#TellMeRock: 19 Novembre 1990, El Diablo e il nuovo corso del rock targato Litfiba

EDITORIALE – Difficile sperimentare o addirittura rilanciare dopo una Trilogia del Potere che non solo ha segnato la storia del rock italiano, ma anche influenzato in maniera decisiva l’evoluzione musicale italiana che verrà, soprattutto nel panorama indie.

Ma è ancora più complicato se alla fine degli anni ’80, e dopo un viaggio in Russia con i Cccp che poi diventeranno Csi, perdi pezzi da novanta come il bassista Gianni Maroccolo, approdato proprio alla corte di Ferretti e Zamboni.

Ed allora ecco che i Litfiba comprendono l’importanza di reinventarsi senza snaturarsi, dopo aver raccolto l’eredità new wave dei concittadini Diaframma, Pelù e Renzulli trent’anni fa mettono la loro attenzione e duttilità su un rock più potente e duro, ma sempre aulico e con punte di ironia nella quale la band fiorentina riesce sempre a mettere a segno testi efficaci e innovativi.

Il primo passo dei nuovi Litfiba (Pelù, Renzulli e Aiazzi più i nuovi innesti di Poggipollini, Trambusti, Terzani e Candelo Cabezas) è “El Diablo” pubblicato il 19 novembre del 1990, ben trentaquattro primavere fa.

L’apertura del disco è un vero e proprio inno generazionale, la famosissima title-track. Aperta da un urlo-rutto e le parole “Olbaid Le” (El diablo al contrario), la canzone è un concentrato di potenza rock e testuale, (un’accusa contro tutti gli stereotipi del rock) e l’interpretazione di Piero Pelù la rendono una indimenticabile pietra miliare. Accusata all’inizio di satanismo (ce li vedete i Litfiba dei pionieristici Marilyn Manson?), El Diablo è in realtà, al contrario di quanto ipotizzato, una vera e propria denuncia al presunto satanismo del rock.

Ci si diverte pure con Proibito, un attacco verso i vari divieti della società che possono limitare la libertà della persona, con un sound da trip-hop latino misto al rock dove emerge il riff andante di un Renzulli in stato di grazia.

 Altro elemento fondamentale dell’album, come suddetto, e l’ironia, la quale emerge con Gioconda, in cui il protagonista tenta di fuggire dalle responsabilità che dà un impegno come il matrimonio e per la quale uscì anche un video piuttosto simpatico e particolare per l’epoca.

Ma sul disco compaiono anche atmosfere ed argomenti ben più seri, a cominciare da Il Volo -ispirata dalla tragica scomparsa dell’amico Ringo De Palma, a cui è dedicato l’album, e Woda-Woda, la quale tratta del dramma della mancanza di risorse idriche nei Paesi del terzo mondo (il titolo sarebbe una specie di traslitterazione africana della parola inglese water) per non parlare del testo di denuncia di Ragazzo, purtroppo ancora drammaticamente attuale, che parla di disoccupazione e disagio giovanile.

A completare il quadro pure un paio di pezzi che possono benissimo esser visti come riempitivi, ma sarebbe riduttivo: Siamo Umani (con il suo andamento mexican-country in chiave ironica ) e la conclusiva Resisti.

Le percussioni del colombiano Candelo Cabezas aggiungono un’aura esotica a questo pezzo di rock mediterraneo, la chitarra di Ghigo urla creando il marchio di fabbrica del nuovo Litfiba-style, Pelù si conferma frontman carismatico che accentra su di sé l’attenzione delle masse, ma innegabilmente si sente la mancanza del tocco inconfondibile di Maroccolo, sostituito da un onesto gregario come Terzani, mentre Il Marchese Aiazzi appare assai defilato rispetto al passato, complice anche la nuova direzione presa dal gruppo; da segnalare la presenza nella line up di un giovane Federico Poggipollini, in futuro alla corte di Ligabue.

Il disco getta le basi per la costruzione della cosiddetta “tetralogia degli elementi” che prenderà corpo negli anni successivi, e che rappresenterà i quattro elementi naturali; questo disco è dedicato al fuoco.

Ai tempi della sua uscita questo LP fece furore, dimostrando che anche nel Belpaese qualcosa si stava muovendo sul fronte della musica rock e sicuramente il successo che riscontrò fece sì che altri gruppi rompessero gli indugi e si creasse una scena che portò pure buone cose.

Non si tratta del miglior album dei Litfiba, questo è sicuro (per me 17 Re resta insuperabile), ma è di certo il disco che lanciò definitivamente la band fiorentina verso le grandi masse, e da allora El Diablo è visto come uno dei dischi che, al di là dell’effettiva qualità del prodotto stesso, hanno fatto la storia del rock italiano; inoltre preparerà il terreno a Terremoto (scusate il facile gioco di parole), più maturo, completo, meglio prodotto e -soprattutto- più pesante, ma questa è un’altra storia che vi racconterò.

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