserì anche alcune immagini tratte di peso da un capolavoro misconosciuto della letteratura, Città della Notte di John Rechy, che vi invito caldamente a leggere, visto che oggi è anche la giornata internazionale del libro.

Ultima curiosità: Jim Morrison registrò la sua voce nel bagno dello studio per ottenere un suono e un riverbero particolari.

L’album riprende con la tenebrosa e quasi declamata L’America, fino ad arrivare alla ritmata Riders On The Storm, brano dolce in apparenza ma niente affatto serena, meritevole di un posto in ogni antologia o playlist che riguardi i Doors.

E’l’ultimo brano registrato da Jim Morrison prima di morire. I Doors sono in studio e stanno improvvisando sulle note di un brano country dal titolo lunghissimo, (Ghost) Riders in The Sky: a Cowboy Legend, amatissimo dai cowboy e scritto da Stan Jones nel 1948.

A un certo punto Morrison, invece di ripetere ghost riders in the sky dice riders on the storm. E’ la scintilla, l’inizio di una nuova avventura.

Il quartetto, Ray Manzarek su tutti e il suo genio, abbandonano immediatamente le sonorità country e provano a evocare il senso di tragedia immanente, di inquietudine, come se il pericolo fosse in agguato.

Il piano elettrico di Manzarek da la giusta atmosfera, tra gli effetti speciali aggiunti in seguito – tuoni e scrosci di pioggia, c’è l’x factor per completare l’opera.

Nel testo si fa riferimento a un killer on the road, doppio rimando a una sceneggiatura che Morrison aveva scritto e intitolata The Hitchhiker e al killer Billy Cook, un criminale del Missouri che appena uscito di prigione aveva comprato una pistola e rubato una macchina. Quando erano finiti i soldi della benzina, aveva fatto l’autostop e ucciso una famiglia dell’Illinois e un rappresentante di Seattle, prima di essere catturato e condannato alla pena di morte.

Eric Red, sceneggiatore di The Hitcher, il film del 1986, dichiarò di essersi ispirato a Riders On The Storm e di essere partito proprio dal brano per sviluppare la trama.

Altro brano di notevole importanza nell’album è Hyacinth House, dove Morrison prende ispirazione dal deserto e dal suo forte senso di abbandono.

Le parole del testo sono come lame taglienti che entrano dentro l’animo umano, indagano e riflettono sulla missione di vita di ognuno di noi. E’forse il diario dello smarrimento di Jim Morrison, che già si vede con una valigia in mano con destinazione oltre oceano, dal quale non farà più ritorno.

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